Nelle scorse settimane il Consiglio dei ministri ha approvato lo schema di Decreto Legislativo correttivo del riordino delle carriere delle Forze di Polizia adesso sottoposto all’esame delle Commissioni parlamentari.

Vi è un aspetto della proposta che ha scatenato polemiche: la modifica della gerarchia interna agli istituti di pena con il conferimento di maggiori poteri ai vertici della Polizia penitenziaria rispetto ai direttori. Numerose critiche sono state mosse dagli stessi dirigenti (circa 100 dirigenti hanno scritto al Capo del D.a.p. ed al Ministro della Giustizia per manifestare la loro contrarietà), dalla Conferenza dei Garanti dei detenuti, dall’Osservatorio carcere dell’Unione delle Camere penali italiane, dall’associazione Antigone, dal Partito Radicale e infine anche dal Conams, il coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza.

E’ stato avanzato il timore che la riforma possa comportare un ritorno al passato con una “militarizzazione” del carcere. ​Ad oggi sono i direttori, che sono dei civili, a gestire le carceri, ricoprendo un ruolo super partes tra le varie figure che cooperano all’interno degli istituti e garantendo l’equilibrio tra le istanze di sicurezza e la funzione rieducativa della pena.

Il direttore si occupa della gestione contabile, ha competenza circa le sanzioni del richiamo e della ammonizione (art. 40 o.p.) ed a lui spetta l’ultima valutazione nei casi di impiego della forza ed uso dei mezzi di coercizione (art. 41 o.p.). Con la riforma, ad esempio, il direttore perderebbe il potere conferito dall’art. 41 o.p. così come la valutazione professionale e disciplinare degli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria.

​Ciò che non si comprende è l’esigenza di una tale riforma di cui non si sente alcun bisogno. Le nuove norme (che si collocano all’interno di un intervento riguardante legittime richieste riguardanti miglioramenti economici e di carriera del Corpo di polizia penitenziaria) non risolvono alcuno dei problemi endemici che affliggono il sistema penitenziario né rispondono ad una emergenza in corso. La proposta sembra l’ennesima manifestazione di in un diffuso approccio carcerocentrico e securitario: dal successo di slogan quali “buttare la chiave” e “marcire in galera” alla retorica sulle carceri quali hotel a 5 stelle, dal tormentone sulla certezza della pena alla sfiducia nelle misure alternative, dall’affossamento della riforma dell’ordinamento penitenziario frutto del lavoro degli Stati generali fino alle recenti polemiche sulle decisioni della Corte Costituzionale e della Corte EDU sull’ergastolo ostativo. Si mette in discussione la funzione rieducativa della pena garantita dalla Costituzione in favore di una visione punitiva e vendicativa della pena che si riflette in un modello carcerario di sola custodia e vigilanza.