Intervista a Valentino Maimone, giornalista e fondatore con Benedetto Lattanzi dell’associazione Errorigiudiziari.com. L’associazione è nata con il preciso obiettivo di sensibilizzare e l’opinione pubblica sul tema degli innocenti in carcere in Italia, e che si basa sul primo archivio on line sui casi di errori giudiziari e ingiusta detenzione, unico in Italia e in Europa.
D: Una premessa necessaria: cosa si intende tecnicamente per “errore giudiziario”? Vale la massima di Carnelutti per la quale “la sentenza di assoluzione è la confessione di un errore giudiziario” oppure si intende, più specificamente, la condanna ingiusta nei confronti di un innocente?
La massima di Carnelutti è una grande intuizione, ma sono un giornalista e non un giurista, dunque preferisco non avventurarmi in definizioni tecniche. Di sicuro in Italia il termine “errore giudiziario” viene usato spesso e volentieri in senso eccessivamente lato. Anche per questo, con il collega Benedetto Lattanzi con cui ho fondato il sito (https://www.errorigiudiziari.com) e l’associazione Errorigiudiziari.com, abbiamo deciso di usare per il nostro lavoro due punti di riferimento: da un lato, l’errore giudiziario in senso stretto, vale a dire quello che riguarda le persone assolte dopo un processo di revisione; dall’altro, l’ingiusta detenzione, che è relativa invece a coloro che hanno subito un custodia cautelare (in carcere o agli arresti domiciliari) salvo poi essere riconosciuti innocenti ed essere per questo indennizzati dallo Stato.
D: A 32 anni dalla morte di Enzo Tortora, la sua vicenda è ancora di grande attualità. Da questa assurda pagina della storia giudiziaria italiana, sono stati fatti passi in avanti al fine di evitare il ripetersi di situazioni analoghe o siamo rimasti fermi alla fine degli anni ottanta?
Qualche piccolo passo avanti è stato fatto sul fronte dell’ingiusta detenzione, con l’introduzione della possibilità di riparare con un indennizzo l’indebita custodia cautelare. Intendiamoci: questo non ha certo risolto il problema di fondo, cioè la tendenza ad applicare il carcere o gli arresti domiciliari in modo eccessivo o comunque squilibrato rispetto alle obiettive necessità. E i dati stanno lì a dimostrarlo. Se poi pensiamo agli errori giudiziari in senso stretto, va ancora peggio: siamo purtroppo fermi all’epoca di Tortora. Da un punto di vista numerico i casi sono decisamente inferiori rispetto a quelli delle vittime di ingiusta detenzione, ma il problema resta eccome. C’è un aspetto su cui vale la pena di riflettere: all’epoca di Tortora, nella seconda degli anni 80, si avvertiva nell’opinione pubblica un diffuso senso di garantismo, che prese forma evidente nello schiacciante successo dei “sì” al referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, poi disatteso da una legge annacquata e poco efficace come la Vassalli. Col passare degli anni la situazione si è capovolta: il garantismo e i principi del diritto penale liberale sembrano quasi scomparsi, a favore di un populismo giustizialista.
D:Considerato lo spessore del personaggio e il clamore mediatico destato, quello di Tortora è il caso simbolo di tutti gli errori giudiziari in Italia. “Io sono qui anche per parlare di coloro che parlare non possono e sono molti e sono troppi. Sarò qui, resterò qui anche per loro disse una volta tornato in televisione, riferendosi alle vittime di errori giudiziari e agli innocenti in detenzione cautelare in carcere. Quante vittime di errori giudiziari ci sono ogni anno in Italia?
Un dato per tutti: dal 1992 a oggi, ogni anno in media circa 1000 persone vengono risarcite per errori giudiziari e ingiuste detenzioni; in 28 anni abbiamo già superato quota 28 mila: come se tutti gli abitanti di una cittadina come Enna o Jesolo o Assisi finissero agli arresti da innocenti o condannati senza colpa.
D: Qual è il più eclatante errore giudiziario degli ultimi anni in Italia?
Enzo Tortora è diventato il simbolo degli errori giudiziari italiani per il suo essere stato un crimine giudiziario e per il clamore mediatico che inevitabilmente provocò. Ma ci sono storie ancora più tremende che hanno costretto al carcere cittadini innocenti per periodi lunghissimi. Uno dei più clamorosi riguarda Giuseppe Gulotta, 22 anni in carcere da innocente, condannato con sentenza definitiva per l’omicidio di due carabinieri che in realtà non aveva mai commesso. È una vicenda che risale al 1976 e che attraversa 36 anni della storia repubblicana: arrestato a poco più di 18 anni, fu sottoposto a torture di ogni tipo durante un lunghissimo interrogatorio senza avvocato, al termine del quale confessò il duplice omicidio. A nulla gli servì ritrattare subito: fu condannato all’ergastolo. E solo a 32 anni di distanza dai fatti saltò fuori un elemento decisivo per riaprire il caso: la testimonianza spontanea di un carabiniere presente la notte delle torture che sfociarono nella confessione estorta.
