Al di là della recente sentenza della Corte Suprema, per conoscere il grado di salute e di tutela del diritto all’aborto in Oklahoma, USA, è utile raccontare la storia di Brittney Poolaw, una ragazza di 21 anni che è stata condannata a 4 anni di carcere con l’accusa di omicidio colposo di primo grado. La giovane donna, però, era incinta di 17 settimane quando, a gennaio del 2020, ha avuto un aborto spontaneo, che secondo il tribunale competente sarebbe stato indotto dall’assunzione di sostanze stupefacenti. Il paradosso è che in Oklahoma, al momento in cui risale la vicenda, l’aborto era legale e nessuna norma ne incriminava la forma spontanea come un omicidio colposo.

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Nonostante la condanna per omicidio colposo, i medici non sono stati della stessa opinione: quando Poolaw andò al Memorial Hospital di Lawton, scrissero nel referto che non c’erano tracce di sostanze stupefacenti nel feto. È più probabile che il motivo dell’aborto fosse una malformazione congenita, molto diffusa negli USA anche a causa di una errata alimentazione, che incide nel 25% delle gravidanze[1]. Per di più, in Oklahoma, al momento in cui risale la vicenda, l’aborto era legale e nessuna norma ne incriminava la forma spontanea come un omicidio colposo. I giudici, tuttavia, hanno proseguito e, dopo un solo giorno di processo, lo scorso 5 ottobre hanno condannato la giovane a 4 anni di carcere. Poiché ella non si può permettere di pagare una cauzione di 20 mila dollari per ottenere la libertà vigilata, ora è reclusa in cella. Il poliziotto che ha ascoltato la Poolaw ha dichiarato che questa situazione poteva essere evitata se la ragazza avesse avuto accesso ad un’adeguata informazione e cura in merito all’aborto. Infatti, come riporta il The New York Times, la ragazza ha dichiarato che, quando ha scoperto di essere incinta (e ancora l’aborto era tutelato), era indecisa se portare a termine la gravidanza e non era a conoscenza di strutture ospedaliere disposte a far abortire. Queste dichiarazioni sono state successivamente utilizzate dai giudici contro Brittney, i quali hanno inteso come prova il fatto che la ragazza, 19enne all’epoca dell’accaduto, fosse insicura sul portare a compimento la sua gravidanza[2].

La storia in questione, in particolare in Oklahoma ma anche nel resto degli USA, è l’ennesima vicenda di criminalizzazione della donna a seguito di un aborto. A parlarne è Dana Sussman, direttrice dell’associazione National Advocates for Pregnant Women (NAPW), che tutela e supporta le donne arrestate: «Nessuna norma prevedeva di perseguire penalmente una donna per la morte di un nascituro, a meno che non abbia commesso espressamente il crimine. Questa vicenda è una tragedia, Brittney è rinchiusa dietro le sbarre, condannata senza basi legali o scientifiche», afferma la Sussman. Secondo le statistiche dell’associazione, dal 1973 al 2020 sono stati registrati 1600 casi di questo tipo, di cui solo 1200 negli ultimi 15 anni. La direttrice di NAPW rincara, ponendo l’accento sulle situazioni assurde in cui le donne degli USA si trovano, affermando che «Questi casi – di criminalizzazione a seguito di un comportamento che potrebbe mettere a rischio la gravidanza – includono donne incinte che sono state arrestate per essere cadute dalle scale, per aver bevuto degli alcolici, per aver partorito in casa, o semplicemente perché si trovavano in un luogo pericoloso». Poi pone ulteriormente l’attenzione sul fatto che, negli ultimi anni, nella grande maggioranza dei casi, le protagoniste sono donne afroamericane o donne che assumono sostanze stupefacenti: ciò si innesta in una situazione interna americana che oscilla tra il movimento di “guerra alla droga” ed il movimento a tutela della personalità. Quest’ultimo si propone di tutelare la vita e la persona in ogni sua forma, non distinguendo tra la vita di una donna e la vita del feto e contribuendo così a proporre e promulgare leggi che tutelano il feto come un vero e proprio essere umano cittadino dello Stato, a discapito del volere della donna. Stando alle statistiche del Guttmacher Institute, l’uso di sostanze stupefacenti in gravidanza è considerato come abuso su minori in 23 Stati degli USA. A supporto di ciò, i medici consigliano la sospensione dell’uso di droghe durante la gravidanza per una maggiore tutela del feto e della madre. Alcuni esempi in merito arrivano dall’Alabama dove, nel 2006, venne approvata una legge che incrimina chiunque ponga in contatto un bambino con sostanze chimiche, tra cui le sostanze stupefacenti. Con questa norma sono state incriminate oltre 500 donne in 10 anni. In questa scia si è mosso anche lo Stato del Tennessee, approvando nel 2014 una legge simile, ma con durata biennale e poi non più reiterata. Situazioni preoccupanti si sono riscontrate anche in California, dove due donne sono state accusate di omicidio colposo dopo aver partorito due bambini nati morti e positivi agli esami circa la presenza di droga nel sangue. Una di loro attualmente è in carcere, non potendo pagare la cauzione di 2 milioni di dollari; analogamente, l’altra donna si trova ad aver già scontato in cella 1/3 della condanna di 11 anni poiché si è dichiarata colpevole di omicidio colposo, evitando così le accuse più gravi di omicidio doloso. Ad incriminarle, nella sentenza, troviamo le norme sull’aggressione fetale, attualmente legali in 38 Stati. Queste norme sono state approvate in vari Stati degli USA per dare una maggiore tutela, definita “tutela prenatale”, alle donne incinte e ai feti, ma hanno un tono ambiguo e sono diverse per ogni Stato. L’incertezza fa sì che ci siano zone d’ombra dove i pubblici ministeri si inseriscono accusando donne per comportamenti pericolosi per il feto e che, in quanto tali, potrebbero indurre ad un aborto spontaneo o alla morte del nascituro. L’incertezza è data anche dal fatto che alcuni Stati hanno regole definite per il momento in cui sia ancora possibile abortire volontariamente, mentre altri no, fissandole genericamente tra le 20 e le 24 settimane[3]. Nel caso Poolaw, la ragazza era incinta di 17 settimane quando ha subito un aborto spontaneo, dunque entro quelli che erano i termini possibili per abortire, secondo la Sussman. Il procuratore che segue il caso ha dichiarato che anche la stessa Brittney Poolaw è rimasta sorpresa di essere sotto inchiesta per un aborto spontaneo: la ragazza, infatti, non si rendeva conto che per l’Oklahoma avesse commesso un crimine. In ogni caso, l’associazione NAPW ha avviato una campagna di supporto legale, economico e psicologico per Brittney e per altre donne che si trovano nella stessa situazione, mentre i difensori della ragazza hanno già dichiarato di voler proseguire con il ricorso in appello[4].

