Vi è un passaggio decisivo nell’epopea di Mani Pulite, spesso dimenticato o sottovalutato: la riforma dell’art. 68 della Costituzione. Sulla spinta delle indagini del pool della Procura di Milano, del malcontento popolare e dell’incalzare dei mezzi di informazione, si decise di sacrificare sull’altare della giustizia di piazza l’autorizzazione a procedere contro i parlamentari. Anche a causa dell’abuso di tale strumento da parte del Parlamento, si commise l’errore di considerare come un privilegio della casta quello che invece era un istituto tradizionale del parlamentarismo liberale, una garanzia non del singolo ma della funzione parlamentare. L’effetto fu quello di far saltare il compromesso voluto dai costituenti tra indipendenza della magistratura e tutela della libertà dei parlamentari da accuse infondate e strumentali. Fu «L’eutanasia della democrazia», come recita il felice titolo dell’ultima opera di Giuseppe Benedetto, avvocato penalista e presidente della Fondazione Luigi Einaudi, edita da Rubbettino nel 2021. Con l’Autore, da sempre impegnato sul fronte della difesa della democrazia liberale e dello Stato di diritto, dialogheremo sulle ragioni e sulle conseguenze della sciagurata scelta del 1993.
Alcune decisioni politiche segnano una svolta nella storia di un Paese e producono conseguenze profonde e durature, spesso oltre le intenzioni e le previsioni dei decisori. Secondo Lei, ed è difficile darle torto, tale è stata la legge costituzionale n. 3 del 1993 che ha modificato l’art. 68 della Carta fondamentale, abolendo l’autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari. Quali erano le ragioni storiche che avevano portato alla formulazione originaria della norma e quale funzione svolgeva l’istituto nel delicato equilibrio trovato dai costituenti?
La prima affermazione storica delle prerogative parlamentari è nel «The Bill of Rights», 1689, Inghilterra. Nell’atto che sancisce le libertà dei cittadini sono contestualmente riconosciute le prerogative per i membri del Parlamento. La ratio è legata indissolubilmente alla rappresentanza democratica: una tutela assente o insufficiente dei rappresentanti politici riduce gli spazi di libertà del cittadino-elettore. È questo lo spirito che animò anche il dibattito dell’Assemblea Costituente. Il desiderio di ripristinare l’ordinamento liberale rese prioritaria la difesa del Parlamento da devianze di altri poteri dello Stato. Basti pensare che l’immunità sostanziale fu oggetto di trattazione solo in una delle ultime sedute. Con specifico riferimento all’autorizzazione a procedere, l’istituto fu pensato quale mezzo di protezione nell’ipotesi di abuso dei poteri processuali da parte degli organi inquirenti. Ad una piena ed effettiva indipendenza delle Procure, si deve accompagnare un’altrettanto significativa indipendenza del Parlamento della Repubblica. È bene però sottolineare che la corretta amministrazione della norma si sarebbe dovuta ispirare al principio dell’extrema ratio, allorquando fosse ravvisabile il c.d. fumus persecutionis. Il Parlamento con il trascorrere delle legislature si allontanò sempre più dall’interesse assoluto che condusse alla scrittura dell’originario articolo 68.
Nell’annoso scontro tra politica e magistratura, si tende a concentrare l’attenzione sulla presunta politicizzazione di alcuni magistrati ignorando il più ampio e profondo problema dei rapporti tra poteri dello Stato. Paradossalmente proprio la classe politica, che grida contro le ingerenze, si è ritirata dalla sua funzione di guida del Paese, lasciando alla magistratura il compito di risolvere, tramite il ricorso sproporzionato al diritto penale, problematiche sociali, etiche e politiche. Non solo, è stata sempre la classe politica a fornire, per via legislativa, gli strumenti eccezionali di intervento ai magistrati. La riforma dell’art. 68 è stata la più grave e incisiva di tali menomazioni autoinflitte. Quali sono le ragioni dell’abdicazione della politica e come potrebbe ritrovare la centralità perduta?
La stagione politica dell’XI legislatura è l’inizio di un percorso di progressiva delegittimazione delle Istituzioni rappresentative, culminata nel Movimento 5 Stelle, intenzionato ad aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, salvo poi essere pronto a sostenere qualsivoglia Governo pur di non rinunciare al seggio. Il Parlamento è ogni giorno meno forte agli occhi dell’opinione pubblica a causa di attacchi demagogici ed ha perso il coraggio di incidere sul tema giustizia. I recenti fatti che coinvolgono il CSM sono esemplari. Dinanzi ad un sistema che in ogni modo tenta di auto-conservarsi, riproponendo le medesime nomine annullate dal Consiglio di Stato, la politica ha il dovere di intervenire a tutela di tutti i cittadini. La seconda parte della sua domanda è ciò di cui noi avvocati discutiamo costantemente. Sono necessarie riforme che ristabiliscano i confini tra potere legislativo ed ordine giudiziario. Ripristino della meritocrazia sul sistema correntizio nella magistratura, valutazione professionale e centralità della giurisdizione. Non vi è alcun dubbio che, tra le riforme, una sia impellente e preposta a tutte le altre: la separazione delle carriere.
La domanda, a questo punto, è d’obbligo: avremo mai la separazione delle carriere? Restando in tema di rapporti tra politica e magistratura, cosa ha sempre frenato il Parlamento dall’approvare una riforma in tal senso?
