Una approfondita analisi dell’esperienza degli istituti penitenziari privati degli Stati Uniti e del Regno Unito dimostra che la privatizzazione non è la soluzione ai problemi delle carceri e all’inefficenza della giustizia.
Il sistema giudiziario statunitense non è certo famoso per la sua efficienza, né per la sua “giustizia”; piuttosto, gli Stati Uniti detengono diversi record negativi: secondo il “Bureau of Justice Statistics” (BJS), l’ufficio statistico del corrispettivo Ministero di Giustizia, il “Department of Justice”, il totale della popolazione sottoposta a restrizione di libertà negli USA ammontava nel 2016 a 6.613.500, compresi i detenuti nei penitenziari locali, statali e federali, in Libertà condizionale e controllata, ovvero 2045 detenuti ogni 100.000 abitanti. Se dalla precedente statistica vengono eliminati i detenuti in libertà condizionale o controllata, considerando quindi solo la popolazione carceraria in sé, allora il tasso scende a 655 detenuti ogni 100.000 abitanti (“Rate per 100,000 residents”), con un valore nominale di 2.162.400 reclusi, con picchi in Oklahoma (990), Louisiana (970), Mississippi (960), Georgia (880) ed Alabama (840). Nonostante il calo considerevole rispetto al primo, questo secondo rapporto rimane comunque eccezionalmente elevato e classifica gli Stati Uniti come primo paese per tasso di incarcerazione al mondo, secondo i dati raccolti dall’Università di Bìrkbeck (Londra) e l’ICPR (Institute for Criminal Policy Research), resi pubblici attraverso il database “World Prison Brief”; per poter fare un confronto, secondo lo stesso database, a seguire gli US sul podio sono El Salvador ed il Turkmenistan, mentre i dati relativi ai paesi europei mostrano un tasso di 402 per laFederazione Russa (il paese europeo con il tasso più alto), 143 in Scozia e 140 in Inghilterra e nel Galles, 126 per la Spagna, 104 in Francia, 98 per l’Italia e l’Austria, con un trend che vede i paesi dell’est detenere i tassi più alti, seguiti da quelli mediterranei, per finire con gli stati del nord (Germania: 75, Danimarca: 63, Paesi Bassi: 61, Svezia: 59). Tuttavia, c’è un’altra questione che forse più di tutte rende il sistema statunitense eccezionale: l’utilizzo relativamente alto delle prigioni private. Gli Stati Uniti non sono l’unico paese al mondo ad appaltare in parte o del tutto i servizi relativi al sistema carcerario, ma sono di gran lunga la nazione (quantomeno tra quelle considerate“sviluppate”) nella quale la pratica ha generato più problemi.
Tra gli altri stati in cui la privatizzazione dei penitenziari è divenuta pratica corrente si possono elencare: Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda, con una percentuale di detenuti ospitati in strutture private, rispettivamente, del: 18.46% (Inghilterra e Galles) e 15.3%(Scozia) (Official Statistics: Prison Population figures 2018), 18.4% (Report on Government Services 2018 – Corrective services, Australia), 10% (Department of Corrections – Prison facts and Statistics 2016; l’unica struttura privata nel paese è la “Auckland South Corrections Facility”).
Il numero di detenuti in strutture private negli Stati Uniti è proporzionalmente nettamente più basso: 123.300 (BJS –Prisoners in 2016), il 8.19% dei detenuti al livello statale e federale. Eppure, date la dimensione della popolazione carceraria, la generale flessibilità dei contratti tra i privati e gli enti statali o federali e la massiccia attività di lobbying, la privatizzazione sembra aver generato un sistema più distorto in questo paese che negli altri: nel Regno Unito, ad esempio, i penitenziari privati sono sottoposti esattamente agli stessi regolamenti di quelle pubbliche e devono garantire gli standard minimi dettati dalla legge, il cui rispetto è controllato rigorosamente dagli ispettori ministeriali, e la cui violazione comporta una decurtazione della cifra corrisposta dallo Stato per ogni detenuto.
Negli Stati Uniti, ai fattori di cui sopra, c’è da aggiungere anche un fattore storico-culturale, ovvero lo strascico storico della schiavitù e delle leggi seguite alla sua abolizione. È cosa nota che durante il XIX secolo l’economia del Sud degli States fosse trainata dalla produzione delle piantagioni, e come queste piantagioni fossero coltivate da schiavi; così come è noto che la schiavitù venne ufficialmente abolita a livello federale attraverso l’approvazione del XIII emendamento nel 1865.
