L’ultima novità è la volontà, espressa dal Ministro pentastellato, d’inasprire le sanzioni della fattispecie di omicidio stradale. Una proposta di “riforma” slegata dalla realtà, l’ennesima operazione di marketing e di populismo penale. Un’operazione allo stesso tempo inutile e dannosa. In particolare, il progetto di legge prevede l’arresto obbligatorio (non più facoltativo) del conducente che in caso di omicidio stradale o di lesioni aggravate omette di collaborare o si dà alla fuga. E ancora, l’arresto in flagranza- anche a fronte della collaborazione- se chi ha causato l’incidente mortale è un soggetto pericoloso con dei precedenti penali. Ancora, si prevede l’eliminazione della circostanza attenuante nel caso in cui l’evento morte non derivi esclusivamente dall’azione o dall’omissione del colpevole. Vengono abrogati gli sconti di pena e si prevedono, infine, una serie di aumenti di pena: pena aumentata della metà quando il conducente in stato di ebbrezza alcolica omette di prestare assistenza a coloro che eventualmente hanno subito danni alla persona, ovvero non si mette immediatamente a disposizione della polizia giudiziaria (nella versione attuale è a un terzo), oltre ad un aumento a due terzi della pena in ogni caso di omissione di soccorso. 

Il reato di omicidio stradale è stato introdotto nel nostro ordinamento nel 2016, in pieno Governo Renzi, in un momento nel quale, tra l’altro, non vi era nessuna emergenza a riguardo, ma una fase di progressiva e consolidata diminuzione  (da 6.621 morti per incidente stradale dell’anno 1990 ai 3.385 del 2013). Con la legge 41 del 23 marzo 2016,  infatti, si è prevista una fattispecie specifica prima assente, sulla scia di un’ operazione politica evidentemente orientata all’ottenimento di consenso presso i cd. comitati dei parenti delle vittime ed in generale all’offerta di un’immagine di ordine, rigore e zero tolerance. Il classico schema, ormai ben conosciuto, del marketing legislativo in tema penale, cui anche Matteo Renzi, relativamente più attento ai temi delle garanzie rispetto alla maggioranza dei politici nostrani, è stato artefice. Da quel giorno, ritroviamo l’omicidio stradale all’ articolo 589-bis del codice penale, in cui sono previste tre diverse ipotesi delittuose di diversa gravità e l’inasprimento della pena, con una cornice edittale estendibile fino a diciotto anni e non più massimo a dodici, quando la condotta in questione veniva ricompresa e punita come “semplice” omicidio colposo. Oltre al chiaro contrasto con il principio di proporzionalità della pena, si è registrata anche la totale inutilità di tale previsione. Dal 2016 a oggi, infatti, come ampiamente prevedibile, gli omicidi stradali non sono diminuiti, a consolidare il dato per cui l’inasprimento della cornice edittale di una pena non è mai automatica ed empirica deterrenza dalla commissione del corrispondente reato. Nel 2015, infatti, secondo l’ISTAT sono stati 3.428 i decessi per incidenti stradali, con lievi diminuzioni e aumenti fino alle 3.325 del 2018. In sostanza, si mantengono i medesimi livelli che vi erano prima dell’inserimento della nuova fattispecie.

E’ in questo contesto, alla luce delle considerazioni di cui sopra, che non si comprende la ratio, se non in chiave di propaganda penal-populistica, della proposta del Ministro Bonafede di voler ulteriormente irrigidire le sanzioni per l’omicidio stradale. Una scelta che, a ben guardare, non sorprende, in quanto drammaticamente in linea con la sempre più assidua propensione dell’attuale guardasigilli ad utilizzare la pena come strumento di speculazione politica alla ricerca del consenso, prendendo di mira (non a caso) le ipotesi di reato più sensibili al risalto mediatico -come quella in esame. L’invocazione di riforme a furor di popolo si manifesta in pericolosa contrapposizione con i principi diametrali che dovrebbero legittimare e limitare la pretesa punitiva statale. Continuare a vedere nelle pene particolarmente aspre, e prima ancora nella pena in sé, l’unico salvacondotto al quale ricorrere per sopperire alle incapacità di regolamentazione normativa è una ricorrenza che andrebbe al più presto interrotta. Le parole del recentemente compianto maestro Filippo Sgubbi continuano a trovare drammatiche riconferme anche nell’episodio in discorso: il diritto penale è entrato sempre più prepotentemente nelle nostre vite, a tal punto da porsi come diritto penale totale. E le ha persuase in modo da lasciar credere che non vi sia altra soluzione se non la sua continua chiamata in causa, atta a garantire quell’ordine sociale che, al contrario, la sua frequenza non fa che mettere a repentaglio. Gli insegnamenti dell’illustre Professore dovrebbero fungere da monito per un esecutivo, come il nostro, che fin dal suo insediamento è solito disinteressarsi ai principi fondamentali e dello Stato di Diritto, oltreché al buon senso, quando legifera in materia penale.