Le vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi, in particolare la condanna del 2013 per frode fiscale, tornano ad occupare il dibattito pubblico. Oggetto della discussione è un supplemento di documentazione depositato dai suoi difensori nell’ambito del ricorso presentato presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Innanzitutto, vi è una recente sentenza del Tribunale civile di Milano che ricostruisce la medesima vicenda in termini diversi rispetto alle sentenze di condanna del procedimento penale. Le attenzioni, però, si sono concentrate su alcune dichiarazioni del giudice Amedeo Franco, relatore della sentenza della Corte di Cassazione nel procedimento penale contro Berlusconi, registrate alcuni anni fa durante un colloquio con lo stesso Berlusconi e rese pubbliche soltanto dopo la morte del giudice. Riportiamo alcuni stralci della trascrizione dei dialoghi: <<Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà […] a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia…abbiamo avuto il sospetto, diverse persone che mi condividevano…anche colleghi che non sono suoi supporti, suoi ammiratori politici, anzi sono
avversari politici che però sono persone corrette, hanno avuto l’impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata…dall’alto! La vicenda processuale è molto strana, molte persone, anche in pensione, mi vengono a dire “certo là hanno fatto una porcheria perché che senso ha mandarla alla feriale?… Ci vuole un minimo di apertura mentale per capire una questione così delicata, va alla sezione competente, non va alla sezione dove stanno cinque che poi uno solo per necessità capisce di questa cosa e gli altri quattro non capiscono niente Poi una sezione feriale è sempre fatta con gli ultimi appena arrivati, ragazzini… è stata una decisione traumatizzante e ha avuto pressioni e così via. Ho detto: Io questa sentenza non la scrivo, se volete posso firmare perché io faccio soltanto l’antefatto ma qua firmate tutti perché io da solo sennò non la firmo>> Ed ancora: <<malafede del presidente sicuramente…>>; inoltre: <<I pregiudizi per forza che ci stavano… si potesse fare…si potesse scegliere… si potesse… si poteva cercare di evitare che andasse a finire in mano a questo plotone di esecuzione, come è capitato…[…] Questa…mi ha deluso profondamente questa… perché ho trascorso tutta la mia vita in questo ambiente e mi ha fatto… schifo, le dico la verità, perché non… non… non è questo, perché io … allora facevo il concorso universitario, ho vinto il concorso e continuavo a fare il professore. Non mi mettevo a fare il magistrato se questo è il modo di fare, per… colpire le persone, gli avversari politici. Non è così. Io ho opinioni diverse della… della giustizia giuridica. Quindi… va a quel paese…va>>.
Se quanto raccontato si rivelerà e si confermerà come vero (secondo le procedure e le modalità previste), si imporrebbe uno spaccato tremendo: un giudice che sente il bisogno di parlare con l’imputato della sentenza che lo ha riguardato definendola un’ingiustizia; una sentenza di condanna decisa a priori; la giustizia utilizzata per colpire un avversario politico; pressioni e malafede. Inoltre, il giudice fornisce la sua versione circa due anomalie della decisione: la prima circa la firma da parte di quattro estensori e la seconda riguardante l’assegnazione alla sezione feriale, motivata all’epoca sul presupposto dell’imminente incombere della prescrizione, che sarebbe stata invece frutto di un errore nel calcolo della stessa. Vi è un altro aspetto meritoriamente sottolineato da Davide Giacalone su Huffington Post. In una successiva sentenza della terza sezione della Corte di Cassazione (alla quale sarebbe stato assegnato il ricorso presentato da Berlusconi se non fosse stato assegnato alla sezione feriale), del 20 maggio del 2014, relatore sempre il giudice Amedeo Franco, si legge: <<In sostanza, la corte d’appello appare aver adottato una interpretazione (analoga a quella poi seguita dalla Sezione Feriale 1/8/2013, n. 35729) (…) Si tratta però di una tesi che no può essere qui condivisa e confermata, perché contraria alla assolutamente costante e pacifica giurisprudenza di questa Corte ed al vigente sistema sanzionatorio dei reati tributari>>. La citata sentenza n. 35729 del 2013 è proprio la sentenza riguardante il caso Berlusconi.
Ovvie le reazioni sconcertate e le polemiche successive alla divulgazione delle dichiarazioni che hanno riaperto vecchie ferite viste le innegabili implicazioni politiche dei nuovi risvolti. Il rischio da evitare è di ripiombare nello scontro tra opposte fazioni che ha segnato un’epoca con esiti infausti. La personalizzazione e la politicizzazione del dibattito riguardante i temi della Giustizia hanno paralizzato ogni autentica azione riformatrice in quanto qualsiasi proposta è stata vista come un attacco alla Magistratura o come una norma ad o contra personam. Così come è stata svilita la bandiera del garantismo, oggi agitata in difesa dell’amico colpito, domani ripiegata dinanzi alle sventure dell’avversario di turno. Il tema dei rapporti tra Politica e Magistratura andrebbe visto da altra, più ampia, inquadratura. Il problema non è solo la politicizzazione dei giudici ma anche il ruolo di supplenza politica esercitato dalla Magistratura. La politica dovrebbe esaminare gli errori che hanno portato a tale squilibrio tra i poteri. Sono stati i partiti, con la legge costituzionale n. 3 del 1993, ad esempio, ad abolire l’autorizzazione a procedere necessaria per sottoporre un parlamentare a procedimento penale, facendo così saltare il delicato equilibrio voluto dai costituenti. Ancora, sono stati i partiti a cedere alla tentazione di strumentalizzare le inchieste giudiziarie per colpire gli avversari così riconoscendo di fatto la subalternità della politica. Soprattutto, quest’ultima ha abdicato al proprio ruolo di guida del paese e di risolutrice delle problematiche sociali cedendolo ai magistrati (dalla politica criminale ai temi etici ed a quelli ambientali, solo per fare alcuni esempi). In questo contesto più ampio si inseriscono e vanno valutate le vicende giudiziarie di Berlusconi che sono state solo un capitolo, non l’ultimo, dei rapporti tra Giustizia e Politica. Di certo, l’effetto sul pubblico più vasto può essere quello di accrescere la sfiducia nella Giustizia soprattutto da parte del cittadino che teme di non avere voce dinanzi ad errori ed ingiustizie. L’unica speranza, remota, è superare divisioni e polemiche per riformare profondamente la Giustizia e la magistratura.
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