Meno noto è il contenuto di quell’emendamento, che recita “Neither slavery nor involuntary servitude, except as a punishment for crime whereof the party shall have been duly convicted, shall exist within the United States, or any place subject to their jurisdiction.”, tradotto: “La schiavitù o altra forma di costrizione personale non potranno essere ammesse negli Stati Uniti, o in luogo alcuno soggetto alla loro giurisdizione, se non come punizione di un reato per il quale l’imputato sia stato dichiarato colpevole con la dovuta procedura.” La schiavitù venne abolita, ma non il lavoro forzato se previsto come pena in seguito ad una condanna, ed a questo non venne posto alcun limite costituzionalmente vincolante. Già all’epoca, la pratica dei penitenziari privati non era nuova, tanto che la Louisiana concesse in appalto la conduzione della sua prima prigione statale, la “Louisiana State Penitentiary” (tuttora in funzione, conosciuta anche come “Angola Prison” per via della piantagione che occupava
precedentemente il terreno dello stabile), nel 1844; ma fu dopo la fine della Guerra di secessione che questo “business” conobbe un’impennata, grazie alla finestra lasciata aperta dalla Costituzione ed all’interesse degli ex-schiavisti nel trovare manodopera a basso costo. Gli appalti in questione rimasero tuttavia di piccole/medie dimensioni, circoscritti al livello locale, al massimo statale, e diffusi quasi esclusivamente negli Stati precedentemente secessionisti; fin quando, all’inizio del XX secolo, i legislatori statali, in cerca di nuove entrate, decisero di procedere ad una generale de-privatizzazione all’avvicendarsi progressivo delle scadenze dei contratti di appalto, lasciando relativamente pochi e piccoli penitenziari alla gestione privata.
Il 18 Giugno 1971, il Presidente Nixon dichiarò l’abuso di droga “nemico pubblico numero uno” e tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 gli Stati Uniti si trovarono pienamente trasportati nella “War on Drugs”, la guerra alla droga. L’inasprimento delle leggi ad ogni livello che ne seguì, unito allo sforzo investigativo senza precedenti introdotto dalle forze di polizia, determinò un aumento significativo dei detenuti condannati per crimini connessi al traffico di droga, e quindi della popolazione carceraria; questo fu l’ossigeno di cui il sistema dei penitenziari privati aveva bisogno. Nel 1983 l’Amministrazione Reagan, spinta dalla ricerca di nuove soluzioni per ridurre il sovraffollamento delle carceri ed utilizzando quest’ultimo come giustificazione, stipulò per la prima volta al livello federale un contratto con la neonata Corrections Corporation of America (CCA) per l’appalto della progettazione, la costruzione, il finanziamento e la gestione di un nuovo penitenziario ad Houston, Texas, che la società riuscì ad aprire e rendere operativo già nell’anno seguente. Ancora nel 2016, il 47% dei detenuti nelle strutture federali è stato condannato per crimini collegati al traffico di droga (BJS – Prisoners in 2016).
Evidentemente l’efficacia della soluzione spinse il governo federale e quelli statali a concedere ulteriori concessioni, tanto che al 2016 28 stati avevano stipulato almeno un contratto riguardante la gestione privata dei penitenziari, per un totale 94.164 detenuti ospitati in strutture private al livello statale, pari al 7.2% della popolazione penitenziaria del medesimo livello giurisdizionale (BJS – Prisoners in 2016).
