Durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, il Procuratore Generale Giovanni Salvi ha affermato: «l’art. 4 bis ed il secondo comma all’art. 41 bis hanno costituito – e costituiscono ancora oggi – l’emblema della lotta alla criminalità organizzata sul versante penitenziario. Entrambi, infatti, non sono affatto volti all’inasprimento delle condizioni di detenzione, non dunque carcere duro come qualcuno a volte erroneamente afferma». Tali parole s’inscrivono in una dimensione di senso antitetica rispetto all’ordinanza 97/2021 della Corte costituzionale, la quale ha accertato l’incompatibilità con la Costituzione dell’articolo 4 bis nella parte in cui prevede che la collaborazione sia «l’unica possibile strada, a disposizione del condannato all’ergastolo, per accedere alla liberazione condizionale», dando al Parlamento un congruo anno di tempo per modificare la disciplina.

Affermare che il regime previsto dall’art. 41bis non inasprisca le condizioni di detenzione, poi, è in contrasto con la realtà. Basti pensare alla limitazione della permanenza all’aperto per una durata non superiore a due ore al giorno o all’impossibilità di cuocere cibi ‒ poi dichiarata incostituzionale dal Giudice delle leggi (sent. 186/2018) ‒, entrambi indici evidenti di un oggettivo inasprimento del regime penitenziario (effetti derivanti quantomeno quali conseguenze indirette e collaterali alla ratio dell’applicazione del regime). Il P.G. Salvi ha poi aggiunto: «la loro finalità è di evitare che il condannato per gravissimi delitti di criminalità organizzata possa mantenere i contatti con l’organizzazione. Tale scelta era fondata nelle caratteristiche strutturali delle organizzazioni di stampo mafioso, che prevedono, non come teorema accusatorio, ma come rilevazione di fatto basata su innumerevoli acquisizioni probatorie, che dalle mafie si esca solo con la morte».

Un diritto penale seriamente garantista non dovrebbe tollerare l’istituzione di binari paralleli (se non per un periodo di tempo limitato ed entro i limiti dei superiori principi di ragionevolezza e proporzionalità). Non può esistere crimine, per quanto efferato, che legittimi la creazione ordinamentale di vite di scarto. La differenza tra Stato e mafia dovrebbe essere tutta qui: nella distinzione «tra il diritto e il delitto e non tra il delitto e il delitto» (Sciascia). D’altronde, è proprio il rispetto dei superiori principi costituzionali a caratterizzare il Sein di uno Stato di diritto, legittimandolo positivamente nella necessaria attività di repressione delle più gravi forme di criminalità.