In questo momento di precarietà ed emergenza, non sono pochi ad esaltare e lodare il “modello cinese”. Ecco tutti i motivi per cui il regime di Pechino non è affatto un esempio da seguire, men che meno nella gestione politica del Corona Virus.
Il senso di precarietà, di incertezza e di panico causati dal Covid-19, diffusi lungo tutta la penisola e non solo, senza distinzioni di sesso, razza, religione e credo politico, ci sta proiettando su un tracciato finora inedito, sia per ciò che concerne gli aspetti sociali e relazionali, sia per quanto riguarda le misure messe in campo per gestire questa pandemia. In situazioni emergenziali come questa, in cui la tempestività e la certezza delle risposte da parte delle istituzioni diventano fondamentali, davanti all’enorme difficoltà nel contenere quest’emergenza sanitaria, c’è sempre chi cerca di sfruttare le difficoltà e le crepe del sistema per attaccare la democrazia liberale e il rispetto dello Stato di diritto, “inutili” e “fastidiosi” orpelli da smantellare per poter rispondere meglio ai bisogni e alle necessità del momento. In questo senso non passano inosservati gli elogi al sistema autoritario cinese, in uno scenario apocalittico e assurdo, nel quale assistiamo alle esternazioni di taluni esponenti politici italiani ed europei che sembrano aver dimenticato le censure e gli arresti di medici e giornalisti, rei di aver raccontato al mondo intero ed anzitempo quello che stava accadendo in Cina.
Il regime autoritario cinese, infatti, era al corrente della gravità della situazione da inizio Dicembre, ma ha deciso di non darne informazione e di tacere lo scoppio del virus fino a Gennaio, rendendosi così il principale responsabile della diffusione del Corona virus a livello globale. Zhan Xianwang sindaco di Wuhan, prima città colpita dal Corona, in una recente intervista concessa alla TV cinese ha ammesso che le informazioni non sono state veicolate tempestivamente perché le epidemie- stando alle leggi cinesi- rientrano nel campo del segreto di Stato, e pertanto necessitano dell’ autorizzazione dei vertici per essere comunicate ai cittadini, ai media e quindi alla comunità internazionale. Dinamiche che, neanche troppo lontanamente, ricordano le modalità di gestione della comunicazione utilizzate dall’allora URSS durante la tragedia di Černobyl’.
Dunque, davvero vogliamo prendere esempio dalla Cina? Mentre ce lo domandiamo la Repubblica Popolare Cinese continua a censurare le notizie e a manipolare dati a propria discrezione: il Citizen Lab, gruppo di ricerca canadese, ha rilevato che dal 1°gennaio le autorità statali continuano ad applicare una forte censura sulle piattaforme virtuali, filtrando tutte le parole chiave che riguardano il Covid-19 per impedire qualsiasi critica alla classe dirigente cinese.
Ecco, contro le epidemie funzionano meglio le democrazie o i regimi totalitari? Il Corona virus, in tal senso, potrebbe rappresentare un elemento di confronto, anche ideologico, tra le democrazie liberali e i sistemi autoritari: una ricerca condotta dall’Economist evidenzia che tutte le epidemie sono state in media più letali nei casi di gestione della cosa pubblica da parte di governi autoritari, uccidendo a causa del vulnus democratico-e quindi di libera informazione-sei persone ogni milione di abitanti, mentre nelle democrazie liberali il rapporto vede quattro vittime ogni milione. Di censura e di gestione autoritaria dell’epidemia sa qualcosa Lì Wenliang, il medico cinese che da un ospedale di Wuhan aveva dato per primo l’allarme circa la comparsa di questa misteriosa malattia e che, dopo pochi giorni da questa coraggiosa azione, è stato silenziato dal regime “per aver fatto commenti falsi su internet”. Ironia di una sorte disgraziata, l’oftamologo 33enne si è ammalato e dopo diverse settimane è morto da eroe. D’altro canto, da circa tre settimane non si hanno notizie di Lì Zehua, giornalista di CCTV, arrestato dai servizi di sicurezza cinesi per aver documentato il corso dell’epidemia nella metropoli della provincia dell’Hubei e per aver mostrato sui social network l’azione draconiana e violenta delle autorità cinesi sui cittadini, sottomessi da una dittatura che non garantisce libertà e che arresta e addirittura uccide i suoi oppositori. Secondo i dati riportati dal governo cinese, il Covid-19, in quel che fu il Celeste Impero, avrebbe un tasso di mortalità del 3,5%. È razionale credere alle cifre di Pechino? Basti pensare che a Lianshui, nella provincia dello Jiangsu, un’intera famiglia è stata blindata dalle autorità locali con sbarre di ferro, e nella loro abitazione è stato appeso un cartello con su scritto: “In questa casa vive una persona rientrata da Wuhan. È vietato toccare”. Dopo alcuni giorni la famiglia ha confessato che, se il vicino non avesse calato del cibo dal balcone, sarebbero morti di fame.
