Il 27 febbraio la Camera dei Deputati ha convertito in legge il decreto-legge 30 dicembre 2019 n. 161 recante modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni. Ecco le novità: più trojan, intercettazioni a strascico, nessun limite per la gogna mediatica.
La principale innovazione prevista riguarda la disciplina del trojan horse, il cui uso per le intercettazioni di comunicazioni tra presenti è stato esteso ai procedimenti riguardanti i reati contro la pubblica amministrazione commessi dagli incaricati di pubblico servizio. Rientrano in questa
ampia e variegata categoria, ai sensi dell’art. 358 c.p., coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio (dal custode del cimitero al bidello della scuola). Già la legge c.d. “Spazzacorrotti” ne aveva esteso l’utilizzo ai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica
amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. In precedenza, invece, tale invasivo strumento investigativo era ammesso soltanto per i reati di criminalità organizzata e terrorismo.
I delitti contro la pubblica amministrazione sono esclusi esplicitamente da quelli per i quali è necessario indicare <<i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è
consentita l’attivazione del microfono>>.
Mentre, quando si procede per i delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, l’uso del trojan per intercettare comunicazioni tra presenti che avvengano nel domicilio è sempre consentito, quando si procede per un delitto dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro
la p.a. con pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni l’uso del trojan è consentito solo <<previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati
dall’articolo 614 del codice penale>>.
La sostanziale parificazione tra reati contro la pubblicazione amministrazione commessi da pubblici ufficiali ed incaricati di pubblico servizio e reati di criminalità organizzata e terrorismo è
frutto di una precisa decisione politica ma è una scelta opinabile e discutibile. Porre sullo stesso piano categorie di reati così diverse è irragionevole considerata la differente gravità dei fenomeni criminali ed il non paragonabile allarme sociale provocato.
Soprattutto, si è aperta la porta a future nuove estensioni dell’applicabilità della disciplina del trojan ad altre categorie di reati.
La fallacia dell’emergenza continua consiste proprio nel rendere regola l’eccezione. Gli strumenti eccezionali, che dovevano avere attuazione limitata nel tempo e riguardante casi particolarmente gravi, sono divenuti strumenti stabili e sempre più estesi (è emblematica l’estensione del regime carcerario ostativo e delle misure di prevenzione ai reati contro la p.a.).
La politica, i media e l’opinione pubblica trovano sempre una nuova emergenza per la quale invocare misure eccezionali in ossequio al populismo penale ed al panpenalismo che caratterizzano la nostra epoca. Adesso è il turno della corruzione, altra seguirà (ad es. l’evasione fiscale). In nome di un presunto pericolo pubblico e delle superiori esigenze di salvezza della collettività si accettano continue limitazioni dei diritti fondamentali dell’individuo. L’applicazione sempre più estesa di norme liberticide anziché provocare una reazione preoccupata e contraria ha
indotto all’assuefatta e tacita accettazione. Tale logica ha trovato applicazione anche nel caso dell’utilizzo del trojan horse. Pur di non rinunciare alla possibilità di reperire una mole immensa di informazioni, sono state trascurate le criticità legate all’uso di uno strumento investigativo così invasivo.
Con tale nome epico, infatti, si indica un malware, un captatore informatico, inoculato nei dispositivi elettronici che ne consente il controllo da remoto, la raccolta e la modifica dei dati, l’attivazione del microfono e della videocamera, l’individuazione della posizione e degli spostamenti, la registrazione delle comunicazioni scritte ed orali ed in particolare la registrazione delle conversazioni tra presenti. Peraltro, la normativa si riferisce alla sola captazione di comunicazioni tra presenti mediante
captatore in dispositivi portatili, rimanendo quindi prive di esplicita disciplina le altre funzioni del trojan. Bisognerà attendere un decreto del Ministro della giustizia che stabilisca <<i requisiti tecnici dei programmi informatici funzionali all’esecuzione delle intercettazioni mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile>>. Il legislatore ha precisato che <<i requisiti tecnici sono stabiliti secondo misure idonee di affidabilità, sicurezza ed efficacia al fine di garantire che i programmi informatici utilizzabili si limitano all’esecuzione delle operazioni autorizzate>>. I numerosi dubbi avanzati circa l’affidabilità dei soggetti esterni coinvolti nelle operazioni di captazione, anche alla luce di alcuni episodi di cronaca, restano al momento in attesa di risposta. Altra significativa novità introdotta dalla riforma riguarda l’utilizzazione delle intercettazioni in altri procedimenti.
Ha subito una modifica l’art. 270 c.p.p. che adesso prevede che <<I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e dei reati di cui all’articolo 266, comma 1>>.
Inoltre, è stata consentita l’utilizzabilità delle intercettazioni tra presenti operate per mezzo del trojan, anche per la prova dei reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, qualora risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti contro la pubblica amministrazione puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni o di delitti attribuiti alla competenza della procura distrettuale.
