Lo scorso 28 marzo il Senato ha votato favorevolmente il disegno di legge a stampo leghista recante “Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa”, che, vista l’approvazione già avvenuta alla Camera il 6 marzo, sarà quindi definitivamente legge. Storico cavallo di battaglia della Lega, ma anche oggetto di un tentativo (poi fallito) di riforma del tutto simile a quello attuale da parte del Partito Democratico nella precedente legislatura, la legittima difesa è da anni al centro di dibattiti non solo in Italia.

Dal 1930, anno di nascita dell’attuale codice penale italiano, ad oggi, l’art. 52, che disciplina l’istituto, è stato modificato solo nel 2006 (legge n. 59/2006) e ora con quest’ultima riforma, la quale si proponeva un obiettivo chiaro: tradurre in legge lo slogan “la difesa è sempre legittima”, che ci ha accompagnato per tutto il suo iter parlamentare. A pochi giorni dalla approvazione, è giusto esaminare il contenuto centrale di questa riforma ed interrogarsi sui suoi possibili effetti e anche sulle novità rispetto la disciplina precedente. La difesa è davvero diventata sempre legittima? O si tratta della solita legge-propaganda?

Partiamo dagli inizi.

Nel 1930 l’art. 52 constava di un solo comma, rimasto invariato, che così dispone: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.” Necessità e proporzione della difesa, attualità del pericolo e ingiustizia dell’offesa: sono questi i presupposti della legittima difesa che ci hanno accompagnato ininterrottamente dal 1930 ad oggi, ma mentre sugli ultimi due si è discusso principalmente con riguardo al significato, la necessità e proporzione della difesa sono diventati, negli anni, mal digesti all’opinione pubblica, grazie anche alla propaganda politica (si noti: non solo leghista) che ha sempre strumentalizzato tale norma. E sono proprio tali presupposti su cui si è cercato (infruttuosamente) di intervenire nel 2006 e da ultimo nel 2019. Presupposti che richiedono che non ci sia altra difesa altrettanto efficace (necessità) e che quella posta in essere sia proporzionata all’offesa che si rischia di ricevere. Il significato di “proporzione” si è storicamente ricercato partendo dal rapporto tra beni: il valore del bene che si offende, dev’essere pari a quello del bene che si difende, con tutte le flessibilità del caso.

Proprio su questo rapporto si è cercato di incidere con la già menzionata riforma del 2006, periodo nel quale al governo c’era Silvio Berlusconi e Ministro della Giustizia era il leghista Roberto Castelli. L’art. 52, in quella occasione, si è così arricchito di un secondo e di un terzo comma, con i quali ha fatto ingresso nel nostro ordinamento la c.d. legittima difesa “domiciliare”, ossia realizzatasi nella proprio domicilio o in luoghi affini. Il legislatore ha introdotto una presunzione assoluta di proporzione, stabilendo che: “sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati (domicilio) usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o la altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.” In questi casi, dunque, la proporzionalità sussiste ex lege.  Si era creduto di aver definitivamente superato il presupposto di proporzione, ma è invece intervenuta nel 2007 la Cassazione (Cass. Sez. 1, n. 16677 del 08/03/2007, Grimoli, rv. 236502) che, con un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza, ha ricondotto la previsione entro i limiti imposti dalla Costituzione, affermando che “la difesa con armi dei beni […] è legittima solo se vi è anche un rischio concreto di un pregiudizio attuale per la incolumità fisica dell’aggredito o di altri”, ribadendo poi tale posizione anche in sentenze successive. Pertanto, la Corte di Cassazione ha in sostanza negato proprio ciò che il legislatore del 2006 aveva cercato di raggiungere con tale riforma: non ci può essere proporzione tra la vita umana e i beni materiali, il pericolo per l’integrità dei beni materiali non giustifica la lesione del bene vita, ed è un principio imprescindibile sancito sia dall’art. 2 della nostra Costituzione sia dall’art. 2 della CEDU.

