Abbiamo raggiunto telefonicamente l’Onorevole Debora Serrachiani, deputata e responsabile giustizia del Partito democratico, per discutere insieme alcuni dei temi più significativi del dibattito politico attuale in tema di giustizia, concentrandoci in particolare sul d.l. sicurezza e sulla proposta di riforma costituzionale riguardante la separazione delle carriere dei magistrati.
*crediti foto in calce all’articolo
Negli ultimi anni, non solo con l’attuale Governo, si è vista una crescente tendenza a usare il diritto penale per fini di costruzione del consenso. Il recente d.l. sicurezza sembra inseririsi in questo solco. Qual è la sua opinione?
È vero che, in passato, in alcune circostanze si è fatto ricorso al diritto penale per fornire risposte che si sarebbero potute cercare altrove. Tuttavia, l’apice di questo approccio è stato raggiunto dall’attuale Governo: il numero di reati introdotti rappresenta un unicum, almeno nella storia recente. Il punto massimo è stato toccato con questo decreto sicurezza, che presenta numerosi profili d’illegittimità, sia sotto il profilo formale sia sotto quello sostanziale. Dal punto di vista formale, il provvedimento era inizialmente un d.d.l. [disegno di legge, ndr] su cui il Parlamento ha lavorato per mesi ed è stato improvvisamente trasformato in un decreto. È evidente l’assenza dei presupposti di necessità e urgenza, e ci batteremo affinché la questione sia portata all’attenzione della Corte Costituzionale.
Sul merito invece?
Ci sono diversi aspetti che non convincono, tra cui l’“aggravante di luogo”, applicabile quando un reato è commesso in una stazione o nelle sue adiacenze. La questione riguarda la definizione di “pertinenza” o “adiacenze”, termini di diritto civile poco chiari in ambito penale. Inoltre, s’introduce un’aggravante basata sul luogo del reato piuttosto che sulla condotta dell’autore, sollevando problemi. Le questioni sarebbero molte, ma il punto fondamentale è un altro: non è attraverso l’inasprimento delle pene che si previene la commissione di certi reati, soprattutto se non s’investe in misure di natura sociale, economica e culturale. La verità è che la maggior parte dei reati è determinata dal contesto ambientale in cui si verificano ed è qui che bisogna intervenire.
Le volevo poi chiedere un commento specifico sulla norma che punisce la rivolta all’interno di un istituto penitenziario anche di chi solo resista agli ordini impartiti.
È una scelta politica: la destra scarica sulla giustizia penale il proprio furore ideologico, non potendo farlo sulle materie economiche o sociali. Il carcere oggi è una vera e propria emergenza nazionale: sovraffollamento, carenza di organico, mancanza dei spazi, assenza di programmi trattamentali e detenzione in carcere di soggetti che hanno conclamati disagi psichici o che soffrono di tossicodipendenze, sono solo alcune delle ragioni che determinano il tradimento della finalità rieducativa sancita dalla Costituzione. Il Governo non ha affrontato nessuno di questi problemi; al contrario, li ha aggravati. La situazione è drammatica anche negli istituti penali per minorenni, che non sono mai stati così sovraffollati come negli ultimi due anni.
Se foste voi al governo e doveste prospettare delle soluzioni concrete per migliorare la situazione carceraria, cosa fareste?
Alcuni interventi devono essere adottati nell’immediato: uno di questi riguarda la modifica della disciplina sulla liberazione anticipata. È necessaria una semplificazione della procedura tramite l’introduzione di un “fascicolo del detenuto” che lo segua in ogni istituto penitenziario. Così, ogni richiesta di liberazione anticipata non richiederà una nuova istruttoria. Inoltre, è urgente introdurre la liberazione anticipata speciale, come proposta da Roberto Giachetti, riservata a chi ha commesso reati meno gravi e ha tenuto un buon comportamento in carcere. Abbiamo anche presentato, insieme a Riccardo Magi, una proposta di legge per finanziare le “case territoriali intermedie”. Si tratta di strutture destinate a coloro che devono scontare gli ultimi mesi di pena, con l’obiettivo di favorire il reinserimento e rafforzare l’attività trattamentale al di fuori del carcere. Nel medio-lungo periodo, è poi necessario chiudere alcuni istituti penitenziari che risultano ormai impossibili da recuperare, penso ad esempio a Canton Mombello, a Brescia, o a Sollicciano, a Firenze. È chiaro che servono nuovi spazi e strutture più adeguate, ma questo non significa che la soluzione consista semplicemente nell’aumentare il numero di posti disponibili: ciò che proponiamo è un nuovo modo di concepire l’edilizia penitenziaria.
Nel “pacchetto sicurezza” sono state introdotte misure restrittive inerenti alla canapa, criminalizzando molte attività imprenditoriali. Cosa ne pensa?
È una norma folle che sta mettendo in ginocchio migliaia di imprese e lavoratori e che non ha nulla a che vedere con la lotta e la prevenzione sulla droga, ma che colpisce un’intera filiera produttiva, nonostante il settore sia stato sostenuto anche da incentivi di matrice europea.
Se foste al Governo cancellereste questa norma?
Assolutamente sì. Salveremmo posti di lavoro, salveremmo aziende e si proseguirebbe con un investimento importante. Ma, soprattutto, si farebbe chiarezza: è fondamentale non confondere ciò che è droga con ciò che non lo è.
A proposito di droga: in un’Europa che si muove in direzione opposta (anche per quanto riguarda la canapa con alti contenuti di THC), qual è la vostra posizione?
