E’ in atto una progressiva dilatazione del 416bis anche ad ambiti che, seguendo la sua interpretazione tassativa, ne sono al di fuori. Un ampliamento prodotto dalla giurisprudenza che spesso porta a non considerare essenziali alcuni elementi che hanno sempre contraddistinto il reato di associazione mafiosa. Una breve riflessione sul tema, per lanciare qualche interrogativo e suscitare più di un dubbio, perché se tutto diventa mafia niente è più davvero mafia.
L’art. 416-bis c.p., nonostante recepisca in termini giuridici un fenomeno sociologico assai complesso, risulta normativamente connotato da specifici indici qualitativi e quantitativi essenziali, indicati dal legislatore come elementi strutturali del delitto di associazione di stampo mafioso. Tale fattispecie, introdotta dall’ art. 1 della l. 13 settembre 1982, n. 646, si inserisce in un
contesto storico che vede come modello di riferimento la mafia sviluppatasi in Sicilia, avente peculiari tratti connotativi quali l’organizzazione gerarchica e il pieno controllo settoriale sul territorio.
Sulla base di ciò prende le mosse l’art. 416-bis nel quale figurano i 3 elementi costitutivi classici del reato: l’intimidazione, quale primario elemento strumentale tipico finalizzato alla realizzazione degli scopi dell’associazione ed assoggettamento e omertà, intesi quali elementi strutturali consequenziali (all’intimidazione) : in particolare il primo è il risultato esterno della forza di intimidazione, il secondo è un aspetto particolare dell’assoggettamento, caratterizzato dalla sostanziale adesione alla subcultura mafiosa o dalla sottoposizione ad una situazione di terrore che impedisca qualsiasi atto di ribellione o reazione morale. Questi elementi costituiscono nel loro insieme il cosiddetto indirizzo interpretativo forte (o tradizionale) della fattispecie, connotato dal fatto che la carica intimidatoria dev’essere tanto radicata sul territorio e nel tessuto sociale da provocare nella comunità dei consociati una condizione di assoggettamento ed omertà tale da comprimere in modo assoluto e permanente la loro libertà di autodeterminazione. In parole povere la paura ed il timore ingenerato dall’associazione di stampo mafioso dev’esser tale da comprimere la libertà di scelta di quanti entreranno in contatto con la stessa: non è un caso che, secondo l’impostazione originaria, il sodalizio mafioso venisse strettamente collegato all’uso delle armi. E’ chiaro dunque che tale indirizzo presuppone, affinché si delinei la fattispecie di reato, la puntuale concretizzazione dei suoi elementi costitutivi, circoscritti in un ambito normativo ben delineato. Con il tempo la nozione storico-criminologico di mafia si è andata ad allentare, distaccandosi sempre più dai tratti distintivi della mafia tradizionale prima elencati. Assistiamo oggi ad una dilatazione della fattispecie che prospetta la configurabilità di nuovi modelli associativi mafiosi, caratterizzati da una generale dequalificazione dei noti indici di mafiosità: si tratta di un indirizzo interpretativo che può qualificarsi come debole o estensivo e che va ad affiancare quello tradizionale. Tale indirizzo è ricomprensivo delle cosiddette ‘nuove-piccole mafie’ ovvero delle associazioni criminali autoctone che, senza essere espressione di aggregati mafiosi storici e tradizionali più ampi, operano in ambiti territoriali locali delimitati: queste esercitano sovente una forte pressione nei settori degli appalti, della pubblica amministrazione, della politica e dell’economia. Ciò ha comportato una trasformazione della fattispecie verso il basso in termini dimensionali ( essendo ora secondario il numero minimo degli associati), di operatività e di collegamento con il potere politico, con una conseguente smisurata espansione del delitto.
In tale percorso di degradazione degli indici qualitativi della fattispecie è proprio la forza di intimidazione a subire il primo e più profondo ridimensionamento in termini di intensità e significato: questa infatti può prospettarsi anche allo stato generico, potenziale o addirittura occasionale. Anche il carattere territoriale perde ogni sua incidenza connotativa: difatti il controllo del territorio da parte del sodalizio sarebbe solo una conseguenza eventuale della forza di intimidazione. Quanto detto si riverbera anche nei confronti dell’assoggettamento, potenzialmente configurabile anche in presenza di sodalizi mafiosi allo stadio embrionale, ovvero privi di quella intrinseca pericolosità al quale si associa il timore reverenziale e in merito all’omertà che perde i suoi caratteri di vera e propria patologia sociale, essendo necessario ora solo un rifiuto sufficientemente generalizzato a collaborare con gli organi di Stato. Non v’è dubbio che l’indirizzo estensivo oltre a determinare uno svuotamento della norma sul piano della determinatezza e della materialità, si ponga in una posizione di assoluta tensione con la legalità penale.
Appare fisiologico il fatto che una norma sia soggetta nel corso del tempo a mutazioni ermeneutiche che meglio la inquadrino nel contesto storico-sociale di riferimento, ma ciò non può protrarsi oltre i principi tassativamente previsti nel nostro ordinamento, ovvero riserva di legge, tassatività-determinatezza e divieto di analogia, andando a ‘creare’ del diritto, anche perché il perenne stato di incertezza creatosi si riverbera non solo in relazione alla previsione sanzionatoria ma anche in tema di prevenzione antimafia e di
esecuzione della pena. Si chiede in definitiva all’interprete di porre fine a queste oscillazioni giurisprudenziali e di prendere una netta posizione di fronte alle diverse sollecitazioni provenienti dai vari settori dell’ordinamento e della società. Occorre inoltre che il legislatore delinei nuove fattispecie, o che introduca delle circostanze attenuanti al delitto di associazione mafioso ex art.416-bis, al fine di sanzionare congruamente quei piccoli e nuovi sodalizi che utilizzano il metodo mafioso, pur in ambito ristretto, ma che non hanno il peso, la dimensione e le caratterizzazioni intrinseche della mafia, quella vera.