Il legislatore è prontamente intervenuto in materia di “intercettazioni a strascico” depotenziando una recentissima pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. La sentenza Cavallo del 2 gennaio 2020 aveva stabilito che: <<Il divieto di cui all’art. 270 c.p.p. di utilizzazione dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da
quelli per i quali siano state autorizzate le intercettazioni – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento ai risultati relativi a reati che risultino connessi ex art. 12 c.p.p. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge>>. Il Supremo Collegio aveva voluto limitare il ricorso a tale strumento ai soli casi di reati gravi e connessi a quelli per i quali si procede. Con la riforma, invece, si è estesa nuovamente l’utilizzabilità delle intercettazioni in altri procedimenti purché siano rilevanti ed indispensabili (criteri alquanto generici) all’accertamento dei delitti per cui è obbligatorio l’arresto in flagranza e sono consentite le intercettazioni (categoria molto più estesa di quella prevista dalle Sezioni Unite). La riforma ha, inoltre, affidato al pubblico ministero (e non più alla polizia giudiziaria come originariamente previsto dalla riforma Orlando) il compito di dare indicazioni e vigilare affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini.
Così come sarà gestito secondo le indicazioni e sotto la responsabilità del Procuratore Capo l’archivio unico centralizzato nel quale confluiranno tutte le intercettazioni disposte dall’ufficio e gli atti ad esse relativi.
Un nuovo comma, il 2-bis, è stato inserito nel corpo dell’art. 114 c.p.p., in base al quale <<è sempre vietata la pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni non acquisite ai
sensi degli articoli 268, 415-bis o 454>>.
Questa è l’unica misura adottata per evitare la diffusione e la pubblicazione di intercettazioni di comunicazioni non aventi rilievo penale (che era tra le finalità dichiarate della riforma Orlando).
Appare lecito nutrire più di un dubbio sulla efficacia di tale misura. Non sarà certo sufficiente l’introduzione di una nuova norma, peraltro priva di strumenti sanzionatori, a fermare un fenomeno così diffuso, soprattutto in considerazione del fatto che i divieti legislativi sono già in vigore da anni ma sono di fatto disattesi e disapplicati. Si poteva sicuramente sperare in un intervento più deciso sul punto ma resta la consapevolezza che soltanto l’introduzione e la successiva applicazione di sanzioni più incisive unite ad una diversa sensibilità ed attenzione degli operatori interessati potrà produrre gli effetti sperati. La novella nulla ha previsto con riguardo alle intercettazioni delle comunicazioni tra il difensore ed il proprio assistito, pertanto entrerà in vigore una modifica dell’art. 103 c.p.p. prevista nella riforma Orlando riguardante l’introduzione del divieto di trascrizione, anche in forma riassuntiva, delle comunicazioni con il difensore casualmente captate.
Non ha trovato seguito, purtroppo, la proposta avanzata dal Consiglio Nazionale Forense di prevedere l’immediata interruzione dell’intercettazione così da evitare qualsiasi ascolto della
conversazione. Nel complesso la riforma è deludente e criticabile. Deludente perché non vi è stata l’ampia e profonda riforma della disciplina delle intercettazioni invocata da anni e promessa da ogni governo.
Le modifiche sono poche e poco incisive. Non si ha avuto il coraggio di affrontare alla radice le annose problematiche della materia: il ricorso spropositato allo strumento delle intercettazioni delle comunicazioni (dato confermato dai numeri in particolare se comparati con quelli di altri Paesi
occidentali), la diffusione illecita sui media, la pervasività del trojan horse.
Nel tempo le intercettazioni hanno assunto un peso eccessivo al di là del ruolo originario di mero mezzo di ricerca della prova, di per sé non decisivo in quanto soggetto ad inevitabili fraintendimenti e strumentalizzazioni (una frase trascritta non conterrà mai il senso dell’oralità, soprattutto se decontestualizzata).
Non si considera l’incidenza delle intercettazioni nel delicato rapporto tra cittadino ed autorità. La disciplina delle intercettazioni deve bilanciare il diritto dei singoli individui alla libertà e alla segretezza delle loro comunicazioni (sancite dall’art. 15 della Costituzione) con l’interesse
pubblico a reprimere i reati e a perseguire i loro autori. L’importanza primaria dei diritti protetti dall’art. 15 può ammettere compressioni limitate ed eccezionali non una violazione sistemica e diffusa. La scarsa attenzione per la tutela della libertà e della segretezza delle comunicazioni
dell’individuo è spesso frutto di una consolidata visione autoritaria e collettivista che subordina i diritti dell’individuo agli interessi dello Stato.
La diffusione illecita delle intercettazioni sui media ha un ruolo fondamentale nell’oleato ingranaggio del processo mediatico e della gogna pubblica eppure in troppi hanno tacitamente interesse al perdurare dello status quo. Infine si è persa l’occasione di introdurre nell’ordinamento una ampia regolamentazione e limitazione dell’uso del trojan horse nei suoi aspetti multiformi. Probabilmente è stato inutile ed ingenuo aspettarsi di più dall’attuale legislatore, sostenitore convinto di una visione autoritaria ed illiberale del Diritto.