La volontà di scrivere questo articolo nasce dall’esigenza di far venire alla luce una profonda ingiustizia e di raccontare la drammatica e controversa vicenda che ha riguardato Mario Crisci. Nel 2020, il Tribunale di sorveglianza di Bologna, di rimando all’istanza di Crisci di differimento dell’esecuzione della pena (per ragioni di salute e in connessione con l’emergenza pandemica), ha motivato il fondamento del rifiuto con la resistente pericolosità sociale del soggetto, ritenendola “affinata” alla luce delle lauree conseguite durante la detenzione, poiché utili a “reiterare condotte illecite“. Allora, sorge la domanda: può lo studio – strumento di rieducazione per eccellenza – contribuire alla pericolosità sociale di una persona? E qual è stato il percorso di Mario Crisci fino a quel rigetto, che ha segnato un nuovo e radicale iato all’interno della sua vita? A voler approfondire la storia, emergono risposte tanto sorprendenti quanto preoccupanti. Per usare le parole di Fabrizio De André, questa è «una storia sbagliata». La storia di Mario Crisci è fatta di delitto e rivalsa, di giustizia e di pena, di sviluppo personale e di dignità negata; s’intreccia e s’incontra con un racconto più ampio, quello dei Poli Universitari Penitenziari e offre, in questa sede, lo spunto per esaminare la cosiddetta “tutela multi-livello” riservata al diritto allo studio, nonché il dialogo di quest’ultimo con la funzione rieducativa della pena, prevista all’art. 27 comma 3 Cost.

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*foto tratta dall’articolo pubblicato in abuondiritto.it