Il reato di stalking è soltanto un esempio della moltitudine di reati deficitari in tema di tassatività e determinatezza previsti dal nostro ordinamento. L’assenza di questi due requisiti in molte delle fattispecie presenti nel codice e anche al di fuori di esso, sono una grave violazione della nostra Costituzione. Come può l’individuo essere punito, ed eventualmente accettare e comprendere il percorso rieducativo di risocializzazione, se non può conoscere o comprendere in maniera chiara e determinata il contenuto e le forme dei reati previsti dallo Stato? E’ pienamente liberale e democratico lo Stato nel quale è la giurisprudenza a dover costantemente colmare e dare significato alle norme in ambito penale? Per dirla con Montsequieu <<Sono stati dispotici quelli in cui il giudice è, egli stesso, la regola>>, perché, se << i giudizi fossero una opinione particolare del giudice, si vivrebbe nella società senza conoscere esattamente gli impegni che vi si contraggono>>

La trama del diritto penale è intessuta nelle sue fondamenta di dogmi e principi imprescindibili, che si configurano quali regole primordiali e irrinunciabili di giustizia, indispensabili per il corretto funzionamento di qualsiasi sistema penale laico e democratico.      Al centro di questo tessuto dimora il principio di legalità, che si compone di tre fondamentali corollari: il principio di irretroattività, quello di riserva di legge e, infine, il principio di tassatività e determinatezza. Quest’ultimo, in particolare, rinviene la sua ratio nell’esigenza che il giudice penale applichi la legge al riparo da interferenze, senza possibilità di distorcere. il dettato normativo al fine di piegarlo alle proprie convinzioni e alle proprie inclinazioni etiche e morali. La radice di tale assioma risiede nel fondamentale principio democratico, che vuole il Parlamento, quale massimo organo rappresentativo della volontà popolare, detentore esclusivo della competenza in merito alle scelte di politica criminale. Proprio a tal fine, il legislatore è onerato di formulare le norme incriminatrici in modo puntuale e determinato, senza lasciare spazio ad interpretazioni eccessivamente late. Tali indiscutibili premesse, tuttavia, risultano sovente disattese da un legislatore spesso frettoloso e disattento, responsabile talvolta di costruire le fattispecie penali in modo opaco e incerto, mediante l’impiego di termini ed espressioni spesso insuscettibili di afferrabilità, e che si prestano ad interpretazioni ed applicazioni discordanti ed arbitrarie. A ciò si è aggiunto un atteggiamento talvolta eccessivamente prudente e cauto della Corte Costituzionale, che raramente si è avventurata in pronunce di incostituzionalità di fattispecie così congegnate, preoccupata inoltre di evitare la produzione di vuoti di tutela e di generare conflitti indebiti con il legislatore.

Il diritto penale ha conosciuto fin ora numerosi esempi di figure criminose deficitarie sotto il profilo della determinatezza e tassatività, tuttavia riteniamo, ai fini attuali, di doverne evidenziare una tra le più emblematiche e discusse, che tutt’oggi continua ad animare i dibattiti di addetti ai lavori e non. Tale fattispecie è posta dalla norma di cui all’art. 612-bis del codice penale, denominato “Atti persecutori” e più comunemente classificabile come delitto di stalking. In particolare, la norma incrimina “chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.” Premesso che la fattispecie in esame è costruita quale reato di evento a forma libera, tale per cui non risulta tipizzata la condotta illecita – da individuarsi caso per caso – la disposizione manifesta più di un aspetto problematico: a partire dall’elemento caratterizzante, vale a dire la reiterazione delle condotte, fino alle tre ipotesi alternative configuranti l’elemento dell’evento del reato, la presenza di una delle quali è idonea a tracciare il confine tra la figura criminosa in questione e quelle contigue di minacce e molestie (1). In ordine al requisito della reiterazione, sono state avanzate da parte della dottrina numerose perplessità relativamente alla compatibilità di tale presupposto con il cardinale principio che vuole le fattispecie criminose tracciate in maniera puntale e determinata. Invero, il legislatore
non fornisce alcun parametro quantitativo tale da identificare quante azioni siano necessarie perché la condotta essere attratta nell’area del penalmente rilevante, né quale legame qualitativo e temporale debba sussistere tra esse. A colmare tale lacuna è intervenuta in seguito la Corte di Cassazione, la quale ha precisato che al fine di integrare il reato in questione sono sufficienti anche due sole condotte, la cui illiceità è però imprescindibilmente vincolata alla sussistenza del nesso causale con gli eventi di cui all’art. 612-bis.
Nondimeno, gli stessi eventi tipizzati dalla disposizione incriminatrice presentano profili di elevata criticità in relazione alla loro precisione e determinatezza. Questi ultimi, difatti, sono formulati attraverso riferimenti a stati psicologici – lo stato di ansia e di paura, il fondato timore per l’incolumità propria o delle persone a sé legate da una “relazione affettiva”, e
infine, la costrizione all’alterazione delle proprie abitudini di vita – di difficile verificabilità empirica. D’altronde, locuzioni quali ‘ansia’ ‘paura’ e ‘timore’, oltre che estranee al linguaggio giuridico penalistico, sono portatrici di un significato semantico estremamente ampio e suscettibile di essere differentemente valutato a seconda dell’individuo soggetto a tali turbamenti psicologici.  Ciò espone la fattispecie al rischio di un’applicazione, in sede processuale, caratterizzata da una forte discrezionalità decisoria. In ultimo, proprio a causa dell’impiego da parte del legislatore di una terminologia tanto incerta e polisemantica, risulta minata la stessa possibilità di un accertamento univoco del nesso eziologico tra condotta ed evento. Nonostante la presenza di tali profili critici, la Corte costituzionale, adita sulla questione, ha ritenuto di non censurare la legittimità costituzionale della norma in esame, fornendone una interpretazione costituzionalmente orientata che permetta di meglio conciliarla con i principi cardine del nostro sistema penale.

Alla luce di tali valutazioni, le conclusioni cui riteniamo di giungere evidenziano quanto in un sistema penale veramente garantistico e rispettoso dei diritti fondamentali degli individui sia imprescindibile la corretta ponderazione e – conseguente – formulazione delle fattispecie che il legislatore sceglie di attrarre nell’area del penalmente rilevante. Come più volte ribadito dalla stessa Consulta, il principio di legalità verrebbe infatti rispettato solo nella forma ma sostanzialmente eluso se le norme fossero formulate in modo talmente equivoco ed impreciso da consentire al giudice, in sede di applicazione della sanzione, di ricostruire la figura criminis secondo il proprio arbitrio.

1 Salvatore Messina, Il principio di tassatività e determinatezza ed il divieto di analogia della legge penale nel reato di atti persecutori (c.d.“stalking”) e nel fenomeno del c.d. “femminicidio” dopo la Legge n. 193 del 2013, www.ildirittoamministrativo.it