Crediti immagine: Domenico ‘Mimmo’ Lucano, suspended Riace Mayor arrives at Rome’s La Sapienza university to deliver his speech for the students of university, on May 13, 2019 in Rome, Italy. (Photo by Antonio Masiello/Getty Images)

È di qualche giorno fa la notizia relativa alla condanna in primo grado a 13 anni e 2 mesi di reclusione di Domenico Lucano, ex sindaco di Riace. La notizia ha scosso l’opinione pubblica ed è apparsa, sin dal primo momento, assai severa. In attesa delle motivazioni, in ogni caso, si può fin d’ora provare a ricostruire la vicenda giudiziaria di Lucano, per comprendere le ragioni di questa così discussa decisione del Tribunale di Locri. Mimmo Lucano è diventato sindaco di Riace nel 2004, rimanendo alla guida del Comune di Riace per tre mandati consecutivi fino al 2018. La cittadina, in realtà, aveva iniziato ad accogliere i migranti già dal 1998 e nel 2007 gli stranieri erano circa 600, quasi il 50% della popolazione. Proprio queste particolarità del piccolo borgo hanno fatto sì che il complesso sistema di accoglienza che si stava sviluppando fosse sotto l’occhio attento degli ispettori della prefettura di Reggio Calabria. Tuttavia, se due verbali avevano riferito anomalie in aspetti tecnici e contabili del sistema, al contrario, un verbale di gennaio 2017 si spingeva a celebrare il modello calabrese. A partire dallo stesso anno, però, il Ministero dell’Interno, guidato al tempo da Marco Minniti, decise di sospendere l’erogazione dei fondi destinati alla gestione dei migranti per presunta irregolarità. Nello stesso periodo, Lucano è stato iscritto nel registro degli indagati della procura di Locri per abuso d’ufficio, concussione e truffa aggravata. Iniziava così l’operazione “Xenia” (ospitalità in greco), condotta dalla Guardia di Finanza e conclusasi il 2 ottobre 2018 con l’accoglimento – parziale – della richiesta della procura: il Gip di Locri, infatti, disponeva per Lucano gli arresti domiciliari. L’accusa, che aveva chiesto addirittura la custodia cautelare in carcere, contestava i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di illeciti commessi nell’affidamento diretto del servizio di raccolta rifiuti. Linkiesta racconta nei dettagli la vicenda relativa alla richiesta di misure cautelari: la pubblica accusa era stata costruita delineando un'”organizzazione criminale di truffatori seriali” [1], ricostruzione poi definita dal Gip carente di obiettività. Inoltre, i PM avevano commesso degli errori grossolani: l’oggetto della contestata truffa ai danni dello Stato consisteva in tutte le somme percepite da Lucano e dai suoi collaboratori, senza che fossero detratte le spese sostenute per i servizi regolarmente resi; inoltre, l’accusa era basata su un teste interessato, coinvolto e ascoltato senza la doverosa assistenza legale, e pertanto la sua dichiarazione era inutilizzabile all’interno del processo. In ogni caso, il Gip dispose gli arresti domiciliari, facendo cadere la maggior parte delle accuse, ritenendo che non sussistesse l’associazione a delinquere, forte della valutazione per cui vi fosse un “diffuso malcostume che non si è tradotto in alcuna delle ipotesi delineate dagli inquirenti”. Due settimane dopo, il Tribunale del Riesame revocava i domiciliari sostituendoli con il divieto di dimora a Riace e con la sospensione dalla carica di sindaco. Investita la Cassazione (Cass. 14418/19), il 26 febbraio 2019, anche quest’ultime misure venivano a loro revocate, oltre ad essere ulteriormente delimitati i reati contestati: cade l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, scrivendo inoltre che “a Riace Lucano non aveva compiuto alcuna irregolarità nell’assegnazione degli appalti né c’erano elementi per dire che abbia favorito presunti matrimoni di comodo” [2]. L’unico reato a sopravvivere, dopo il vaglio di legittimità, è l’abuso d’ufficio. Dopo che l’allora Ministro degli Interni Matteo Salvini aveva ordinato lo smantellamento delle strutture legate alla cooperativa, Tar e Consiglio di Stato, nel vanificare gli effetti del procedimento, sottolineavano che, nonostante il caos amministrativo che “emerge con chiarezza dagli atti di causa”, fossero da riconoscere a Riace e ai suoi abitanti innegabili meriti che hanno un “ruolo decisivo nel ritenere superante (e non penalizzanti) le criticità”. L’11 aprile del 2019, Mimmo Lucano veniva rinviato a giudizio per abuso d’ufficio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina assieme ad altri 26 indagati. Pochi mesi dopo, riceveva un’ulteriore informazione di garanzia in ordine al rilascio di documenti d’identità a migranti ospiti nei centri di accoglienza.

