L’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato la risoluzione per la moratoria universale della pena di morte ma, in Italia, secondo l’ultimo rapporto. CENSIS, il 43% della popolazione gradirebbe il ritorno della pena capitale. Di questo, abbiamo parlato con Elisabetta Zamparutti, Tesoriere di Nessuno Tocchi Caino, Ong della galassia radicale che da anni si batte per l’affermazione dei diritti e delle garanzie individuali in ambito penitenziario e per la abolizione universale della pena di morte.
È recente la notizia dell’approvazione, da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU, della risoluzione per la moratoria universale della pena di morte, promossa da un gruppo di paesi tra cui l’Italia. Quanto è importante questo risultato? Quali sono le ricadute concrete di questo passaggio?
È un risultato importante perché sono aumentati i paesi che hanno votato a favore: quest’anno, infatti, abbiamo raggiunto il numero record di 123 Stati che hanno detto “sì” alla moratoria universale delle esecuzioni capitali. Nel 2007, quando per la prima volta Nessuno Tocchi Caino propose la risoluzione nel Palazzo di vetro delle Nazioni Unite, i voti a favore furono 104, per cui in una decina d’anni si sono aggiunti quasi 20 paesi. I contrari quest’anno si sono ridotti a 38, gli astenuti sono stati 24 e gli assenti 8. Questa risoluzione è un documento che ha una valenza politica e morale enorme, e il numero così elevato di sostenitori imprime un’accelerazione al processo abolizionista storicamente in corso.
Ciò detto, un numero non trascurabile di paesi nel mondo continua a ricorrervi e, in termini generali, il numero di persone giustiziate è ancora rilevante. Quali sono gli Stati in cui è maggiormente praticata la pena di morte? Cosa li accomuna?
Se è vero che la pena di morte è ancora praticata nel mondo, è vero anche che il numero di paesi che ancora compiono esecuzioni si riduce ogni anno, così come si riduce il numero delle persone giustiziate. Tale pena è utilizzata maggiormente in Cina, Iran e Arabia Saudita: tutti paesi totalitari e illiberali, dove si concentra oltre il 90% delle esecuzioni capitali compiute ogni anno nel mondo. Questo vuol dire che l’abolizione della pena di morte è strettamente legata all’affermazione dello stato di diritto e al pieno riconoscimento dei diritti umani. C’è da dire, però, che tra i mantenitori della pena capitale figurano anche gli Stati Uniti, un paese indubbiamente democratico.
Al di là delle grandi differenze esistenti tra uno Stato e l’altro della federazione statunitense, durante il mandato di Trump è stata riattivata la pena di morte federale e vi sono state, anche di recente, diverse esecuzioni. Con Biden cambierà qualcosa o sarà difficile tornare indietro? La questione abolizionista è ancora centrale nel dibattito pubblico americano?
Gli Stati Uniti hanno conosciuto, soprattutto in quest’ultimo anno, una brutta pagina della loro storia: il presidente Trump ha ripreso in maniera massiccia le esecuzioni a livello federale, dopo anni di moratoria in cui non si praticavano. Il presidente, però, è cambiato, perché in un paese democratico i cambiamenti sono possibili. Il neoeletto Joe Biden ha in programma di abolire la pena di morte, pertanto ci auguriamo che gli Stati Uniti possano compiere passi significativi in questo senso, considerando anche che l’opinione pubblica − secondo i più recenti sondaggi − sempre di più si schiera contro. Peraltro, voglio anche ricordare come questa pagina buia della presidenza Trump trovi un altro aspetto mortifero nel propagarsi del coronavirus nelle carceri americane: ci sono stati ben 1.700 morti e oltre 270.000 detenuti contagiati negli istituti penitenziari, tanto federali quanto statali. Se guardiamo le carceri, soprattutto in quest’amministrazione, ci avvediamo del fatto che il “sogno americano” sia diventato un incubo di cui speriamo di poterci liberare presto.
Tale gestione dell’emergenza sanitaria nelle carceri rischia di rappresentare una condanna a morte “di fatto”…
Infatti, hai detto proprio bene. Tra l’altro Nessuno Tocchi Caino − associazione che ha concepito e condotto la battaglia per la moratoria universale delle esecuzioni capitali − è impegnata nella lotta per l’abolizione della pena di morte, della pena fino alla morte ed anche della morte per pena. Oltretutto, stiamo coltivando la visione di una società che possa superare gli istituti penitenziari, cioè quei luoghi preposti alla pena, dunque a far penare. Noi crediamo che oggi ci si possa organizzare per rendere il momento espiativo della condanna un momento di riparazione e riconciliazione, così da vivere tutti all’insegna di una giustizia che abbia in sé la grazia e non sia animata unicamente da un senso di vendetta. Come sappiamo, il male chiama altro male e il bene chiama altro bene. Bisogna incardinare processi virtuosi che riescano a trasformare quello che c’è di negativo in qualche cosa di positivo, piuttosto che continuare a focalizzarsi su ciò che non va bene, alimentandone sempre il pensiero. Il carcere, in fondo, è questo: un luogo di segregazione dove nascondiamo il male senza metabolizzarlo; non elaboriamo quello che porta le persone a commettere reati. Abbiamo avviato quest’ampia riflessione a partire dal nostro congresso che si tenne un anno fa nel carcere di Opera a Milano, e la vediamo riecheggiare molto in questi tempi, anche in parole e prese di posizione sull’abolizione del carcere da parte di magistrati come Gherardo Colombo − uno dei grandi protagonisti di Tangentopoli −, che oggi è diventato uno dei principali sostenitori della giustizia riparativa.