Al livello federale, i detenuti in penitenziari gestiti da privati ammontavano a 34.159, il 18.1% della popolazione penitenziaria del medesimo livello (BJS – Prisoners in 2016); è possibile notare che quest’ultima percentuale, se osservata da sola, riporta gli US in linea con le stime dello stesso parametro per gli altri paesi che fanno uso di
strutture detentive private. E’ da far presente inoltre che quando si indaga il livello statale, la percentuale di detenuti in penitenziari privati varia notevolmente tra gli stati, passando da stati quali New Mexico (43.1%), Montana (38.8%), Tennessee (26.4%), Oklahoma (25.3%), Hawaii (25.1%) a stati con percentuali irrisorie come Virginia (4.2%), Connecticut (3.4%) , Pennsylvania (1.4), North Carolina (0.1%), fino a giurisdizioni che non si servono di servizi privati per la gestione penitenziaria: California, Massachusetts, Illinois tra gli altri (BJS – Prisoners in 2016). Bisogna specificare inoltre che la Louisiana risulta avere nel 2016 una popolazione carceraria in strutture private stimata uguale a zero, e questo perché con un gioco amministrativo ha classificato tutte le sue prigioni private come strutture locali, senza tuttavia mutare l’organizzazione privata né apportare alcun cambiamento sostanziale alla gestione delle citate strutture; nel 2015 la popolazione penitenziaria detenuta in strutture private in Louisiana era l’8.7% del totale sotto la stessa giurisdizione. L’aumento delle strutture private per la detenzione, negli Stati Uniti e nel resto del mondo, ha portato la nascita, crescita e sviluppo di diverse aziende operanti nel settore, che con il tempo sono diventate dei veri colossi ben radicati nel loro mercato.
La già sopracitata CCA, con sede a Nashville, Tennessee, dall’Ottobre del 2016 rinominata “CoreCivic” (CC), è una S.p.A. quotata alla borsa di New York, e nel 2017 aveva un fatturato di 1.765.498.000 dollari ed un utile netto di $178.040.000, entrambi in lieve calo rispetto al 2016. Gestisce 70 strutture tra penitenziari, centri per la custodia cautelare e per l’identificazione ed espulsione dei migranti (simili agli italiani “CIE”) in 19 Stati diversi, con una capacità di circa 78.000 posti letto, oltre a possedere altre 12 strutture affittate o concesse in uso ad agenzie federali.
I contratti stipulati dalla CoreCivic con il governo federale nel 2017 producevano un fatturato di 839.9 milioni di dollari, mentre quelli con gli enti statali $727.8 milioni, rispettivamente il 47.57% ed il 41.22% del fatturato totale dell’azienda. (CoreCivic 2017 Annual Report).
The GEO Group, Inc. (GEO) è il secondo gruppo del settore per data di nascita, 1984, fondato con il nome Wackenhut Corrections Corporations a Boca Raton, Florida, dove tuttora è stabilita la sua sede principale; nacque come divisione della Wackenhut Corporation, una società di sicurezza privata, fino a crescere al punto da separarsene. Anch’essa è una S.p.A. quotata a New York, e benché sia seconda per numero di anni di attività, non lo è per presenza globale e quota di mercato: la GEO ha contratti ed istituti diffusi negli Stati Uniti, Regno Unito, Australia e Sud Africa, con un fatturato di $ 2.263.420.000 dollari ed un utile netto di 146.241 milioni di dollari. Agli appalti con il governo federale statunitense ed i vari stati (8 in totale) è attribuibile il 64% del suo fatturato totale, con la fetta più grande (19%) derivata dagli accordi con l’ICE (“Immigration and Costums Enforcement”, l’agenzia federale che si occupa principalmente del controllo delle frontiere e dell’immigrazione), mentre tra gli stati il suo partner principale è la Florida, i cui appalti valgono il 5% del fatturato della GEO. La compagnia gestisce negli USA 71 strutture per un totale di 75.365 posti letto. La GEO è detentrice inoltre di un record: gestisce il “Reeves County Detention Complex”, un centro di detenzione per migranti, considerato il più grande penitenziario privato negli Stati Uniti, con 3.763 posti letto. (GEO Annual Report 2017)
La CoreCivic e la GEO sono le due più grandi aziende in questo settore negli Stati Uniti, ma non sono le uniche: tra le altre più grandi si possono elencare la “Management and Training Corporation” (MTC) e la “Community Education Centers” (CEC), quest’ultima acquistata dalla GEO nell’Aprile del 2017. Le prime tre sono le uniche ad aver siglato contratti con il governo federale, gestendo per conto di esso un totale di 14 strutture: 7 la GEO, 4 la CoreCivic e 3 la MTC.
