Il 31 Ottobre 2017 l’UCPI ha presentato alla camera dei deputati 74.000 firme a favore della separazione delle carriere. La proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare è dal 20 Febbraio sottoposta all’esame della commissione affari costituzionali. Mentre seguiamo l’iter di questa proposta,  vi spieghiamo perchè è giusto separare le carriere, separare la magistratura giudicante da quella requirente e dare finalmente reale attuazione all’articolo 111 della nostra Costituzione e avere finalmente un giudice davvero terzo rispetto alle parti. 

“La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale.” È così che l’articolo 111 della nostra Costituzione, modificato dalla legge costituzionale n. 2 del 1999, ha finalmente sancito nel nostro ordinamento il principio del giusto processo, nonché quello di terzietà e imparzialità del giudice. Sebbene questi ultimi, infatti, possano sembrare dogmi sottintesi e insiti in qualsiasi sistema di diritto, la concreta realizzazione degli stessi ha incontrato nel corso della storia non pochi ostacoli e contraddizioni, tanto da portare in evidenza l’esigenza di una riaffermazione di tali assiomi in pressoché qualunque convenzione internazionale in tema di diritti fondamentali. A partire dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, del 1948, che all’art. 10 statuisce che “ogni individuo ha diritto, in posizione di piena eguaglianza, ad una equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale”, passando per l’art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, fino all’importante e centrale norma espressa dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che al primo comma sancisce il diritto di ognuno “a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale”: i principi di indipendenza, imparzialità e terzietà del giudice rappresentano insomma da sempre, e universalmente, irrinunciabili dogmi di giustizia per qualunque Stato di diritto.

È da premettere, innanzitutto, che all’interno dei singoli ordinamenti la garanzia di imparzialità e terzietà dei giudici viene assicurata attraverso una serie di strumenti che garantiscono, o dovrebbero garantire, un giudizio equo in riferimento a qualunque tipo di questione giurisdizionale, sia essa di natura civile, penale o amministrativa. In riferimento al processo penale, in particolare, si è attuata nel 1989 una capillare riforma, che ha portato all’abbandono definitivo del previgente sistema inquisitorio di matrice fascista, per passare ad un più democratico sistema accusatorio, fondato sull’assioma della neutralità del ruolo del giudice, posizionato quale organo terzo rispetto al pubblico ministero e all’imputato e collocati, questi ultimi, su un piano di almeno tendenziale parità. Il modello accusatorio postula, inoltre, come suo fondamentale corollario e in contraddizione a quanto previsto dal sistema inquisitorio, il principio di presunzione di non colpevolezza, che implica che sia l’accusa a dover di volta in volta fornire le prove della eventuale colpevolezza dell’accusato, e non quest’ultimo a doversi scagionare dalle imputazioni rivoltegli. Ebbene, è proprio in ragione di questa presunta parità tra il ruolo del p.m. e quello dell’imputato che si sono innalzate, nel corso degli anni, una serie di severe critiche in relazione all’attuale svolgimento del processo penale, e che si è manifestato un forte scetticismo relativamente alla concreta ed effettiva realizzazione del principio di assoluta terzietà ed imparzialità del giudice.
Nell’ordinamento italiano, infatti, al contrario di quanto accade nella maggior parte degli ordinamenti , l’organo requirente (il pubblico ministero) e quello giudicante (il giudice), appartengono alla medesima categoria, sono selezionati attraverso i medesimi concorsi, sono valutati e vigilati dal medesimo organo di autogoverno. Nei fatti, il giudice si trova a decidere una causa in cui una delle parti è un suo collega, e questo – per quanto l’integrità e la coscienza del singolo magistrato possano senz’altro permettergli di decidere con inalterata equità – non può non rappresentare un’innegabile contraddizione con i principi di assoluta imparzialità e terzietà del giudice. Come spiega l’avvocato Francesco Petrelli (già segretario dell’Unione delle Camere Penali italiane), con una forse semplicistica ma senz’altro eloquente metafora calcistica, «il problema del nostro sistema processuale è che il giudice anziché essere terzo, come sta scritto nella nostra Costituzione, indossa la maglia di una delle due squadre in campo. Chiunque comprende che una simile organizzazione del processo penale costituisce una anomalia che ci distingue da tutti gli altri paesi europei, nei quali, in un modo o nell’altro, le carriere di chi accusa e di chi giudica sono nettamente separate.”