D: Rispetto agli altri paesi europei in Italia ci sono più errori giudiziari o siamo nella media? E rispetto agli U.S.A. ?
È molto difficile fare raffronti tra Paesi diversi perché i sistemi giuridici sono differenti, basti pensare a quelli in cui vige il common law. Ma anche se restiamo a quelli più simili al nostro, è opportuno procedere con molta cautela perché le stesse definizioni di errore giudiziario o ingiusta detenzione possono essere differenti da quelle italiane.
Noi di Errorigiudiziari.com abbiamo avuto modo di consultare i dati più recenti di alcuni Paesi europei come Gran Bretagna, Germania, Spagna e Francia. E ne abbiamo ricavato la netta sensazione che nessuno di loro raggiunge i livelli da vera emergenza del nostro Paese. In Francia, per esempio, siamo intorno a una cinquantina di casi l’anno. Diverso il discorso per gli Usa, con i quali però ogni confronto è ancora più difficile per vari motivi, dalla popolazione molto più ampia al numero di procedimenti penali trattati, senza contare che in diversi Stati vige la pena di morte. Dal 1989 a oggi, secondo il National Registry of Exonerations, le condanne ingiuste sono state poco più di 2500; può sembrare un numero limitato, ma non lo è se consideriamo per esempio che nella stragrande maggioranza dei casi persone innocenti vengono scagionate dopo aver già scontato periodi lunghissimi in carcere, anche 45 anni. Abbiamo conosciuto e siamo in contatto costante con i fondatori di Innocence Project, la più importante organizzazione americana che si occupa di individuare e tirar fuori dal carcere i condannati innocenti. Confrontandoci sulla situazione dei nostri Paesi, si sono molto stupiti dei nostri numeri sull’ingiusta detenzione: da loro la custodia cautelare indebita non rappresenta un problema particolare. Dalla nostra, però, c’è un piccolo vantaggio: solo 35 Stati Usa su 50 prevedono il risarcimento per una vittima di un errore giudiziario. E ciascuno prevede un diverso tetto di spesa per le casse dello Stato che emette la somma, più diverse regole per la liquidazione. Con situazioni in alcuni casi paradossali, perché le somme che spettano alle vittime possono essere in alcuni casi davvero molto basse.
D: Come valutate l’attuale sistema riparatorio per le vittime del malfunzionamento della giustizia? I risarcimenti, gli indennizzi mediamente sono adeguati e proporzionati rispetto ai mali subiti? Quali interventi migliorativi si potrebbero fare in tal senso?
Riguardo l’ingiusta detenzione, ci sono delle tabelle di legge che prevedono somme minime per gli indennizzi. Lo Stato prevede 235,82 euro per un giorno passato in custodia cautelare in carcere, da innocente. Per un giorno agli arresti domiciliari, la metà esatta: 117,91. Il limite massimo di un indennizzo per ingiusta detenzione è fissato in 516.450,90 euro. Per fissare l’importo finale dell’indennizzo, il giudice si basa sia sull’elemento quantiativo, cioè sulla durata della custodia cautelare ingiustamente sofferta, sia su quello qualitativo, vale a dire la valutazione caso per caso delle conseguenze negative derivate dalla privazione della libertà personale (per esempio i danni per la reputazione causati dalla pubblicazione sui media della notizia dell’arresto). Impossibile valutare la congruità di un risarcimento o di un indennizzo: non c’è somma capace di compensare davvero le conseguenze nefaste e devastanti dal punto di vista psicofisico e nella vita privata e professionale di una persona. Giuseppe Gulotta ha avuto 6,5 milioni di euro, ma non saranno certo quei soldi a restituirgli la possibilità di vivere da libero cittadino 22 anni trascorsi invece dietro le sbarre. Senza contare le spese legali, molto spesso decisamente superiori agli importi riconosciuti alle vittime di ingiusta detenzione. Che fare? È irrealistico pensare ad aumentare gli importi previsti dalla legge, in tempi come questi. Molto più concreto sarebbe piuttosto arginare un orientamento sempre più restrittivo da parte della Cassazione e delle Corti d’Appello: oggi circa il 70% delle domande di riparazione per ingiusta detenzione viene respinto, sempre più spesso considerando come “colpa grave” anche il fatto di essersi avvalsi della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio. Aver usufruito di un sacrosanto diritto dell’indagato sembra essere diventato motivo acclarato di rifiuto di indennizzo di una carcerazione ingiusta.