Di qui, arriviamo alla sentenza del 30 settembre 2021. Ciò che salta subito all’occhio è l’ammontare della pena – molto superiore rispetto a quella richiesta dalla pubblica accusa – e il numero dei reati contestati: ventuno. Non sono state concesse le attenuanti generiche, cosa insolita per un incensurato. Ad aggravare la situazione, stando a quanto riporta Linkiesta, sembra che l’accusa abbia modificato le ipotesi di reato poco prima della discussione finale, decidendo di non contestare il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. I pubblici ministeri avevano chiesto per Lucano una condanna a 7 anni e 11 mesi per una molteplicità di reati contro la pubblica amministrazione, la pubblica fede e il patrimonio: associazione per delinquere finalizzata a “commettere un numero indeterminato di delitti”, falso in atto pubblico e in certificato, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, abuso d’ufficio e peculato. Secondo la ricostruzione dei fatti operata dell’accusa, tutti i reati sarebbero stati compiuti per perseguire un medesimo disegno criminoso, dunque integrando gli estremi della continuazione [3]. Per l’accusa il reato più grave era la concussione, punita con una pena base compresa tra i 6 e i 12 anni di reclusione, a tal punto che, nella requisitoria, i pm avevano chiesto sei anni per la concussione e ulteriori 23 mesi per i reati “satellite” [4]. I giudici, dal canto loro, hanno assolto Lucano dal reato più grave di concussione, ma senza riconoscere un unico “disegno criminoso”: vi sarebbero due diversi filoni di reati legati dal vincolo della continuazione. In questo modo, le pene base sono due e aumenta di conseguenza l’entità della condanna. Il primo filone ha come reato base il peculato, punito dai 4 ai 10 anni. A questo si aggiungono altri 16 reati, tra cui associazione per delinquere e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Si può verosimilmente ritenere che i giudici non siano partiti dal minimo edittale per il peculato (4 anni), ma abbiano comminato una pena base più alta (che si spiegherebbe in quanto la condanna di peculato riguarda cifre molto alte, quasi 800 mila euro); per questi reati, Lucano è punito con 10 anni e 4 mesi di reclusione. Il secondo filone riguarda altri 5 reati, uniti dal vincolo di continuazione, tra cui il falso in certificato e l’abuso di ufficio. È quest’ultimo il reato più grave, punito con una pena da 1 anno a 3 anni di carcere. La condanna totale, solo per questo filone, risulta di 2 anni e 10 mesi di reclusione. Di conseguenza, la pena complessiva s’attesta a 13 anni e 2 mesi. Per altri 9 capi d’imputazione, invece, Lucano è stato assolto. Egli sarà inoltre soggetto, in solido con altri, alla confisca di oltre un milione di euro. Come scritto supra, a nessun imputato sono state concesse le attenuanti generiche. In ogni caso, le motivazioni arriveranno entro 90 giorni dal deposito del dispositivo. Il pubblico ministero di Locri ha inoltre affermato che la vera finalità dei progetti di accoglienza a Riace era di “creare determinati sistemi clientelari” per un “tornaconto politico-elettorale, e lo si evince da diverse intercettazioni”. Come riporta la Repubblica, Giuliano Pisapia, difensore di Lucano, nel chiedere l’assoluzione con formula piena, aveva definito Lucano “ontologicamente incapace” di agire per guadagno anche solo politico; fedele “rappresentante dello Stato e interprete della Costituzione quando lo Stato era assente”. Saranno da attendere le motivazioni per capire come la Corte ha valutato gli elementi di cui disponeva. Si registra, inoltre, che l’ammontare del conto corrente di Lucano è di 9 euro. E’ agli atti, per ciò che concerne l’ambizione politica, il suo rifiuto alla candidatura alle politiche nel 2018 e alle elezioni europee nel 2019.