E il faro dovrebbe essere rappresentato dall’art. 27 della Costituzione.
Esattamente, si tratta sempre di far vivere quei principi che sono già scritti nella Carta costituzionale italiana ed anche nella Convenzione europea per i diritti dell’uomo. Noi non dobbiamo solo scrivere i principi che vogliamo ispirino la nostra società, ma dobbiamo anche dargli corpo. In questo senso, le lotte di Nessuno Tocchi Caino cercano, attraverso l’informazione e l’incardinamento di ricorsi giurisdizionali alle corti supreme, di contribuire alla soluzione di problemi strutturali del nostro Paese. Lo abbiamo fatto recentemente, per esempio, sul tema dell’ergastolo ostativo, ottenendo la sentenza Viola c. Italia, che ha condannato la stessa per non aver ancora previsto, in sostanza, il diritto alla speranza, che è un diritto umano spettante ad ogni uomo, a prescindere dal reato che ha compiuto. Per tutti è possibile cambiare, e a tutti deve essere data questa possibilità. In fondo, è questa la ragione per cui, un anno fa, aggiungemmo alla denominazione della nostra associazione un ulteriore riferimento biblico: “Spes contra Spem”, cioè essere speranza contro l’avere speranza. Tutti noi dovremmo incarnare quel cambiamento che vorremmo vedere nel mondo, senza aspettare che siano gli altri a concedercelo. Ognuno è artefice del mondo in cui vuole vivere.
Ecco, a proposito del mondo in cui si vuole vivere, l’esito del 54° Rapporto Censis non è certo rassicurante. Il 43% degli italiani, infatti, sarebbe favorevole alla reintroduzione della pena di morte. Come si spiega questa “voglia di ghigliottina”?
È chiaro che di fronte ad anni di informazione allarmista e giustizialista, senza che parole di segno diverso venissero mai pronunciate, ci sia un inasprimento delle reazioni, quasi un tornare ad una dimensione reattiva (“a male chiedo altro male”). Secondo me, però, sondaggi di questo tipo non si dovrebbero fare. Il fatto che in Italia − come in altri paesi del mondo − si sia arrivati ad abolire la pena di morte è un dato acquisito che non può essere messo in discussione. Sarebbe come chiedere se si è a favore della reintroduzione della schiavitù: magari a molti farebbe comodo avere uno schiavo a propria disposizione, ma è assodato che così indietro non si può e non si deve tornare. Poi c’è anche il limite del come viene posta la domanda. Se, ad esempio, si spiega quale ruolo ha giocato l’Italia nell’abolizione della pena di morte nel mondo e poi si chiede un parere circa la sua reintroduzione nel nostro Paese, è probabile che la risposta sia negativa; se, invece, si cerca di suggestionare l’interlocutore menzionando un crimine gravissimo, magari la risposta sarà diversa. Diciamo che è tutto relativo. Non lo è, però, il principio della pena capitale, da cui sono liberi i codici penali, militari e anche la Costituzione.
In conclusione, dopo l’approvazione della moratoria, quali sono i prossimi step della battaglia per l’abolizione universale della pena capitale?
Innanzitutto, bisogna tradurre quel testo in norme concrete nei singoli paesi che ancora praticano la pena di morte. Poi, dialogare con i mantenitori, richiedendo insistentemente una moratoria in vista dell’abolizione o l’abolizione stessa. Questo processo è storicamente in corso: la pena di morte è un ferro vecchio del passato di cui tutti si devono liberare. Noi di Nessuno Tocchi Caino pubblichiamo una newsletter − quotidiana e settimanale − con le principali notizie sulla pena di morte, positive o negative che siano, sostenuta anche dal Ministero degli Affari Esteri. La nostra battaglia andrà avanti anche con iniziative di sensibilizzazione dei governi e di generale informazione sull’evoluzione della pena di morte nel mondo. Io approfitto anche di questo spazio per chiedere, a chiunque voglia, di sostenerci con l’iscrizione, che si può fare dal sito www.nessunotocchicaino.it oppure anche chiamando il 335 8000577.
Commenti recenti