L’esigenza di portare a termine una compiuta riforma del processo penale fa parte del dibattito politico da anni.
Considerando, dunque, che l’esigenza riformatrice già da tempo è dibattuta nel nostro paese, viene lecito domandarsi dove sia necessario intervenire per migliorare l’attuale assetto del processo penale. La risposta a questo interrogativo ci porta a ragionare non solo sull’assetto generale del sistema, ma altresì su una serie di aspetti e istituti specifici che lo compongono. Una guida veloce e accessibile in cinque punti fondamentali. Anche se la situazione politica non lascia grande spazio alla speranza sognare e discuterne ancora è lecito.                                                                                                                           

1. RAFFORZARE UDIENZA PRELIMINARE: Prima di tutto non può mancare una considerazione sull’attuale disciplina dell’udienza preliminare. Nelle intenzioni del legislatore del 1988, quest’ultima avrebbe dovuto svolgere un ruolo fondamentale all’interno di un processo incanalato nei principi di un sistema accusatorio, prediletto dagli allora compilatori dell’attuale Codice di Procedura Penale.Proprio grazie all’udienza preliminare, infatti, il fondamento dell’accusa viene valutato attentamente, in modo da evitare un affollamento dibattimentale e, soprattutto, una citazione a giudizio laddove l’accusa risulti infondata.
Ciò perfettamente in linea con i principi della nostra Costituzione, che concepisce una prosecuzione dell’esercizio dell’azione penale solo ove suscitano pienamente i presupposti necessari perché la stessa abbia luogo. Dall’entrata in vigore del Codice ad oggi, tuttavia, l’udienza preliminare è stata oggetto di una serie di interventi normativi che ne hanno svilito i meccanismi, al punto tale da renderla una mera tappa intermedia da svolgersi in vista di un quasi certo rinvio a giudizio.
Motivo per cui intervenire sulla stessa, di modo tale da rafforzarne questa sua fondamentale funzione filtro, risulterebbe assolutamente necessari

2. DURATA DEL PROCESSO E AMPLIAMENTO DEL PATTEGGIAMENTO: Altro tema che necessiterebbe di un significativo intervento è quello della durata del processo. Sarebbe assolutamente contraddittorio non ammettere che la durata dei processi oggi va spesso oltre qualsiasi possibile forma di ragionevole durata, enunciata dal dettame dell’articolo 111 della Costituzione. Un intervento in tal senso, tuttavia, andrebbe condotto tenendo ben presente che il perseguimento della giustizia non va inteso nell’ottica di una “giustizia rapida” a discapito di una “giustizia giusta”Ancora, partendo dal presupposto che oggi ancor più di una volta, complice la barbara pratica del processo mediatico,  l’iter del processo è esso stesso già una pena, costituisce una vera e propria punizione anticipata e, peraltro, scollegata dall’esito processuale perché aprioristica, a maggior ragione non si può non prendere in considerazione l’opportunità di ridurre questa sofferenza.Bisogna sempre avere presente però che se si emettesse una pronuncia concepita in maniera eccessivamente frettolosa il rischio sarebbe quello di porre in essere una lesione ad altri fondamentali ed eguali diritti delle stesse parti. Motivo per cui un intervento anche in tal senso risulta necessario, ma dovrà essere condotto con le dovute misure, volte ad evitare uno svilimento della fondamentale funzione di garanzia che presuppone l’applicazione della legge al caso concreto. Una possibile soluzione potrebbe essere quella prospettata non molto tempo fa da Gian Domenico Caiazza, il presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane. Quest’ultimo lamentava del mancato interesse del governo alla disciplina del patteggiamento, rammentando come, dati alla mano, nell’attuale assetto del processo penale risulti essere proprio questo rito ad avere la maggior efficacia deflativa. Un possibile aumento dei casi in cui sia possibile procedere con il rito ex articolo 444 del Codice di Procedura Penale, dunque, potrebbe rivelarsi una soluzione decisiva in tal senso.

