Tra i temi etici che stanno dividendo il dibattito parlamentare e non solo, vi è certamente la “gpa”. La gestazione per altri, infatti, è una pratica in cui una donna − diversa dalla committente − s’ impegna a svolgere o solo il ruolo di gestante (madre incubatrice), oppure il ruolo completo di generatrice (madre vicaria), poiché oltre alla gestazione è anche donatrice dell’ovocita. La nuova proposta di legge, che sembrerebbe essere stata suscitata dalle forti reazioni alla circolazione del video girato dai responsabili della clinica Biotexcom di Kiev (dove rassicuravano della salute di decine di culle, contenenti bambini nati da poco tramite gestazione per altri), consiste nel rendere illegale la pratica non solo in Italia, dove già risulta vietata dall’articolo 12, comma 6 della l. 40/2004, ma anche all’estero.
La proposta di legge recentemente depositata da Mara Carfagna, appoggiata dall’intero centrodestra, riguarda una tematica da sempre al centro di grande dibattito, sia sul piano giuridico che sul piano etico: la gestazione per altri. La proposta consiste nel rendere illegale la pratica non solo in Italia, dove già risulta vietata dall’articolo 12, comma 6 della l. 40/2004, ma anche all’estero. Grande indignazione, infatti, era scaturita da un video girato dai responsabili della clinica Biotexcom di Kiev, Ucraina, dove venivano mostrate decine di culle contenenti bambini nati da poco tramite gestazione per altri, con la rassicurazione degli operatori sulla loro buona salute; quindi, venivano invitati i genitori a rivolgersi alle rispettive rappresentanze diplomatiche per accelerare le pratiche bloccate dall’emergenza Coronavirus, così da poter raggiungere l’Ucraina e portare a casa i bambini. Carfagna, in una interrogazione al presidente Conte e ai ministri degli Affari Esteri, della Cooperazione internazionale, dell’Interno e della Giustizia aveva chiesto quale fosse stato il destino di quei bambini, e si era schierata con forza contro quella da lei stessa definita una “palese violazione dei diritti umani”, col deposito della proposta di legge per rendere la pratica illegale anche al di fuori del nostro Paese.
A seconda delle tecniche utilizzate, con la gestazione per altri la donna si impegna a svolgere o solo il ruolo di gestante (madre incubatrice), essendo l’embrione formato da materiale genetico (seme e ovocita) fornito dai committenti (o da donatori estranei), oppure il ruolo completo di generatrice (madre vicaria), poiché oltre alla gestazione è anche donatrice dell’ovocita. Di conseguenza, nel primo caso la “madre genetica” sarebbe la committente; altrimenti, si tratterebbe della madre vicaria, avendo lei stessa non solo portato avanti la gravidanza ma anche fornito il proprio gamete. Una circostanza che può essere analoga nelle due situazioni è, invece, che l’uomo committente sia il padre genetico del bambino, qualora abbia lui fornito il gamete. Per definire la gestazione per altri (in breve “gpa”, e così sarà nominata da questo punto in avanti della trattazione), i termini utilizzati sono stati diversi: maternità surrogata, contratto di maternità, utero in affitto, accordi di riproduzione. Risulta evidente il ruolo pressoché indispensabile del linguaggio che, quando concerne tematiche di tale delicatezza, può risultare decisivo nell’influenzare il pensiero al riguardo: ad esempio, il giudizio valoriale sotteso all’utilizzo della terminologia “utero in affitto” è chiaro nell’uso della parola “affitto”, che rievoca l’idea dell’oggettificazione e del commercio del diritto indisponibile che è quello della vita, ma anche priva della natura di soggetto la donna partoriente relegandola a mero organo, l’utero appunto. In effetti, la critica maggiormente mossa verso la gpa riguarda il pagamento della gestante, che a fine gravidanza “cede” il figlio alla madre adottante. L’accusa è di incoraggiare il commercio di bambini, ledere la dignità della donna e disincentivare la pratica dell’adozione. Tuttavia, ricondurre la gpa solo al pagamento di una prestazione (che è la gravidanza stessa) risulta estremamente riduttivo. Infatti, si può parlare di due tipi differenti di maternità surrogata: quella di tipo commerciale, legale per esempio in Ucraina, India, Russia e alcuni stati degli USA, e quella cosiddetta “solidale” o “altruistica”, praticata in Canada. Quest’ultima assume caratteri molto diversi, poiché non consiste nel pagamento di un corrispettivo in denaro, bensì in un rimborso per le spese relative alle esigenze che la gravidanza comporta, il che escluderebbe lo sfruttamento della madre gestante soprattutto per la gestione estremamente severa e precisa della pratica, che prevede controlli regolari e condizioni tassative perché la gpa altruistica possa essere praticata. Tra queste, per esempio, le condizioni economiche della madre gestante − che non deve versare in condizioni di povertà − e la continua assistenza psicologica alla stessa.
Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, con la sentenza 8 maggio 2019 n. 12193, hanno affermato il principio secondo cui non può essere trascritto nei registri dello Stato civile italiano il provvedimento reso da un giudice estero che accerti il rapporto di filiazione tra un minore, nato all’estero attraverso la maternità surrogata, e un soggetto che, rispetto al medesimo, non vanti alcun rapporto biologico. Nello specifico, si trattava di un provvedimento straniero riguardante due bambini concepiti da uno dei membri di una coppia omosessuale mediante ricorso alla procreazione medicalmente assistita. Secondo la Corte, sarebbe stata intaccata la sovranità statale consentendo l’ingresso nell’ordinamento di un istituto apertamente contrastante con i principi di ordine pubblico; pertanto, il riconoscimento del rapporto di filiazione con l’altro componente della coppia omosessuale collideva col divieto della surrogazione della maternità, individuando in tale divieto un principio di ordine pubblico che tutela due valori distinti: la dignità della gestante e l’istituto giuridico dell’adozione. Ebbene, se questi sono i beni giuridici tutelati, è lecito interrogarsi sulla loro effettiva lesione, e ancora prima se un divieto assoluto rappresenti davvero un bilanciamento giusto degli interessi coinvolti. Inoltre, nel dibattito sembra trascurarsi la genitorialità e il diritto a diventare genitori, che non è un diritto assoluto, ma che è ragionevole chiedersi se davvero sia in contrasto con l’interesse del bambino. Domande a cui risulta impossibile rispondere in modo esaustivo, ma che conducono al vero nodo della questione: il ruolo del diritto penale e uno dei suoi principi fondamentali, ovverosia la laicità.
Molte delle accuse verso la pratica della gpa, come anche quelle in riferimento a tematiche di grande rilevanza etica (il suicidio assistito, per esempio), hanno infatti un connotato evidentemente morale; basti pensare alle ingerenze continue del Vaticano: pochi mesi fa, era stata espressa preoccupazione per l’utilizzo della gpa commerciale in Ucraina, definendola una pratica inaccettabile che “non dovrebbe mai essere chiamata maternità” e che tratta i bambini come “merce acquistata”. Più di recente, invece, nella lettera Samaritanus Bonus la Santa Sede definiva un “crimine” l’aiuto a morire, definendo “complici” chi partecipa a tale aiuto, materialmente o attraverso l’approvazione di leggi. È del tutto lecito, finanche necessario, coinvolgere ciascun punto di vista e sensibilità nella discussione legislativa; cosa ben diversa, però, è che uno Stato − proclamato laico dalla propria Costituzione − assuma in modo rescissorio questo o quel punto di vista, senza farlo entrare in conflitto con quelli ulteriori e diversi. Funzione primaria del diritto penale, infatti, è la protezione dei beni giuridici, che implica necessariamente un bilanciamento di interessi. Perciò, è importante separare, nel limite possibile, sfera morale e sfera del diritto, poiché se il diritto penale serve a proteggere quei beni o interessi dalla cui tutela dipende la garanzia di una convivenza pacifica, è chiaro che debba essere scevro da ogni connotazione sacrale. Il compito del legislatore − deve dirsi conclusivamente − non è punire i peccati dei cittadini, bensì i loro crimini. Per questi motivi, è innanzitutto necessario evitare che le fattispecie di reato si sostanzino nella violazione di un precetto religioso.
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