In Oklahoma il diritto all’aborto è stato introdotto con una legge del 1973 ma ha subito varie modifiche negli anni, fino al 2022 con la sua quasi totale abolizione. Nel 2016, è stata presentata una legge che avrebbe vietato l’aborto pressoché in ogni caso, a tal punto che per una donna sarebbe stato difficile accedervi; ma non è stata approvata. Nel 2018, c’è stato un ulteriore attacco (invano) a questo diritto e alla fine, nel 2021, è passata in Senato. Lo scorso 5 aprile 2022, è stata approvata dalla Camera la legge conosciuta come “Senate Bill 612”. Quest’ultima prevede, al punto B.1, che, nonostante ogni altra previsione di legge, una donna non possa abortire tranne nel caso in cui ad essere a rischio sia la sua stessa vita. Negli altri casi, i medici o coloro che aiutano l’interruzione di gravidanza sono puniti con pene fino a 10 anni di carcere o multe fino a 100 mila dollari. Una ulteriore modifica della disciplina c’è stata a maggio con l’approvazione della legge House Bill 4327, la quale vieta l’aborto fin dalla fecondazione, eccezione fatta per il caso in cui a rischio sia la vita della donna oppure quello di stupro o incesto (ma solo se sono stati già denunciati). Ciò fa notare come l’Oklahoma, Stato fortemente conservatore, continui ad essere contro il diritto delle donne di scegliere liberamente se portare a termine la propria gravidanza oppure no, eliminando ogni loro possibilità di scelta. Già da prima delle leggi erano presenti ostacoli all’esecuzione dell’aborto: in tutto lo Stato erano solo 3 le strutture a cui una donna poteva rivolgersi per abortire. Nonostante l’aria che si respirava in Oklahoma facesse già presagire ad una riduzione del diritto all’aborto, non si pensava si arrivasse ad una sua quasi totale eliminazione. Le leggi sono state fortemente contestate da gruppi di attivisti, non solo provenienti dallo Stato in questione ma anche dal vicino Texas, il quale ha una legge che proibisce l’interruzione di gravidanza, in qualsiasi caso, dopo la sesta settimana. Del momento della firma del “Senate Bill 612” da parte di Kevin Stitt, governatore dell’Oklahoma, c’è un video in cui egli, affiancato dal senatore Dahm e dal deputato Olsen – i maggiori sostenitori e portavoce della legge –, afferma che con questo provvedimento l’Oklahoma si conferma lo Stato degli USA che più di tutti sostiene e protegge il diritto alla vita, anticipando poi le possibili critiche degli attivisti che “vogliono dettare legge e sfidare il modo di vivere nello Stato dell’Oklahoma”. Dichiarazioni analoghe sono state rilasciate da Mallory Carrol, portavoce di un gruppo antiabortista che definisce l’Oklahoma il maggiore stato pro-vita, mentre tutti gli altri legislatori degli USA aspettavano che in materia si esprimesse la Corte Suprema. Quest’ultima infatti (composta da nove giudici in totale, di cui sei giudici di orientamento conservatore e tre di orientamento progressista) recentemente si è pronunciata in merito alla legge del Mississippi (che vietava e vieta l’interruzione di gravidanza dopo 15 settimane di gestazione nella maggior parte dei casi), escludendo la sua incostituzionalità; così facendo, la Corte ha ribaltato e annullato la storica sentenza Roe v. Wade del 1973, abolendo il diritto all’aborto (a livello federale) ivi sancito. Ora, ogni singolo Stato potrà adottare la legislazione che ritiene opportuna, senza vincoli a livello federale, ed infatti già 13 Stati, tra cui l’Oklahoma, hanno dichiarato che presto introdurranno ulteriori limitazioni al diritto d’aborto.


[1] https://www.ildubbio.news/2021/11/18/usa-ragazzi-di-21-anni-condannata-4-anni-per-un-aborto-spontaneo/
[2] https://www.nytimes.com/2021/10/18/opinion/poolaw-miscarriage.html
[3] https://www.bbc.com/news/world-us-canada-59214544
[4]https://www.nationaladvocatesforpregnantwomen.org/oklahoma-prosecution-and-conviction-of-a-woman-for-experiencing-a-miscarriage-is-shameful-and-dangerous/

*foto dell’articolo pubblicato in tempi.it