Ed eccoci allora alla riforma del 2019. Le modifiche in particolare riguardano di nuovo l’art. 52, a cui tra l’altro è stato aggiunto un quarto comma, e l’art. 55 in tema di eccesso colposo. Per quando riguarda l’art. 52, il legislatore ha introdotto l’avverbio “sempre” al secondo comma, cosicché ora risulta che nella legittima difesa domiciliare “sussiste sempre il rapporto di proporzione”. Un avverbio con cui si è semplicemente ribadita la presunzione assoluta di proporzione. Probabilmente erano rimasti indispettiti dall’interpretazione giurisprudenziale, ma dubito che un semplice avverbio possa ribaltare una lettura costituzionalmente conforme ormai consolidata. E lo stesso avverbio “sempre” caratterizza anche il quarto comma del nuovo art. 52, in cui si legge che “agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone”. Qui il sempre ha un valore diverso, perché non si riferisce al rapporto di proporzione, ma alla legittima difesa stessa, quasi a voler introdurre una presunzione di legittima difesa. Proporzione, necessità e tutti gli atri requisiti spariscono dal testo, perché il legislatore, questa volta, ha voluto superarli tutti. Ma un tale automatismo di legittima difesa può davvero operare? L’attenzione va soprattutto posta sulla mancanza del requisito della necessità, che è presente da sempre e ovunque. La dottrina al riguardo ha già mosso i primi passi e, quel che emerge è che, o si intende che la necessità della difesa è tacitamente ricompresa nonostante il silenzio del testo o c’è un grave vizio di incostituzionalità. Quello che il legislatore ha voluto dire è in realtà abbastanza chiaro, in particolar modo alla luce della modifica dell’art. 55 del codice penale, dove si è aggiunta una seconda parte in cui si esclude, nelle varie ipotesi di legittima difesa domiciliare, la punibilità di chi, trovandosi in condizione di minorata difesa o in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo, commette il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità. Se quindi l’eccesso colposo avviene nelle circostanze di minorata difesa o di grave turbamento derivante dal pericolo in atto, la punibilità è esclusa. Tale disposizione sembra quasi un’ancora di salvataggio: il legislatore ben sa che l’art. 52, comma 4, non può reggere, e allora si è cautelato introducendo questa previsione. 

L’art. 55 pone, però, un’altra problematica questione: il grave turbamento. Gli stati passionali od emotivi nel diritto penale, per espressa previsione, solitamente non contano; qui invece giocano un ruolo chiave. Quando sarà integrato il “grave turbamento”? È chiaramente auspicabile una interpretazione oggettiva di tale requisito, così da fugare il rischio che possa essere utilizzato e sfruttato per nascondere un eccesso volontario invece che colposo. Ma in ogni caso sarà una decisione che spetterà solo e soltanto al giudice, perché, checché ne dicano Salvini e compagni, sarà sempre il giudice ad accertare se i fatti corrispondono ai racconti degli interessati e se quindi sussiste una causa di giustificazione quale è la legittima difesa. Si può modificare la norma quante volte si vuole, ma colui che spara ad una persona non potrà mai essere sottratto ad un’indagine, proprio perché è necessario verificare se la legge è stata violata oppure no. 

Per concludere, dunque, tale riforma è destinata a non cambiare assolutamente nulla in relazione alla scriminante della legittima difesa, seppur abbia in tutti i modi tentato di superare l’orientamento giurisprudenziale costituzionalmente conforme che aveva già limitato gli effetti della riforma del 2006. Ha invece aggiunto una causa di esclusione di punibilità all’art. 55 tutt’altro che cristallina e, dulcis in fundo, ha aumentato le pene qui e là, in particolare al reato di furto in abitazione e a quello di rapina, perché una sana legge populista non può essere definita tale senza aumenti di pena. Appaiono invece ragionevoli i due interventi volti ad alleggerire il peso del processo penale a favore dei soggetti nei cui confronti bisogna accertare la legittima difesa, assicurando la priorità nella trattazione a tali tipi di cause e l’esenzione dalle spese di giustizia in caso di archiviazione o proscioglimento per legittima difesa domiciliare o per eccesso colposo ex art. 55, comma 2, che sono poste a carico dello Stato. Anche se, come ha sottolineato il Presidente Sergio Mattarella in sede di promulgazione, potrebbe contrastare con il principio di uguaglianza il fatto che analoga previsione non è prevista per coloro che si difendono in luoghi diversi dal domicilio.

È sempre lo stesso Mattarella che ha voluto anche rimarcare il fatto che “la nuova normativa non indebolisce né attenua la primaria ed esclusiva responsabilità dello Stato nella tutela della incolumità e della sicurezza dei cittadini, esercitata e assicurata attraverso l’azione generosa ed efficace delle Forze di Polizia.”

A prima vista sembra dunque una semplice legge di natura propagandistica, con cui il governo gialloverde ha nuovamente utilizzato il diritto penale per soli fini elettorali. E questo per il semplice fatto che ciò che questa riforma vorrebbe raggiungere è incostituzionale. Queste sono però solo delle prime considerazioni, in attesa delle prime pronunce e interpretazioni in merito. Fortunatamente, oserei dire, in questo senso la giurisprudenza si è sempre mostrata non influenzata dalle smanie della opinione pubblica.