A quest’ultimo tema si aggiunga che Lucano è finito sulla “lista degli impresentabili” tenuta dalla Commissione Antimafia perché condannato per reati previsti dalla Legge Severino [5], come il peculato e l’abuso d’ufficio. La conseguenza politica più immediata è certamente l’incandidabilità ed ineleggibilità e non c’è bisogno di attendere le motivazioni. A seguito della sentenza, Letta, come altri esponenti della sinistra, si dice esterrefatto per la condanna a Lucano. È bene sottolineare, tenendo comunque a mente gli aspetti appena analizzati, che i reati contestati a Lucano sono stati spesso oggetto di riforme, e spesso tali riforme sono state compiute anche con il Partito Democratico al Governo. Solo per fare qualche esempio, con il Governo Renzi si è avuta la “nuova legge anti-corruzione” (L.n. 69/2015) che ha aumentato le pene per alcuni delitti contro la PA, come il peculato e l’induzione indebita. Ancora, nel 2017 la riforma del Codice Antimafia, successivamente modificata dal D.l. 76/2020, ne aveva inasprito il regime delle misure di prevenzione personali e patrimoniali. Sebbene l’esorbitante pena comminata sia stata frutto della combinazione di più fattori (in primis, il doppio filone di reati continuati), non può risparmiarsi una critica alla disciplina attualmente vigente sui reati imputati. Non bisogna essere stupiti, dunque, se la pena, al netto dei reati contestati, è così alta. Non si può sperare che il giudice decida appellandosi prima al buon senso che alla lettera della legge. Le motivazioni ci spiegheranno perché non sono state concesse le attenuanti generiche e perché sono stati individuati i due filoni.  Adriano Sofri, da par suo,  l’ha definita una sentenza suicida: una sentenza deliberata assurda, e assurdamente motivata, per garantirsi l’annullamento nei gradi successivi. Trattandosi di un primo grado, ci si può legittimamente augurare e aspettare che la sentenza venga ribaltata. Al di là delle opinioni in merito alla persona di Lucano, a quella degli altri condannati o al modello di accoglienza da  loro creato. In conclusione, facciamo nostre le parole di Gian Domenico Caiazza, Presidente delle Unione Camera Penali Italiane, che, nel far riferimento ai due Lucano – l’amministratore ammirato in tutto il mondo e quello descritto dall’Accusa che consapevolmente viola la legge per ottenere consenso politico ed utilità economiche – scrive: “mai come in un caso così radicalmente controverso, occorre necessariamente attendere la lettura delle motivazioni. Capiremo se sono controversi i fatti nella loro materialità, o se si debba discutere di cause giustificative di condotte comunque violanti della legge. Fa una bella differenza, insomma, capire se si addebitano ingiustamente a Lucano fatti da costui mai commessi, o se invece, pacifici essendo i fatti, si discute se condotte obbiettivamente e dolosamente violanti della legge meritino di essere giustificate da superiori motivazioni etiche e di solidarietà sociale, e perciò non punite. Nel primo caso, ci troveremmo di fronte ad un atto di pura persecuzione giudiziaria e politica; diversamente, la questione è di tutt’altro valore e significato, e si fa complessa.


[1] Si sta citando, qui, Linkiesta. 
[2] Il Riformista: https://www.ilriformista.it/mimmo-lucano-condannato-a-13-anni-e-due-mesi-demolito-il-modello-di-accoglienza-di-riace-colpevole-di-umanita-250768/?refresh_ce.
[3] Il reato continuato (art. 81.2 cp) si configura quando con più azioni od omissioni un soggetto viola più norme di legge per perseguire un unico disegno criminoso, un unico scopo. La peculiarità dell’istituto è nel regime sanzionatorio: non si applica il “cumulo materiale”, ossia la somma delle pene previste per ciascun reato, ma il “cumulo giuridico”: si individua il reato sanzionato più severamente (cd pena base) e la pena totale può arrivare fino a tre volte tanto la pena base.
[4] Quelli che nel reato continuato “gravitano” attorno alla pena base.
[5] L.n. 190/2012 dell’allora Ministra della giustizia del governo Monti, Paola Severino. Fu però Angelino Alfano a dargli vita prima della caduta del IV governo Berlusconi.