Abbiamo raggiunto telefonicamente Enrico Costa, già Viceministro della Giustizia e Ministro per gli Affari Regionali, oggi deputato di Forza Italia. Con l’Onorevole abbiamo parlato di intercettazioni, separazione delle carriere, dl Sicurezza e situazione carceraria.


*crediti foto in calce all’articolo

Volevamo partire da una riflessione sulla recente legge Zanettin, che è intervenuta a regolare il limite di durata delle intercettazioni. L’Associazione Extrema Ratio si è già espressa in positivo, e la legge pare andare nella giusta direzione, con la richiesta di una motivazione rafforzata per le proroghe successive ai primi 45 giorni di autorizzazione, con l’obiettivo di evitare automatismi e proroghe in bianco. Vi è, tuttavia, chi rileva che il limite di 45 giorni possa creare disallineamenti rispetto alla durata massima di 18 mesi delle indagini preliminari. Qual è la ratio della riforma? Cosa ne pensa di questi rilievi critici?

La riforma applica un principio, secondo me, basilare. L’affievolimento di un diritto costituzionale, qualunque esso sia, in questo caso il diritto alla riservatezza delle comunicazioni, richiede che vi siano dei fondamenti e, in sostanza, degli interessi che giustificano questa compromissione. Si richiede, ovviamente, la sussistenza dei gravi indizi di reato che giustificano l’intercettazione, ma anche il tempo ha una sua valenza fondamentale: può essere dilatato nella misura in cui vi è una giustificazione, vi è un fondamento, questo è lo spirito della legge. Ma è uno spirito che dovrebbe applicarsi nel caso di ogni compromissione di diritti fondamentali, ad esempio della libertà personale, nel caso delle misure cautelari. Il termine di 45 giorni è, perciò, assolutamente razionale, consentendo di avere proroghe di intercettazioni che non possono essere più giustificate con una clausola di stile, ma, nel momento in cui si arriva al 45° giorno, si deve motivare rafforzatamente la ragione per cui la compromissione del diritto alla riservatezza deve essere estesa nel tempo. Cosa diversa è il termine riguardante tutte le indagini preliminari nel complesso: poi, molte volte, è il Pubblico Ministero che, con un’ulteriore patologia del sistema, non compie atti investigativi diversi dalle intercettazioni, mentre il G.I.P. si finge burocraticamente morto, accordando ogni autorizzazione o proroga delle intercettazioni, per non interferire con il lavoro del Pubblico Ministero.

Restano, comunque, esclusi dalla nuova disciplina i reati di criminalità organizzata.

Noi abbiamo semplicemente chiesto non di limitare le intercettazioni, bensì di motivare e specificare, in modo rafforzato, il perché il diritto alla riservatezza viene compresso. Dopodiché, abbiamo escluso dalla nuova disciplina alcuni gravi delitti, per cui non opera il limite dei 45 giorni. Fuori dal caso di questi gravi delitti, riteniamo necessaria l’operatività, in via generale, di quel limite: quando non ci sono elementi sufficienti, quando non c’è nulla che si muove, è evidente che non c’è una giustificazione per la compromissione del diritto alla riservatezza delle comunicazioni, quindi, dopo 45 giorni, l’intercettazione deve cessare.

Faceva cenno a un parallelismo fra intercettazioni e misure cautelari, nello specifico fra tutela (e, così, limitazione) del diritto alla riservatezza e della libertà personale…

Confermo, a me piacerebbe che, dopo un certo tempo, si facesse un tagliando anche rispetto alle misure cautelari: e, sul punto, c’è proprio una proposta di legge di Forza Italia a firma dell’On.le Calderone, che va in questa direzione (n.d.r. richiedendo al G.I.P. di riesaminare il rischio di reiterazione del reato dopo 60 giorni dall’applicazione della misura cautelare). Non è che le intercettazioni non si possono più fare – e, allo stesso modo, non è che le misure cautelari non si potrebbero più applicare – ma semplicemente si richiede di giustificare gli elementi a fondamento della compromissione di un diritto fondamentale. Questo è lo spirito.

Veniamo, adesso, a quello che è storicamente un tema divisivo, cioè la cosiddetta separazione delle carriere. Anche qui, Extrema Ratio si è, da subito e pubblicamente, espressa in senso favorevole, e non da quest’anno, bensì fin dalla sua fondazione. Come risponde alle tante critiche rivolte alla riforma?

