La Corte Costituzionale spazza via la spazza-corrotti.
La Consulta ha dichiarato illegittima la retroattività delle norme ostative alle misure alternative alla detenzione, introdotta dalla Legge 9 gennaio 2019, n. 3 per i reati contro la pubblica amministrazione. Già ieri, ascoltando le parole dell’avvocato dello Stato, pareva evidente che sarebbe andata così. Oggi il comunicato stampa della Corte: “è incompatibile con il principio di legalità delle pene, sancito dall’articolo 25, secondo comma, della Costituzione”.
“Non mi sento controparte rispetto ai colleghi difensori, perché lo Stato di diritto dev’essere un riferimento per tutti gli operatori del diritto”. Queste le parole pronunciate con vigore e senso di responsabilità da parte dell’avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi nell’udienza di ieri in Corte Costituzionale. Un’affermazione che dimostra chiaramente come dinanzi alla tutela dei diritti e al presidio dello Stato di Diritto non dovrebbero esistere avversari istituzionali, ma solo attori diversi orientati al perseguimento del medesimo obiettivo.
La questione pendente dinanzi alla Corte riguardava nello specifico il profilo di indiziata illegittimità costituzionale della cosiddetta legge “Spazza-corrotti” nella parte in cui, non essendo previsti regimi transitori, vieta ai condannati per taluni reati contro la p.a di accedere ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione, ancorché condannati prima dell’entrata in vigore della legge suddetta. Quest’ultima, infatti, ha ricondotto nel novero di reati eterogenei di cui all’art. 4 bis ord. penit. alcuni reati contro la pubblica amministrazione, comportando di fatto l’inclusione nel regime ostativo di fattispecie fortemente distoniche rispetto alla già pletorica elencazione della norma.
Quest’assaggio forzoso di carcere, di per sé discutibile sotto il profilo della ragionevolezza dell’opzione legislativa, è stato ritenuto dalla giurisprudenza di merito estendibile anche ai condannati prima dell’entrata in vigore della contestata riforma, in forza della valorizzazione del canone del “tempus regit actum” che disciplina il regime temporale della legge processuale.
Come diversamente sottolineato dai legali (tra i quali il Prof. Avv. Vittorio Manes e l’Avv. Giandomenico Caiazza presidente dell’Unione delle Camere Penali), essendo inciso il diritto fondamentale della libertà personale e la qualità della pena, la disciplina in parola lungi dall’esaurire il suo raggio d’azione al mero elemento processuale, concerne profili sostanziali della legge penale ed in quanto tale dovrebbe essere coperta dal principio dell’irretroattività della legge penale sfavorevole.
A prescindere dal pur rilevante dato tecnico, ciò che ha colpito è stata la singolare convergenza di vedute fra i legali e l’Avvocatura di Stato, entrambi sensibili alla tenuta dei principi che informano il nostro ordinamento costituzionale. Quando si tratta della tutela dei diritti fondamentali, insomma, tutti gli attori istituzionali coinvolti dovrebbero avvertire la necessità inderogabile di fare un passo avanti verso la garanzia dello Stato di Diritto. In Italia questo non accade quasi mai, ieri è avvenuto ed è stata una notizia inaspettata. Una convergenza inattesa, dicevamo, e che aveva in un qualche modo lasciato immaginare il probabile esisto della questione: la Corte Costituzionale oggi ha infatti dichiarato costituzionalmente illegittima la costante interpretazione giurisprudenziale secondo la quale le modifiche peggiorative della disciplina sulle misure alternative alla detenzione vengono applicate retroattivamente. Nel comunicato stampa odierno pubblicato dalla Consulta si legge che “l’applicazione retroattiva di una disciplina che comporta una radicale trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale, rispetto a quella prevista al momento del reato, è incompatibile con il principio di legalità delle pene, sancito dall’articolo 25, secondo comma, della Costituzione”. Leggeremo le motivazioni quando verrà depositata la sentenza, ma il messaggio è già chiaro, anzi chiarissimo.