L’attività di lobbying negli Stati Uniti è intensa e radicata, proveniente da tutte le industrie e da tutti gli interessi, e non sorprenderebbe un’attività analoga delle aziende in questione. Sfortunatamente, dati ufficiali e trasparenti relativi alle donazioni ed alle attività di pressione sono difficili da reperire, specialmente on-line, se non del tutto
inesistenti, ed anche quando esistono sono generalmente difficili da analizzare, data l’enorme mole di comitati, PAC e Super-PAC dietro i quali spesso donazioni di grandi gruppi industriali si nascondono. Ci sono diversi siti internet e giornali che svolgono lo sporco lavoro di raffinare i dati e cercare i fili conduttori, ma nessuno di loro è davvero scevro da influenze politiche o da vene inquisitorie (a volte particolarmente feroci) che sono lontane dallo spirito di questo articolo, né si premurano sempre di garantire la trasparenza delle fonti dalle quali attingono. Pertanto, l’articolo non riporterà cifre in merito, per questione di opportunità e di spazio; il lettore è ovviamente invitato ad approfondire la questione, se interessato, attraverso il lavoro di organizzazioni non-profit ed articoli di inchiesta, attingendo dalle fonti considerate più autorevoli e precise.
Nell’Agosto 2016, l’ufficio dell’Ispettore generale, sotto il Dipartimento di Giustizia, pubblicò il rapporto di un’investigazione generale condotta sui 14 penitenziari privati federali, il “Review of Federal Bureau of Prisons’ Monitoring of Contract Prisons”. Nel rapporto, venne dichiarato che nelle prigioni private la frequenza degli incidenti
riguardanti la sicurezza personale e penitenziaria era più alta che nelle strutture amministrate dalla BOP (“Bureau Of Prisons”, l’ente federale che si occupa della gestione del sistema penitenziario). Il documento mostrava che i detenuti nelle carceri private avevano una probabilità 9 volte maggiore di essere sottoposti al regime di isolamento, a volte per semplici ragioni di sovraffollamento, e che le proteste per le cure mediche negligenti o assenti erano più
frequenti rispetto alle prigioni pubbliche.
Il 18 Agosto dello stesso anno il Vice-Procuratore Generale Sally Yates, Amministrazione Obama, dichiarò attraverso una circolare ministeriale che il governo avrebbe abbandonato il sistema degli appalti a privati al giungere progressivo della scadenza dei contratti, o avrebbe comunque ridotto i servizi richiesti.
Questa linea divenne quella dei Democratici americani durante la campagna elettorale del 2016, guidata dalla candidata alla presidenza Hillary Clinton. Al contrario, il suo sfidante Donald Trump appoggiò apertamente la concessione ai privati della gestione penitenziaria. Il risultato delle elezioni è ormai storia. Il 23 Febbraio 2017 il neo Procuratore Generale Jeff Sessions revocò la circolare in questione tornando alla situazione amministrativa precedente.
Interessante è vedere la fluttuazione della quotazione azionaria dei gruppi CoreCivic e GEO durante queste vicende,
esplicativa della stretta correlazione che intercorre tra le vicende politiche e le fortune di queste due aziende.
Fonte: Yahoo Finance.
Questo tema negli Stati Uniti è sempre più sentito, percepito come uno dei tanti problemi che attanaglia il sistema penale americano, che spesso si alimentano a vicenda in un circolo vizioso. A prescindere dall’opinione che si può avere in merito, la questione meriterebbe di essere affrontata e discussa in modo oggettivo e razionale, mettendo al centro del ragionamento il detenuto, la finalità rieducativa della pena e la dignità della persona. In Italia, ed in Europa in generale, questo potrebbe essere percepito come un problema lontano, sia dal punto di vista geografico che giuridico. Tuttavia, data l’influenza culturale e politica degli gli Stati Uniti e del mondo anglosassone, dalla quale segue spesso la diffusione di alcune loro pratiche e politiche, sarebbe bene non ignorare l’argomento.
NdR: Si noti che le stime del tasso date dal BJS non tengono conto della popolazione carceraria dei penitenziari locali, ma solo dei detenuti a livello statala e federale. Negli USA i penitenziari locali ospitano condannati con pene lievi, generalmente inferiori ad un anno, mentre quelli statali o federali si occupano delle pene detentive maggiori. Ecco spiegata la differenza tra le stime del tasso di incarcerazione del BJS e quella riportata nell’articolo, che invece conteggia anche una stima media annuale per i detenuti con pena inferiore all’anno.