L’inchiesta della Procura di Firenze sulla Fondazione Open è salita nuovamente agli onori della cronaca. L’attenzione dell’opinione pubblica è stata catturata, come di consueto, dall’invio dell’informazione di garanzia ad alcuni noti esponenti politici e dalla diffusione di presunti dettagli pruriginosi privi di qualsiasi rilevanza. Anche le reazioni del mondo politico sono quelle previste e prevedibili. Poco interesse (e non c’è da stupirsi) hanno invece suscitato alcune decisioni della Corte di Cassazione riguardanti la medesima indagine. Al contrario, noi proponiamo qui di analizzarle.
Con la sentenza n. 28797 del 2020, la VI sezione della Corte ha annullato l’ordinanza impugnata (con cui il Tribunale di Firenze aveva confermato il decreto di perquisizione e sequestro emesso dal P.M. nei confronti di Carrai Marco in relazione al reato di cui agli artt. 110 c.p., 7 legge 195 del 1974 e 4 legge 659 del 1981) con rinvio al Tribunale di Firenze per un nuovo giudizio alla luce dei principi esposti. Secondo la prospettazione accusatoria, l’art. 7 legge 195 del 1974 (che punisce il c.d. finanziamento illecito ai partiti) sarebbe stato applicabile alla luce dell’equiparazione della Fondazione Open all’articolazione politico-organizzativa di un partito. L’ipotesi di reato, infatti, è riferibile ai finanziamenti in favore di partiti o di loro articolazioni politico-organizzative. L’equiparazione tra una fondazione politica ed un’articolazione di un partito è ammissibile solo ove siano ravvisabili elementi che valgano a conferire all’ente un contenuto e un’operatività concretamente diversa rispetto a quella apparente e dichiarata. Conclusione, questa, cui però può giungersi tramite “una rigorosa verifica dell’azione della fondazione, del tipo di rapporto con il partito o con suoi esponenti, della rilevanza della sua operatività ai fini dell’azione del partito o dei suoi esponenti, della sostanziale mancanza di una funzione diversa e autonoma, manifestatasi costantemente negli anni, anche alla luce di una analisi dell’attività svolta e delle entrate e delle uscite ad essa connesse“.
Il Tribunale di Firenze ha omesso una verifica effettiva del fumus del reato che, nel caso di specie, avrebbe dovuto coinvolgere anche l’operatività della Fondazione Open, “in modo da poter inquadrare gli elementi prospettati al di fuori della ordinaria attività di una fondazione politica e da poter per contro suffragare, sia pur all’attuale stadio delle indagini e per le relative finalità, l’assunto accusatorio“. Vizio che si è tradotto in un duplice profilo di violazione di legge, sia con riferimento alla mancanza di motivazione sia al presupposto inquadramento giuridico della fattispecie. La sentenza n. 30225 del 2020, sempre della VI sezione, ha annullato senza rinvio l’ordinanza del Tribunale di Firenze (che aveva confermato il decreto di perquisizione e sequestro emesso dal P.M. nei confronti di Serra Davide, in relazione ai reati di cui all’art. 346-bis c.p. ed agli artt. 110 c. p., 7 legge 195 del 1974 e 4 legge 659 del 1981; sequestro avente ad oggetto mail archiviate e il PC di proprietà di una società, in uso al ricorrente) e il decreto genetico, con restituzione all’avente diritto dei beni in sequestro. La Corte ha ritenuto fondata la doglianza riguardante il difetto di motivazione in ordine al fumus, con specifico riguardo al delitto di cui all’art. 346-bis del codice penale. Peraltro, sono state stigmatizzate quelle attività investigative di ricerca della prova rivolte, specificatamente, non tanto a trarre conferme di ipotesi ragionevolmente formulate, bensì ad acquisire la vera e propria notizia di reato. Con riguardo all’ipotesi del finanziamento illecito, per la Corte è mancata l’individuazione del nesso di pertinenzialità tra l’ipotesi di reato ed i beni sottoposti a sequestro. Inoltre, è stata ribadita “l’illegittimità di un sequestro avente primari fini esplorativi e volto ad acquisire la notizia di reato in ordine ad un illecito non individuato nella sua specificità fattuale“.
Pertanto, proprio dall’analisi delle due sentenze della Corte di Cassazione si deve partire per evitare le consuete e stantie polemiche sui rapporti tra politica e magistratura. L’esito dei due ricorsi conferma l’esistenza di un giudice a Roma e, quindi, il ruolo di garanzia (pur tra limiti ed errori) ricoperto dalla giurisdizione. Inoltre, viene smentita la concezione semplicistica che vede nella magistratura un monolite politicizzato che persegue finalità partitiche unitarie. Desta preoccupazioni fondate il fenomeno delle indagini rivolte non alla ricerca degli elementi di prova (al fine di valutare l’esercizio dell’azione penale), ma alla ricerca della notizia di reato, che dovrebbe invece essere propedeutica alle indagini stesse. La politica dovrebbe finalmente interrogarsi sugli errori commessi: non solo l’approvazione di norme che hanno scardinato quel delicato equilibrio tra poteri voluto dai Costituenti, ma anche l’aver assecondato, fomentato e strumentalizzato un clima di giustizialismo imperante. A poco serve lamentarsi quando si è vittime di presunte infondate ingerenze degli investigatori se nulla si vuol fare per riformare il sistema. Infine, vi sono i media e l’opinione pubblica che non possono autoassolversi dalle loro evidenti responsabilità, fintanto che si continuerà ad invocare indagini palingenetiche per riversare sul capro espiatorio di turno le proprie colpe, a pubblicare in prima pagina le informazioni di garanzia e solo in un trafiletto le sentenze di assoluzione.
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