Innanzitutto, io vedo la separazione delle carriere come un obiettivo essenziale: e parlo, adesso, proprio della separazione delle carriere in sé, non del sorteggio dell’Alta Corte, che meriterebbe una riflessione a parte. La separazione delle carriere è essenziale perché punta a rafforzare il ruolo del giudice. E, nello specifico, quando rafforza il ruolo del giudice? Proprio nella fase delle indagini preliminari e, così, ci ricolleghiamo a quanto detto finora sulle intercettazioni. Durante la fase investigativa, di fatto, il più delle volte, il G.I.P. non esiste: dovrebbe svolgere un controllo sull’attività del Pubblico Ministero, ma quest’ultimo, con la sua forza mediatica, finisce per schiacciarlo. In altre parole, se il giudice prova a negare una proroga di indagini, una richiesta di intercettazioni, una richiesta di misure cautelari, una richiesta di rinvio a giudizio, lo si accusa di bloccare il corso naturale della giustizia. L’abbiamo visto in molte circostanze: qualche giudice coraggioso ha saputo dire di no, ma la forza, anche mediatica, del Pubblico Ministero lo ha schiacciato, mentre l’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) – che dovrebbe difendere l’operato del giudice – non ha sufficientemente tutelato il G.I.P. dalla forza mediatica del Pubblico Ministero, fortissimo nella fase delle indagini preliminari. Dopodiché, è vero, il giudice riacquista una certa sua forza durante il processo: e arriviamo, così, a un 50% circa di assoluzioni, proprio perché si spengono i riflettori mediatici e, a quel punto, il Pubblico Ministero perde la sua forza mediatica. Il Pubblico Ministero vince il processo mediatico già durante le indagini preliminari, perché la condanna mediatica arriva proprio già in fase di indagine, con le conferenze stampa, con i giornali che pubblicano titoloni di accusa. Detto questo, il Pubblico Ministero, anche quando si accorge che il suo impianto accusatorio non funziona, chiede molto spesso comunque di andare a processo. Una sorta di processo temerario in molti casi, in cui è scritta l’assoluzione, ma, nel frattempo, l’indagato-imputato ha penato per anni, finché il giudice non riacquista progressivamente, nel corso del processo, la propria forza. Questo è il punto fondamentale della separazione delle carriere: rafforzare la figura del giudice, soprattutto nella fase delle indagini preliminari.

Quindi, vede un collegamento molto stretto tra la separazione delle carriere e la fase delle indagini preliminari, se ho capito bene…

Sì, fondamentale, perché, oggi, anche esternamente la figura del Pubblico Ministero appare come una figura di un quasi-giudice, che emette una sentenza già nella fase delle indagini preliminari: e, invece, non è così. Per questo, il cittadino, che mediamente non ha approfondite conoscenze giuridiche, confonde molto spesso la tesi del Pubblico Ministero – trasferita come oro colato da parte dei giornali – come una vera e propria sentenza. Sebbene, in realtà, la sentenza vera del giudice arriverà dopo anni. Questo è lo spirito della riforma sulla separazione. Dopo, in altra sede, subentra il tema della riforma del CSM e dell’Alta Corte.

Spostandoci verso un altro tema di grande attualità, veniamo al Decreto Legge Sicurezza, che, con una mutazione improvvisa, è passato, appunto, da ddl Sicurezza a dl Sicurezza. Ecco, Extrema Ratio si è mostrata, sul punto, fortemente critica, segnalando la deriva di un utilizzo off-limits del diritto penale…

Io ho detto e scritto più volte che il codice penale dovrebbe essere mantenuto il più intatto possibile nel corso degli anni, perché la credibilità della giustizia penale si ha anche attraverso una costanza delle sue norme sostanziali e processuali. Invece, mano a mano – con responsabilità, devo dire, di tutti i governi – si è utilizzata la scorciatoia penale per risolvere i problemi. Io ho sempre auspicato, per esempio, che le innovazioni penalistiche venissero approvate a maggioranza qualificata. Così come trovo che la legislazione d’urgenza dovrebbe essere utilizzata veramente con il bilancino, soprattutto in materia penale: la modifica del codice penale deve, infatti, avvenire con una ponderazione che la legislazione d’urgenza non consente. Anzi, vedrei bene una riforma complessiva del codice penale, con una commissione che si metta al lavoro, non in una situazione emergenziale, con la decretazione d’urgenza, ma con un approccio organico.

Proprio su questo noi volevamo chiederle: secondo lei è possibile che il Governo possa tornare a rimettere mano – se non ai provvedimenti clemenziali – almeno a misure in senso lato alternative al carcere, introducendone di nuove o potenziando quelle esistenti (solo per fare un esempio, la messa alla prova)? Secondo lei c’è una possibilità anche remota di fare questo?

Allora, io le parlo per il mio partito, per Forza Italia. E devo dire che noi abbiamo sempre ritenuto che la certezza della pena non significa certezza del carcere. Io penso che, invece, la pena deve essere una pena finalizzata a un reinserimento in società della persona; mentre, il carcere, molto spesso, non si distingue, certo, per rispetto della dignità della persona e non sempre rappresenta la soluzione migliore in vista del ritorno alla vita libera.

Ha fatto specifico ed espresso riferimento al suo partito (Forza Italia) e al suo posizionamento. Allora cogliamo l’occasione per un’ultima osservazione: di recente abbiamo intervistato l’On.le Roberto Giachetti, che ha segnalato una certa mobilità all’interno delle posizioni penalistiche di Forza Italia, ritenendolo un partito non garantista fino in fondo. Come replica?

No, Forza Italia, come intero partito, ha un profilo garantista. In questo momento, rappresenta per eccellenza la forza politica più garantista all’interno della maggioranza. È evidente, poi, che all’interno della maggioranza ci sono delle sfumature diverse e non sempre le nostre proposte prevalgono. Però io devo dire che il nostro approccio adesso sarà un approccio molto deciso e molto determinato: molto più deciso e molto più determinato in ragione appunto della situazione, a partire carcere, che ci troviamo di fronte agli occhi.


*foto ricavata dall’articolo su Il Riformista