Le dimissioni consegnate dal Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone tradiscono l’urgenza di questioni di rilievo non solo per quanto riguarda la vita della Pubblica Amministrazione e il suo rapporto con il Governo ma invitano a una riflessione sotto il profilo del bilanciamento d’interessi relativo alla contrapposizione tra la libertà dai vincoli burocratici che spesso hanno caratterizzato -e caratterizzano- il vivere della macchina amministrativa, e la zelante vigilanza volta alla prevenzione dei fenomeni corruttivi e alla contestuale previsione di misure di controllo sull’operato dei vari stakeholder.
Cantone ha dichiarato di aver consegnato le proprie dimissioni per due ordini di ragioni: il bisogno di tornare ad indossare la toga in un momento tanto difficile per la magistratura colpita dagli scandali relativi al CSM e l’incompatibilità tra il suo ruolo (e quello dell’istituzione da lui presieduta) e l’attuale esecutivo, ma procediamo per gradi e analizziamo la storia di ANAC. Con il Decreto Legge n. 90/2014 convertito in Legge n. 114/2014, veniva istituita l’Autorità Nazionale Anticorruzione, in un periodo nel quale secondo i dati del Corruption perception index del 2013, l’Italia si posizionava tra gli ultimi della classe in compagnia dei paradisi fiscali. Sull’onda di questo alto tasso di corruzione percepita -è bene sottolinearlo, percepita-, l’istituzione dell’Autorità presieduta da Raffaele Cantone ha rappresentato, dunque, la risposta a un’allarme sentito dalla collettività che ha richiesto misure di peso specie nel settore dei contratti pubblici. Se, da un lato, tale risposta ha prodotto una forte reazione all’emergenza legata alla corruzione e all’assenza di trasparenza nei rapporti intrattenuti dalla P.A. con i diversi operatori del mercato, dall’altro, essa ha anche determinato l’elaborazione di misure eccessive e poco efficaci. L’attività dell’ANAC si è sviluppata nell’esplicazione dei propri poteri di vigilanza e di quelli para-giurisdizionali che hanno inciso in modo penetrante provocando l’esclusione dall’accesso alle procedure a evidenza pubblica di quelle imprese scopertesi condizionate dalla presenza di organizzazioni criminali potenzialmente corruttrici. Tale tendenza ha portato negli anni scorsi all’acquisizione di qualche posizione nella classifica sopracitata del Corruption Perception Index. A fare da contraltare a queste operazioni tuttavia, è stata la paralisi di cui molte imprese, a volte anche quelle di inferiori dimensioni, hanno sofferto a causa di procedure di selezione eccessivamente complicate nell’ambito del medesimo disegno votato alla trasparenza e alla tutela della pubblica amministrazione. Dal punto di vista degli operatori economici l’operato ANAC di questi anni si porta con sé degli strascichi burocratici che hanno scoraggiato la partecipazione delle imprese alle gare pubbliche e hanno comportato, di riflesso, la propensione a stipulare contratti pubblici con stazioni appaltanti di altri Paesi membri dell’Unione Europea (come il Portogallo, la Francia, la Danimarca) che presentano meccanismi di controllo molto meno complessi e che, cionondimeno, garantiscono un basso tasso di corruzione nell’ambito del lavoro svolto dalle proprie Amministrazioni, come testimoniamo i dati pubblicati nello scorso Gennaio dalla Commissione Europea.
Negli anni in cui Presidente del Consiglio era Matteo Renzi e in quelli in cui tale ruolo veniva ricoperto da Paolo Gentiloni lo spazio riservato al Presidente dell’ANAC ha ricoperto un rilievo determinante per l’esecutivo di quegli anni nel segno di una politica di regolazione puntuale, all’interno di un progetto costruito sulle priorità della trasparenza e della correttezza (talvolta a tutti i costi, anche ove essi fossero molto onerosi per le società imprenditoriali). Accanto ai poteri consultivi, rilevante si è rivelata anche la vocazione “regolatoria” che è tipica delle Autorità indipendenti e che, nel caso dell’ANAC, viene declinata in modo del tutto peculiare perché gli atti di regolazione, in alcune materie, per la generalità e astrattezza dei contenuti, assurgono a veri e propri regolamenti in senso sostanziale, sebbene dal punto di vista formale vengano qualificati diversamente.
Ecco, quindi, che se dell’ampiezza dei poteri attribuiti dalla legge all’Autorità presieduta Raffaele Cantone gli esecutivi di centro-sinistra avevano fatto motivo d’orgoglio essendo i suddetti poteri frutto di un decreto legge da essi partorito, per il governo giallo-verde quel margine di condizionamento che Cantone avrebbe potuto esercitare ancora fino al Marzo del 2020, data di scadenza naturale del suo mandato (non rinnovabile a garanzia della integrità dell’Autorità), ha rappresentato una sorta di “spina nel fianco”. I pareri di Raffaele Cantone non erano più avvertiti come rilevanti, né necessari, dai giallo-verdi, venivano richiesti con molta meno frequenza rispetto all’epoca dei governi precedenti e, di conseguenza, il rapporto tra l’Authority e il governo a trazione leghista-cinque stelle si andava incrinando mano mano che quest’ultimo interveniva in materia di P.A.. Questo clima ha condotto a uno spoil system de facto non essendo l’incarico di Cantone suscettibile di revoca per ovvie ragioni di garanzia. Lo stesso Cantone ha dichiarato nel giorno delle sue dimissioni di comprendere “che un ciclo si è definitivamente concluso anche per il manifestarsi di un diverso approccio culturale nei confronti dell’Anac e del suo ruolo” facendo riferimento a una distanza con l’attuale governo non dovuta soltanto alla tendenza della stampa ad avvicinare politicamente la persona del Presidente Cantone a quella dell’ex premier Matteo Renzi, ma, anche perché, come dichiarato dal Ministro per la Pubblica Amministrazione Giulia Bongiorno, è sorta l’esigenza di procedure per l’assunzione di contratti pubblici e di qualificazione delle stazioni appaltanti che risultino più spedite.
Numerosi sono comunque i dubbi che sorgono rispetto all’inversione di tendenza che ci si aspetta in ANAC dal momento che il futuro presidente di tale Autorità verrà proposto da un nuovo Presidente del Consiglio, e “confermato” da nuove Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato. Le tendenze e i propositi politici di questa fase, infatti, evidentemente sono differenti da quelli del Presidente del Consiglio che aveva nominato Cantone e della maggioranza parlamentare che lo appoggiava. L’attuale governo, infatti, ha già dimostrato in svariate occasioni il proprio atteggiamento populista in materia giudiziaria, specie rispetto al problema della corruzione: si pensi, a titolo esemplificativo, alla legge “spazza-corrotti”. Tra le varie perplessità ci si chiede quali saranno le misure che l’attuale governo promuoverà. Sarà interessante, inoltre, vedere se, e in che misura, la componente del Movimento Cinque Stelle dell’attuale esecutivo (che della lotta armata alla corruzione senza alcuna pietà o rispetto dello Stato di diritto ha fatto da sempre un proprio cavallo di battaglia) terrà vivo il legame rappresentativo con la propria base elettorale, avendo, in diversi casi, sacrificato -o voluto sacrificare- molte opportunità di crescita per le imprese sull’altare delle scelte ideologiche.
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