“I detenuti sono la comunità, provengono dalla comunità e in essa faranno ritorno. Proteggere loro significa proteggere la comunità ”
In Italia oggi contiamo poco più di 60.000 detenuti contro 50.000 posti di capienza totale delle nostre carceri che, infatti, versano in un evidente stato di sovraffollamento.I problemi che ne conseguono sono molteplici: scarso rispetto della dignità umana e problemi di natura sanitaria legati all’igiene e alle infezioni sono all’ordine del giorno, e creano un ambiente nel quale si crea un risentimento crescente del detenuto nei confronti dello Stato e della società, condizione che aumenta il rischio delle recidive criminali. Il tema della salute nelle carceri è complesso: la variegata popolazione detenuta è altamente vulnerabile in quanto presenta mediamente un livello socio-economico e culturale inferiore alla popolazione libera. Molti detenuti sono tossicodipendenti per via iniettiva, extracomunitari in fuga da zone belliche, alcolisti e persone con un disagio psichico che il carcere può peggiorare in quadri patologici.
Citando il “Manuale di malattie infettive” (Moroni, Vullo, Antinori): -Il carcere è un concentratore di patologia, innanzi tutto sociale e conseguentemente anche infettiva- Il sovraffollamento e la promiscuità causano un amplificazione del rischio infettivo sia nel carcere stesso sia all’esterno di esso. Oltre a malattie come epatite B, C e infezione da HIV non dobbiamo sottovalutare il tema della malattia psichiatrica e delle dipendenze.
Il 30% circa dei detenuti è dentro per traffico di stupefacenti e uno su due è tossicodipendente, risulta quindi fondamentale la collaborazione tra diversi servizi come SerT, prigioni,comunità terapeutiche e reparti di psichiatria; questo spesso non avviene e l’azione terapeutica sul malato ne risulta danneggiata (purtroppo il carcerato ha spesso una recidiva tossicomanica oltre che penitenziaria).
Si collega al tema della salute in carcere anche quello dei suicidi. Nel 2017 sono stati 52, 7 in più del 2016 e nel 2018 ben 66, dato più alto dal 2005.
La popolazione carceraria si suicida dalle 9 alle 20 volte di più delle persone libere a seconda della nazione e spesso agisce con atti di autolesionismo (fenomeno peraltro poco noto al grande pubblico). La povertà di relazioni umane e la fragilità fisico-psichica del detenuto, lo spingono a esplicitare il proprio malessere incontenibile uccidendosi, rifiutando le terapie o autoinfliggendosi dei danni; era il 23 dicembre quando un detenuto a Bologna si procurava dei tagli lanciando il sangue verso gli agenti. Secondo l’Associazione Antigone, uno dei più importanti osservatori sulle condizioni dei detenuti, in Italia il fenomeno sarebbe sottostimato: il dato ufficiale di 8586 atti di autolesionismo del 2016 sarebbe troppo basso in quanto non coincide con le loro ricerche svolte su di un campione di carceri; il fatto che alcuni penitenziari non segnalino alcun evento inoltre rende poco attendibile il dato. La maggior parte degli eventi avviene non solo nella prima settimana di carcere ma, al contrario di quanto si potrebbe pensare, anche nei giorni precedenti alla messa in libertà; che questo sia il sintomo di un’ansia scatenata dal ritorno in un mondo che non si sa più come affrontare?
Detto ciò, nelle carceri il Sistema Sanitario Nazionale è presente con un’area sanitaria che dispone di medici, infermieri, psicologi e oss ma qualche carenza di programmazione rimane. La medicina in carcere è un modello di complessità, dove è fondamentale comprendere le storie dei detenuti ancor prima delle loro malattie; il 30% di loro sono stranieri e la scarsa mediazione culturale genera attriti che il terapeuta fa fatica a superare. Manca inoltre la medicina di genere: il personale è addestrato soltanto per le cure agli uomini nonostante ci siano 400 donne nelle carceri italiane. Una mancanza grave. “I detenuti sono la comunità, provengono dalla comunità e in essa faranno ritorno. Proteggere loro significa proteggere la comunità ” (OMS, Effectiveness of intervention on HIV in prison, 2007), e anche per questo è giusto prendersi cura della salute dei nostri detenuti. Il detenuto prima di aver commesso dei crimini è un umano con una storia, con delle colpe, ma pur sempre un individuo che dovremo riammettere nella società, insieme a noi. Per il suo bene, oltre che per il nostro, è meglio che non soffra di alcuna patologia, medica o sociale che sia.