3. RIFORMA DELL’ABBREVIATO: Nella stessa ottica in cui rientra l’ampliamento del patteggiamento, anche l’abbreviato, secondo l’idea di processo e di sistema accusatorio, andrebbe rafforzato e riampliato. Il 23 Aprile 2019 2019, infatti, il governo giallo-verde, con l’appoggio esterno di Fratelli d’Italia, ha introdotto l’inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo, riducendone così l’utilizzabilità. Il rischio concreto della riforma, infatti, consiste nel sovraccarico di lavoro per le Corti d’Assise con un conseguente allungamento dei tempi del processo. L’abbreviato, così come il patteggiamento, è un formidabile strumento deflattivo e ridurne l’applicabilità in questo modo è una scelta precisa. Quella sopracitata è una decisione figlia di una concezione della pena assoluta, infinita ed esemplare, di una legge che impedendo l’abbreviato nei casi di reati punibili con l’ergastolo pare voler condurre a quest’ultimo in maniera inevitabile chiunque ne sia soltanto accusato. Si tratta di un’opzione che non fa mistero della suo sprezzo verso la presunzione di innocenza poiché si ispira all’idea che chiunque sia indagato per reati che prevedono tale pena sia automaticamente da considerare responsabile, secondo il vecchio e insopportabile adagio manettaro “se sei indagato qualcosa avrai pur fatto”. Dunque, in un’ottica di riforma, reintrodurre la possibilità di accedere al rito abbreviato anche per i reati puniti con la pena dell’ergastolo è certamente un punto di fondamentale importanza.

4. NO ALLA ABOLIZIONE SOSTANZIALE DELLA PRESCRIZIONE:  Rimanendo in tema di durata del processo, e facendo riferimento ai recenti interventi di riforma, non si può nemmeno sottacere la necessità di porre freno all’assurda riforma a cavallo tra il sostanziale e il procedurale, quella sulla prescrizione avallata dal precedente governo, che da gennaio 2020 entrerà definitivamente in vigore, un tema che si collega in maniera diretta al tema della durata del processo. Fermare il decorso della prescrizione intervenuto il primo grado di giudizio, infatti, vuol dire privare di una fondamentale garanzia di tutela all’imputato. Considerando, infatti, le tempistiche che in genere intercorrono tra una pronuncia di primo grado e una di secondo grado sulla stessa fattispecie, qualora in appello dovesse intervenire un proscioglimento, la conseguenza sarebbe quella di aver costretto un individuo agli effetti negativi di una condanna poi rivelatasi irragionevole. E, in ogni caso, anche se dovesse essere condannato significherebbe aver sottoposto il reo, e anche le vittime, a una ragionevole durata del processo. Bisogna tenere conto, inoltre, del fatto che la maggior parte delle prescrizioni matura in una fase ancora antecedente al processo come quella delle indagini preliminari, secondo quanto ai rapporti Eurispes. Quest’ultimo dato ci consente di comprendere l’assoluta inopportunità del mito della riforma della prescrizione intesa come un rimedio ai sotterfugi posti in essere dagli avvocati, in quanto nella fase delle indagini preliminari, appunto, gli avvocati non hanno nemmeno accesso agli atti.

5. SEPARARE LE CARRIERE DEI MAGISTRATI: Quello che, infine, risulterebbe essere senza dubbio l’intervento di riforma più coraggioso e che potrebbe valere come necessaria premessa di tutti i punti precedenti, consiste nella separazione delle carriere della magistratura inquirente e giudicante. Come sappiamo a fondamento di un sistema accusatorio, qual è il nostro  il processo si celebra in un’ottica dove difesa e accusa controbattono le proprie ragioni di fronte a un giudice terzo e imparziale. Per far si che ciò accada, è necessario che tra il pubblico ministero e il giudice vi sia una necessaria equidistanza, che solo questa separazione può garantire a pieno. Al momento infatti pubblici ministeri e giudici fanno riferimento a un unico sindacato, l’ANM, hanno il medesimo organo di autgoverno- che irroga anche le sanzioni disciplinari- cioè il CSM, e accedono alla carriera tramite il medesimo esame e gli stessi meccanismi di filtro, avendo così anche una comune impostazione formativa e culturale, pur ricoprendo due ruoli molto diversi. Si rivela necessaria, soprattutto, per garantire  la terzietà del giudice tanto rispetto alla figura del difensore quanto a quella dell’accusa.A chiederlo sarebbe l’art.111 della nostra Costituzione che, in effetti, proprio per i motivi sopracitati, non è mai stato applicato a pieno, mai fino in fondo.

Questi, dunque, alcuni dei principali spunti dai quali potrebbe prendere le mosse questa da tempo conclamata riforma del processo penale che, temiamo, difficilmente avranno spazio nell’attuale panorama politico, nonostante il cambio di esecutivo recentemente avvenuto. Basti pensare che abbiamo assistito alla conferma come Ministro della Giustizia del grillino Bonafede, sintomo di una preoccupante linea di continuità con il primo governo Conte, quello giallo-verde, che, ha portato avanti una linea dichiaratamente ostile alle garanzie individuali e alle più basilari regole dello Stato di diritto.