Radio Radicale nasce il 26 marzo 1976 per iniziativa di un gruppo di militanti radicali in un piccolo appartamento di Roma situato in via di Villa Pamphili, nel quartiere Monteverde.
Partorita come radio “di quartiere” – il segnale non copriva completamente Roma ma arrivava a Civitavecchia, Anguillara, Vetralla, Fiano Romano, Poggio Mirteto, Tivoli, Albano, Pomezia e Ostia – viene successivamente riconosciuta dal Governo italiano come “impresa radiofonica che svolge attività di informazione di interesse generale”. Radio Radicale he indubbiamente contribuito a realizzare, e si auspica possa continuare a farlo, un servizio pubblico di informazione alternativo nei metodi e negli schemi a quello svolto dalla RAI e sostanzialmente influenzato dai governi di turno, garantendo così cospicua imparzialità e fluida diffusione delle informazioni che ha permesso agli ascoltatori il diritto einaudiano a poter “conoscere per deliberare”.
«Il successo di Radio Radicale – ha affermato Marco Pannella – è che è la radio di partito, di un partito laico e libertario, di una laicità ed un laicismo vissuti in accordo con la democrazia, mentre in Italia tutta la comunicazione è al di fuori della regola democratica».
La politica editoriale dell’emittente radiofonica, infatti, ha assicurato una tangibile accessibilità ai cittadini grazie alla trasmissione integrale e alla documentazione di attività di carattere istituzionale, di lavori parlamentari, processi, convegni, interviste, congressi di tutti i partiti politici e sedute del Consiglio superiore della magistratura. Tra gli appuntamenti storici del palinsesto il più noto è certamente la rassegna stampa dei quotidiani nazionali “Stampa e Regime”, ma anche lo “Speciale giustizia” – dedicato a convegni delle associazioni dei magistrati e dell’avvocatura o comunque riguardanti il mondo della giustizia, della cronaca giudiziaria e in particolare alla riproduzione integrale delle udienze dei più importanti processi – “Radio carcere” e per gli amanti della glottologia “Radio parolaccia” trasmesso tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90.
L’opera di raccolta e conservazione dei documenti svolta da Radio Radicale, a partire dal 1976, ha permesso la creazione di un archivio denso di informazioni che arricchiscono la cultura politica, giuridica e socioeconomica del nostro paese e che accompagnano le trasformazioni della società italiana, alimentando un dibattito sempre laico e libero, fungendo anche da antidoto all’intolleranza e all’esasperazione dei toni del dibattito politico.
La scelta di Pannella di custodire, schedare ed archiviare tutte le registrazioni, senza manipolazione sui nastri, permette tuttora ai cittadini di avere a disposizione centinaia di migliaia di documenti sonori e audiovisivi integrali, comprendenti anche quelli di processi giudiziari ritenuti di grande rilievo per le ripercussioni sull’opinione pubblica italiana, come quello sulla trattativa Stato-Mafia ed il Borsellino quater, quelli sulla ‘Ndrangheta o il processo bis per la morte di Stefano Cucchi. Tale scelta consente al radioascoltatore di poter captare informazioni nitide e senza ritocchi o commenti che potrebbero influenzarlo, nonché l’effettiva comprensione del procedimento, garantendo la facoltà di muoversi nella sua più chiara e limpida indipendenza.
Non a caso l’Associazione italiana dei Professori di Diritto Penale ha espresso grave preoccupazione per la prospettiva dell’imminente chiusura di Radio radicale, sottolineando che – lungi da qualunque presa di posizione nell’agone politico ed al di là di qualsiasi appartenenza partitica, non può essere disconosciuto il ruolo fondamentale di servizio pubblico che Radio Radicale ha svolto e svolge nell’informazione diretta, libera, pluralistica, anche e proprio in ordine a temi penalistici, alimentando un dibattito democratico assolutamente indispensabile, tenendo viva l’attenzione della collettività sulle condizioni carcerarie.
Andiamo a ritroso: nel 1994 nel rispetto della legge 6 agosto 1990, n. 223 (legge Mammì), Radio Radicale si era aggiudicata a gara la funzione di trasmettere le sedute parlamentari e nonostante nel corso degli anni la convenzione sia stata prorogata senza che venisse indetta ogni volta una nuova valutazione con altri contendenti, più volte richiesta dal Partito Radicale, lo scorso 15 aprile Vito Crimi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria, ha annunciato che il governo non intende rinnovare la convenzione stipulata con la radio 25 anni fa per trasmettere le sedute del Parlamento in cambio di un finanziamento di 10 milioni di euro annui, provocando così un grave vulnus alla nostra democrazia. Infatti, se entro il 21 maggio il governo non troverà una soluzione per la vita della storica emittente radiofonica, noi amanti di politica, giustizia ed economia, eccentrici radicali o meno, diremo addio ad una voce libera, indipendente, plurale, aperta, scomoda e per questo indispensabile in una società bigotta come la nostra.
Eppure in Italia i principi cardine dell’informazione libera e del servizio pubblico, contenuti nel dettato costituzionale, nessuno li ha mai rispettati come Radio Radicale, neanche Mamma Rai, soprattutto per ciò che concerne il metodo, la gestione dei palinsesti e la diffusione/archiviazione delle informazioni. Gli appelli provenienti da numerose testate giornalistiche, da personalità politiche e pubbliche, dal mondo accademico, dall’AIPDP, dall’UCPI, i Satyagraha e i dialoganti scioperi della fame di Maurizio Bolognetti e Rita Bernardini, per citarne alcuni, sono testimonianza di un colpo alla libera informazione e alla democrazia, ma anche ad uno strumento didattico trasparente e utilizzato da docenti e studenti per la comprensione, lo studio e la ricerca di discipline di varia natura, in particolar modo quelle giuridiche ed economiche.
La soluzione non è certamente da ricercare nella possibilità di mettersi sul mercato e di trasformarsi in un’emittente commerciale per due semplici ragioni: in primis il committente principale di Radio Radicale è lo Stato, mentre in secondo luogo una manovra di questo tipo andrebbe a snaturare il ruolo trasparente e svincolato da logiche ideologiche ed identitarie svolto dalla Radio in questi decenni. A tal proposito Massimo Bordin, deceduto poche settimane fa, nonché ex direttore di Radio Radicale e voce storica della rassegna stampa mattutina “Stampa e regime”, ha più volte affermato che <<Radio Radicale non nacque per essere “la radio del Partito Radicale”, quanto piuttosto tentare di dimostrare concretamente, attraverso un’opera da realizzare, come i Radicali intendono l’informazione. Creare un dato emblematico, in maniera sostanziale e non astratta, di quello che il servizio pubblico dovrebbe fare>>.
Se è pur vero che l’informazione ha un ruolo fondamentale all’interno della costruzione della società e del pensiero, della cultura e della sua diffusione e se la nostra Costituzione afferma il diritto di informare e di essere informati, perché la libertà di stampa non deve poter essere garantita limpidamente in tutte le sue forme da chi un tempo predicava onestà e purezza?
Ladri di democrazia, di verità, di stato di diritto o Crimi-nali dell’informazione e clown della trasparenza?