D: A proposito, quanto spendiamo ogni anno in Italia per gli errori giudiziari?
Dal 1991, cioè dal primo anno in cui gli errori giudiziari sono stato contabilizzati dall’allora Ministero del Tesoro, a oggi, si sono superati gli 800 milioni di euro. La media è di circa 29 milioni di euro l’anno. Quanto si sarebbe potuto fare, per migliorare la macchina della giustizia, risparmiando anche solo un quarto di quel denaro? Quanti nuovi magistrati o cancellieri si sarebbero potuti assumere, quanto personale amministrativo, quante migliorie alle strutture spesso fatiscenti si sarebbero potute apportare?
D: Quanto incide, a vostro giudizio, l’assenza di responsabilità della magistratura rispetto agli errori giudiziari da essa commessi-al netto della responsabilità civile-, sul tema degli errori giudiziari? Lo considerate un fattore decisivo oppure no?
Quello della responsabilità civile dei magistrati è un aspetto molto delicato. Non siamo affatto certi che la sua semplice introduzione risolverebbe di punto in bianco ogni problema. Deve far riflettere, però, che nel 1987 il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati stravinto con percentuali bulgare fu ampiamente disatteso e clamorosamente tradito dalla politica, che preferì affidarsi a una legge annacquata, pochissimo efficace e assai mal funzionante come la ex Vassalli. Rivalersi, seppur indirettamente, contro un giudice da cui ci si ritiene danneggiati, a oggi è di fatto impossibile: richiede tempi lunghissimi, spese elevatissime e probabilità meno che minime di avere successo. I casi di magistrati condannati in oltre trent’anni si contano sulle dita di una mano sola. Se proprio non vogliamo la responsabilità diretta, sarebbe il caso che almeno quella indiretta funzionasse davvero e molto meglio di quanto non accada oggi.
D: Voi siete entrambi giornalisti: il fenomeno della gogna mediatica attanaglia il nostro paese da anni e non accenna ad arrestarsi. La presunzione di innocenza sembra ormai avere un ruolo alquanto marginale. Perché c’è così scarsa attenzione per la tutela della figura dell’indagato? Quanto incide, secondo voi, sulla scelta del giudicante il pressing mediatico?
La gogna mediatica è un’indecenza, va detto. È capace di distruggere chiunque, colpevole o innocente che sia. Ed è sempre sbagliata. Da giornalisti conosciamo bene i motivi con cui la nostra categoria di solito si giustifica: la fretta con cui si è costretti a lavorare nelle redazioni, la necessità di colpire l’attenzione del lettore con titoli a sensazione, lo spazio a disposizione in pagina, gli organici sempre più ristretti… La verità è che purtroppo è invalsa l’abitudine di appiattirsi aprioristicamente sulle tesi dell’accusa: è più comodo, più facile, più utile al cronista per i suoi rapporti con chi può passargli documenti importanti, più funzionale a certe dinamiche della narrativa di un fatto giudiziario. Qualche tempo fa l’Unione delle Camere Penali realizzò un interessantissimo Libro bianco sull’informazione giudiziaria, da cui venne fuori – tra gli altri dati – che l’82% degli articoli di cronaca giudiziaria è a favore delle tesi dell’accusa. Uno dei più grandi penalisti italiani, Franco Coppi, ha raccontato che pochi istanti prima di un’udienza il magistrato gli confidò che si era già fatto un’idea del caso guardando i talk show alla tv: se addirittura i magistrati possono essere influenzati dal giornalismo su carta o in televisione, figuriamoci i cittadini. E se invece l’imputato di turno fosse innocente? Chi toglierà dalla testa del lettore o dello spettatore l’idea che magari, sotto sotto, era davvero colpevole?
D: Per concludere: si parla spesso di inserire l’intelligenza artificiale nel processo penale a supporto del giudice. I primi esperimenti americani non promettono bene, anzi, tutt’altro. Voi che ne pensate? Ritenete che possa essere una soluzione per ridurre il tasso di errori?
L’errore giudiziario, quando è davvero un errore e non il frutto di un processo condotto al di fuori delle regole (come accadde con Tortora) o di un magistrato che si innamora supinamente della sua tesi, è accettabile e comprensibile: siamo uomini e si sbaglia. Diventa invece totalmente incomprensibile e inaccettabile che a commettere un errore possa essere una macchina.
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