Lo stesso Joshua Wong, leader di Demosisto -organizzazione pro democrazia che sostiene l’autodeterminaziome di Hong Kong- nonché avversario dichiarato del governo cinese e della governatrice del “Porto profumato” Carrie Lam, in una recente intervista ha ribadito che “Il governo di Lam ha avuto una gestione disastrosa della crisi. Abbiamo chiesto di chiudere subito il confine con la regione di Guandong, che è stata la più colpita dalle infezioni dopo l’Hubei, ma non abbiamo ricevuto risposta. Non abbiamo ancora abbastanza mascherine e dobbiamo combattere una guerra contro il virus con le mani legate. Tutte le mascherine importate dalla Cina non possono entrare ad Hong Kong e le spedizioni online sono state sabotate. C’è stata un’assenza totale di trasparenza, in quanto i numeri forniti non sono neanche lontanamente vicini a quelli reali”. E’ preoccupante, inoltre, la decisione da parte delle autorità cinesi di espellere i giornalisti corrispondenti per New York Times, The Washington Post e The Wall Street Journal. Obbligati a restituire i loro tesserini, non potranno seguire le vicende cinesi neanche da Hong-Kong e da Macao. Scelta, questa, che non necessita di ulteriori commenti.
Per quel che riguarda l’Italia nello specifico, non può passare inosservato il tweet di Hua Chunying, portavoce del Ministro degli Esteri cinese nonché Direttrice Generale del Dipartimento dell’Informazione di Pechino. Esso mostra le immagini di alcuni italiani che, dai balconi delle proprie abitazioni, cantano l’inno cinese in segno di riconoscenza per le donazioni ricevute dalla Repubblica popolare cinese. E’ opportuna, infatti, una precisazione di non poco conto: le apparecchiature mediche e i medicinali non sono arrivati in Italia gratis, ma sono state regolarmente acquistate dal nostro governo; dunque nessuna azione umanitaria da parte di Xi Jinping. D’altronde questo è il regime, questa è la propaganda. Se è pur vero, dunque, che nei Paesi autoritari alcune decisioni vengono prese con maggiore rapidità, è possibile allo stesso tempo affermare che le democrazie favoriscono una più fluida circolazione delle informazioni, il che significa trasparenza, affidabilità delle notizie e quindi migliore gestione della epidemia anche da parte dei singoli cittadini e individui.
Quel che è certo, in conclusione, è che il 2020 sarà un anno epocale e stravolgerà probabilmente gli assetti geopolitici attuali, mettendo di fronte ad un bivio l’Unione Europea. Molto probabilmente è ancora prematuro prendere posizioni nette su chi assumerà la guida del post Covid-19, tuttavia c’è già chi ritiene che il mondo, superata questa fase delicata, sarà caratterizzato da nuove forme di cooperazione globale. D’altro canto, altri autorevoli esperti sostengono che si andrà verso una “slowbalisation”, ossia un rallentamento della globalizzazione con la creazione di sistemi differenti con al centro potenze economiche regionali. La diffusione del virus apre le porte a nuove sfide per l’Europa ed attesta la necessità di velocizzare il processo di integrazione nell’ambito della sicurezza e della sanità. Al contempo, la pandemia potrebbe essere l’alibi dei sovranisti per affossare il Trattato di Shengen e permettere così alla Cina di ridefinire gli equilibri economici nel continente europeo, culla di democrazia e stato di diritto. L’espansione di questa pandemia sia da monito per il futuro. Si riprendano gli insegnamenti del Manifesto di Ventotene di Rossi, Spinelli e Colorni per aspirare ad una Europa unita, capace di gestire qualsiasi questione in maniera univoca e di mettere da parte gli egoismi intergovernativisti dei paesi membri.
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