Il PD ha una posizione, abbiamo presentato alla Camera con le altre opposizioni una mozione con la quale abbiamo voluto fare chiarezza e salvaguardare la filiera della canapa, l’uso terapeutico della stessa e aprire a ulteriori considerazioni da fare anche nel nostro Paese. Personalmente, riconosco che ci sono argomentazioni sensate per la legalizzazione, secondo un approccio graduale che prenda in considerazione la modifica della Legge Fini-Giovanardi. Nel clima politico di oggi non vedo spazi per ragionare serenamente su questo tema.
Cambiando tema, sappiamo che il suo partito è contrario alla separazione delle carriere. Ci vuole spiegare le ragioni?
Le ragioni sono diverse. Innanzitutto, non si tratta davvero di una riforma delle carriere ma si tratta, piuttosto, di una riforma della magistratura nel suo complesso che mira a comprometterne l’autonomia e l’indipendenza rispetto agli altri poteri dello Stato. Molti sostenitori della separazione affermano che sia necessaria perché il PM è “troppo forte”. Ma basta guardare i dati: quasi il 50% dei processi si conclude con un proscioglimento e, in moltissimi casi, il giudice si discosta dalla linea proposta dal PM. Quindi non è affatto vero che ci sia un automatismo tra accusa e decisione.
C’è chi potrebbe obiettare che quel 50% di assoluzioni non dimostra la terzietà del giudice, ma che il filtro dell’udienza preliminare non funzioni come dovrebbe, proprio perché il giudice fatica a discostarsi dalla tesi dell’accusa già nella fase iniziale del procedimento.
È vero: la fase delle indagini preliminari è senza dubbio una delle più delicate dell’intero processo. Tuttavia, va detto che la riforma in discussione non tocca minimamente questa fase. Del resto, da quando è stato introdotto il rito accusatorio, il sistema non è mai stato completamente portato a compimento. Ma chi sostiene che la separazione delle carriere servirebbe a completarlo, commette un errore: il rito accusatorio attuale si è evoluto in modo molto diverso rispetto a come era stato originariamente pensato e oggi non ha bisogno della separazione delle carriere per funzionare. Inoltre, non condividiamo affatto l’introduzione del sorteggio per la composizione del CSM. Non è vero che il sorteggio eliminerà le correnti e noi crediamo che all’interno del CSM debbano sedere le persone più competenti e qualificate. La presenza di diverse appartenenze, storie e culture giuridiche è una ricchezza. Se oggi le correnti sono in crisi, non è con il sorteggio che si risolve la questione. Piuttosto, sarebbe opportuno evitare le nomine a pacchetto. Tuttavia, occorre allargare lo sguardo e interrogarsi sugli obiettivi reali che questa riforma persegue. La separazione delle carriere rappresenta con ogni probabilità l’unica riforma costituzionale — e l’unico referendum costituzionale — che si terrà in questa legislatura. Ma non è un provvedimento isolato: è il grimaldello per iniziare a smantellare l’impianto costituzionale, un processo che proseguirà con l’autonomia differenziata e il premierato. L’obiettivo ancora non svelato di questo Governo pare non essere quello di rendere il Giudice veramente terzo, ma di rendere il PM asservito al potere esecutivo ed alterare il sistema dei pesi e contrappesi che costituisce uno degli elementi portanti dell’architettura costituzionale e dà attuazione concreta al principio della separazione dei poteri.
Premesso che il testo della riforma è chiaro ed inequivocabile nel tutelare l’indipendenza del PM, e che a noi, come associazione, non piace in generale l’idea del PM sotto l’esecutivo, non si deve dimenticare che nella maggior parte dei Paesi europei in cui il PM è incardinato sotto l’esecutivo l’accusa riesce comunque a mantenere la propria indipendenza rispetto all’indirizzo politico che esprime il governo…
Oggi in Francia il PM è un dipendente del Ministero della Giustizia. Vogliamo arrivare a questo punto anche nel nostro ordinamento? Io personalmente no, credo che si altererebbe l’equilibrio di quei pesi e contrapesi che chi ha scritto la Costituzione aveva ben chiaro uscendo dal secondo conflitto mondiale e dalle armi del fascismo. Se guardiamo poi agli Stati Uniti, ma per carità! Il 96% dei procedimenti penali finisce con un patteggiamento e pubblici ministeri sono eletti direttamente dal popolo e devono fare campagna elettorale.
Certo, però se guardiamo al modello portoghese, abbiamo un esempio lampante di come si possano separare le carriere senza sottoporre il governo al controllo dell’esecutivo…
Nel sistema portoghese i magistrati partono divisi fin dall’inizio. Ma c’è da dire anche una cosa, che quello è il luogo nel quale un primo ministro è stato costretto a dimettersi perché ritenuto indagato, quando invece si trattava di un omonimo. Non so se mi spiego. Non vedo lati positivi in questo. Però, prima di concludere, vorrei svolgere una ultima considerazione se mi è consentito.
Certamente, prego.
C’è un tema di metodo che deve essere sottolineato: per la prima volta nella storia della Repubblica, una riforma costituzionale di questa portata viene presentata sin dall’inizio come un testo “blindato”. Il Parlamento, per la prima volta, non ha potuto esercitare il proprio ruolo in alcuna fase del procedimento. Questo è un fatto estremamente grave.
*foto ricavata dall’articolo su Avvenire
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