La separazione delle carriere della magistratura requirente da quelle della magistratura giudicante è in effetti vista da molti come l’ultimo imprescindibile passaggio per ottenere una compiuta realizzazione dei principi del giusto processo in area processualpenalistica. Ed è proprio questa convinzione ad aver condotto, alla metà del 2017, ad una mobilitazione da parte dell’Unione delle Camere Penali Italiane, che in poco più di un mese ha raccolto più delle 50.000 firme necessarie alla presentazione al Parlamento di una proposta di legge di iniziativa popolare – proposta di legge che, per inciso, non sembra essere ad oggi ancora stata presa in considerazione nelle aule parlamentari. L’obiettivo di UCPI è quello di realizzare una riforma che permetta finalmente la piena estrinsecazione dei diritti e dei principi garantiti dalla nostra Carta costituzionale, quale quello di effettiva imparzialità della decisione, della parità delle parti e del contraddittorio. Senza separazione delle carriere, si sostiene, ogni altra riforma perde di significato. E’ da evidenziare come, nonostante la contrarietà espressa da molti magistrati a una tale proposta di riforma, questi obiettivi hanno storicamente incontrato l’approvazione di molti autorevoli giuristi e operatori del diritto, a partire dallo stesso Giovanni Falcone, che come testimonia il magistrato Giuseppe Ayala nel suo libro ‘Chi ha paura muore ogni giorno. I miei anni con Falcone e Borsellino’ condivideva non poche considerazioni a favore dell’ipotesi della separazione delle carriere; afferma infatti Ayala: “Non discutevamo tanto dell’autonomia e dell’indipendenza del pubblico ministero, ma dell’indubbia anomalia rappresentata dall’unicità delle carriere, estranea, non a caso, a tutti gli ordinamenti dei più importanti Paesi occidentali. La separazione delle due carriere non ci scandalizzava affatto. Anzi, con tutte le cautele del caso, la ritenevamo per molti versi auspicabile.”  Ancora, Falcone scrisse: “comincia a farsi strada faticosamente la consapevolezza che la regolamentazione delle funzioni e della stessa carriera dei magistrati del pubblico ministero non può più essere identica a quella dei magistrati giudicanti, diverse essendo le funzioni e quindi, le attitudini, l’habitus mentale, le capacità professionali richieste per l’espletamento di compiti così diversi […] Disconoscere la specificità delle funzioni requirenti rispetto a quelle giudicanti, nell’antistorico tentativo di continuare a considerare la magistratura unitariamente, equivale paradossalmente a garantire meno la stessa indipendenza ed autonomia della magistratura.”Emerge, in effetti, la consapevolezza che un’eventuale separazione tra magistratura requirente e giudicante non costituirebbe affatto, come invece obiettano coloro che sono di opinione contraria, una matrice di indebolimento della magistratura, ma anzi contribuirebbe ad aumentarne l’indipendenza e restituirebbe alla stessa una rafforzata fiducia da parte dei cittadini; fiducia che, per una molteplicità di motivazioni anche legate alla lamentata inefficienza degli organi giurisdizionali, sembra sempre di più venire a mancare.

Concludendo, appare evidente come quello della separazione delle carriere è un argomento che non si può più continuare ad ignorare o da cui distogliere lo sguardo. L’esigenza di progredire richiede spesso anche la necessità di operare dei cambiamenti; cambiamenti che, ripetiamo, non hanno come fine ultimo quello di affievolire il ruolo della magistratura, ma, viceversa, quello di garantire la piena affermazione di quei diritti che non soltanto la nostra Costituzione prevede, ma che possono essere considerati quali principi generalmente riconosciuti dell’ordinamento internazionale. L’intento è, in definitiva, quello di permettere la compiuta realizzazione, anche nel nostro Paese, di un processo equo, non soltanto nella sostanza, ma anche nella forma e nell’apparenza, così da garantire finalmente la più completa ed effettiva estrinsecazione dei diritti umani.