L’Avvocato Diddi è stato deferito dinanzi al Consiglio Distrettuale di Disciplina per aver criticato la decisione resa dalla VI Sezione della Corte di Cassazione, nell’ambito del processo passato alle cronache con il nome “Mondo di mezzo”. “Cosa hanno fatto qua? Questa sentenza chi l’ha scritta e come è stata scritta?”: questa la critica del penalista che, dopo due anni dalla celebrazione del processo d’Appello, in data 23 giugno 2020, è stata trasmessa al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma con una nota a firma del Presidente della Corte, Dr. Massimo Gallo. Al suo interno, si assume che le frasi, oltre ad essere sconvenienti, travalichino l’oggetto della causa ed i limiti del diritto di difesa. Sic stantibus rebus, sembrerebbe che l’episodio s’ inserisca all’interno del più ampio quadro delle plurime – e tristemente note – iniziative assunte dalla Magistratura nei confronti degli Avvocati difensori.

La recente vicenda che ha visto protagonista l’Avvocato Alessandro Diddi, difensore di Salvatore Buzzi nell’ambito del processo passato alle cronache con il nome “Mondo di mezzo”, si inserisce all’interno del più ampio quadro delle plurime – e tristemente note – iniziative assunte dalla Magistratura nei confronti degli Avvocati difensori; iniziative che – necessario sottolinearlo – qualora elevate a prassi, rischierebbero di frustrare irrimediabilmente l’effettività del diritto di difesa graniticamente sancito dall’art. 24 Cost. L’Avvocato Diddi è stato deferito dinanzi al Consiglio Distrettuale di Disciplina per aver criticato la decisione resa dalla VI Sezione della Corte di Cassazione, la quale, investita in sede cautelare della questione inerente all’esistenza di un’associazione di tipo mafioso nella capitale, aveva riconosciuto un collegamento tra Massimo Carminati ed il clan Mancuso. La critica del penalista è avvenuta durante la discussione del processo d’appello celebratosi, in data 2 luglio 2018, dinanzi alla III Sezione Penale della Corte d’Appello di Roma. Le frasi inadeguate (sic!) sarebbero le seguenti: “Cosa hanno fatto qua? Questa sentenza chi l’ha scritta e come è stata scritta?”. Evidente come le espressioni si limitassero a denunciare il falso storico processuale posto a fondamento della ricostruzione operata, prima facie, dal Giudice di legittimità. Per meglio comprendere l’accaduto, occorre riservare un breve cenno al travagliato iter processuale che ha caratterizzato la vicenda in esame.  All’esito dell’istruttoria dibattimentale, infatti, l’associazione mafiosa riconosciuta dalla Corte di Cassazione in sede cautelare era stata radicalmente esclusa dal Giudice di prime cure.  Di diversa opinione, invece, la Corte d’Appello capitolina, che, ribaltando la pronuncia del Tribunale, ha ricondotto il sodalizio nell’ambito di operatività dell’art. 416-bis c.p.  Tale decisione – si badi – è stata successivamente annullata dalla Corte di Cassazione, che ha tacciato di grave erroneità il percorso argomentativo posto a fondamento della stessa, disponendo il rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello per la rideterminazione delle pene per gli imputati Buzzi e Carminati. Ebbene, dopo due anni dalla celebrazione del processo d’Appello, in data 23 giugno 2020, le trascrizioni dell’udienza (del 2 luglio 2018!) contenenti le espressioni sopra menzionate sono state trasmesse al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma con una nota a firma del Presidente della Corte, Dr. Massimo Gallo, all’interno della quale si assume che le frasi, oltre ad essere sconvenienti, travalichino l’oggetto della causa ed i limiti del diritto di difesa.[1] Si consideri, inoltre, che detta iniziativa è stata intrapresa a ridosso dell’avvio del processo d’appello-bis, fissato in data 8 settembre 2020. Tanto basterebbe, dunque, per gridare al pubblico scandalo, non foss’altro per l’arco temporale intercorso tra la pronuncia delle frasi anzidette e la trasmissione degli atti, nonché in considerazione della coincidenza temporale tra la segnalazione e l’avvio del processo-bis


Pare opportuno, conclusivamente, riservare una breve riflessione al (più ritenuto che reale) contenuto inadeguato delle espressioni; analisi che deve essere condotta all’interno del duplice binario rappresentato, da un lato, dalle pronunce della Corte di Cassazione in tema di diritto di critica e, all’altro, dalle norme del Codice Deontologico Forense. Anzitutto, occorre rammentare il costante orientamento della Corte di Cassazione in tema di diritto di critica dell’operato della Magistratura, secondo il quale: “il diritto di critica dei provvedimenti giudiziari e dei comportamenti dei magistrati deve essere riconosciuto nel modo più ampio possibile, costituendo l’unico reale ed efficace strumento di controllo democratico all’esercizio di una rilevante attività istituzionale, che viene esercitata nel nome del popolo italiano da soggetti che, a garanzia della fondamentale libertà di decisione, godono di ampia autonomia e indipendenza”(da ultimo, Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 19960, 30 gennaio 2019). Il principio sopra enunciato deve essere coordinato, come detto, con la disciplina dettata dal Codice Deontologico Forense, che impone all’Avvocato il rigoroso rispetto delle norme disciplinari nel rapporto con la controparte, con i colleghi, con i terzi e con i magistrati. Nello specifico, ai sensi dell’art. 52 del Codice Deontologico, è fatto divieto all’Avvocato di utilizzare espressioni sconvenienti negli scritti in giudizio e nell’esercizio dell’attività professionale nei confronti di tutti i soggetti sopra menzionati. Stante l’ampiezza della formulazione codicistica, che vieta le espressioni genericamente “sconvenienti”, occorre saggiare quali siano – nella prassi applicativa – le locuzioni e le frasi ritenute tali. Senza alcuna pretesa di esaustività, si rinvia ad alcune pronunce del C.N.F. sul tema, dalle quali si evince come le espressioni reputate “sconvenienti” siano di tutt’altro tenore rispetto a quanto – giustamente – lamentato dall’Avvocato Diddi. Le frasi ivi censurate, infatti, si spingono ad etichettare la strategia difensiva avversaria come: “scorretta, dolosa, (caratterizzata da) indegna sistematica mistificazione della realtà, arroganza, protervia, senza vergogna”(cfr. C.N.F. 22 settembre 2012 n. 122); ed ancora, accuse di ignoranza della scienza giuridica, di svolgere con superficialità la professione e di scrivere per anacoluti giuridici (cfr. C.N.F. 15 ottobre 2012 n. 140). Sul merito delle espressioni pronunciate dall’Avvocato Diddi, dunque, sarebbe inopportuno proseguire oltre, posto che della correttezza delle stesse non pare potersi dubitare. Ci si limita a segnalare come le decisioni rese dal C.N.F. negli esempi sopra richiamati non facciano altro che alimentare il sospetto di pretestuosità dell’iniziativa. Ci uniamo, dunque, alla manifestazione di piena vicinanza e solidarietà formulata dall’Osservatorio Doppio Binario e Giusto Processo,[2] acché si prenda coscienza della anomalia del fenomeno, auspicando il recupero del rispetto reciproco delle funzioni, dell’attività difensiva ed in generale della libertà di manifestazione del pensiero. 

[1] S. Musco, Il Dubbio, Criticò le toghe, esposto contro il legale di Buzzi: «Mi sento condizionato», 11 settembre 2020.
[2] Il Dubbio, Osservatorio doppio binario: «Solidarietà all’avvocato Diddi», 13 settembre 2020.