La Fondazione Luigi Einaudi si batte ogni giorno per la separazione delle carriere. Un giudice che non sia terzo rispetto alle parti non è un danno all’avvocatura, come taluni hanno il coraggio di sostenere, ma una lesione del diritto di difesa dell’individuo. È da accogliere positivamente la proposizione del referendum, ma credo che non sia sufficiente a rendere la giurisdizione pienamente indipendente. Finché vi sarà un unico CSM, competente in materia di progressi di carriera e valutazioni professionali, sarà alquanto semplice per la cultura d’accusa essere dominante. È sul piano ordinamentale che è necessario intervenire attraverso l’istituzione di due organi di governo autonomo distinti. Accadrà? L’attuale scenario politico non rende certo nulla. La progressiva delegittimazione del Parlamento di cui ho già parlato è un impedimento a tutte le riforme sulla giustizia. Però un dato importante è da registrare: mai come oggi la magistratura ha perso credibilità agli occhi dei cittadini. Professori universitari, avvocatura e gli stessi magistrati con a cuore il proprio mestiere, che io ritengo essere l’assoluta maggioranza, inizino un percorso di riforme. Se non ora che la crisi è al suo apice, quando?
Molto spesso le scelte legislative vengono prese sulla spinta dell’emotività del momento, magari per rispondere a presunte emergenze e assecondare le urla della piazza, senza valutare attentamente la portata degli interventi e le conseguenze inintenzionali delle riforme. Le difficoltà stanno poi nel tornare sui propri passi, ammettere l’errore e ritrovare l’equilibrio travolto. Con riferimento all’autorizzazione a procedere, come si potrebbe intervenire per ripristinare le giuste e necessarie guarentigie dei parlamentari?
Reintrodurre l’originaria formulazione dell’articolo 68 appare oggettivamente utopico e per alcuni profili sbagliato, essendovi stato un abuso delle garanzie ivi previste. Tuttavia, reintrodurre un freno all’azione del Pubblico Ministero è necessario per riportare l’equilibrio tra poteri dello Stato di cui abbiamo poc’anzi parlato. Il dibattito parlamentare che precedette la riforma nel 1993 è alquanto interessante. Nella navetta tra le Camere si giunse ad un punto d’accordo tra le forze politiche: autorizzazione all’esercizio dell’azione successivamente alla conclusione delle indagini preliminari. Dall’introduzione del modello accusatorio, il Pubblico Ministero è tenuto alla disclosure non solo degli elementi a carico, ma anche degli elementi a discarico. In più, il legislatore ha nel tempo ampliato gli spazi per le indagini difensive. Dal quadro descritto, la scelta del Parlamento non sarebbe più effettuata al buio come in passato, ma fondata su elementi oggettivi e conoscibili anche ai cittadini che, in questo modo, potrebbero esercitare un controllo democratico. Un modello analogo è quello previsto in Germania. Si è consapevoli dell’obiezione per cui il clima giustizialista potrebbe comunque legare le mani al Parlamento, ma l’evidente violazione di norme processuali o l’abuso di poteri del PM sarebbe manifesto a tutti e non superabile dalla demagogia di taluni giornali e partiti. Il Senato ebbe anche l’occasione di approvare il medesimo testo già deliberato dalla Camera dei Deputati, ma furono proposti alcuni emendamenti tecnici. Poi, l’inizio della Fine. Hotel Raphael, monetine, forconi, e i parlamentari impauriti approvarono qualsiasi cosa pur di salvarsi. Da Calamandrei e Mortati a questo…
Nel libro si pone l’attenzione su un aspetto poco considerato: la correlazione tra prerogative parlamentari e struttura dell’ordine giudiziario. Quali sono le differenze tra il sistema italiano e quello degli altri Paesi occidentali?
Per comprendere appieno gli effetti della riforma è necessario adottare un approccio sistematico e comparativo. Le prerogative parlamentari non sono una monade, bensì uno degli elementi di pesi e contrappesi che devono garantire l’equilibrio tra i poteri. Di qui l’idea di analizzare gli ordinamenti dei principali Paesi occidentali. Il nostro studio muove da un fatto apparentemente paradossale perché la tradizione di Common Law, dove le prerogative parlamentari sono sorte, non conosce l’autorizzazione a procedere, nata al contrario in Francia. Tuttavia, la ratio diviene manifesta se si prendono in considerazione gli altri pesi e contrappesi. L’ordinamento giudiziario non è pienamente indipendente dal potere politico e gode di una legittimazione democratica fortissima. Negli Stati Uniti il PM è eletto dal cittadino-elettore e in Inghilterra risponde al potere esecutivo. Anche i giudici sono nominati da membri del Governo. Il pericolo di devianze, dunque, è inferiore perché vi è un maggiore controllo a monte che previene sconfinamenti dei poteri. La tradizione di Civil Law è una rivoluzione copernicana sul punto. I magistrati vincono un concorso pubblico, vige l’obbligatorietà dell’azione penale, ad eccezione della Francia, ed il Pubblico Ministero è irresponsabile. Ciò spiega perché Germania, Spagna e Francia prevedano l’autorizzazione a procedere, seppur declinata in diverse forme. Da tale analisi l’Italia risulta un unicum nel panorama internazionale. Ordinamento giudiziario della tradizione continentale ed estensione delle prerogative parlamentari propria dei Paesi anglosassoni. Si aggiunga in più che qui non vi è nemmeno la valutazione professionale dei magistrati e la separazione delle carriere, che rende la giurisdizione succube delle Procure. È evidente che non vi sia equilibrio tra i poteri dello Stato.
Populismo, giustizialismo, antipolitica, antiparlamentarismo, nulla è cambiato in questi trent’anni. La recente riduzione del numero dei parlamentari è stata una nuova eutanasia della democrazia. Quali sono le prospettive per la democrazia liberale in Italia?
I primi due Governi della legislatura ancora in corso hanno segnato i momenti più alti del populismo. Abbiamo assistito all’abolizione della prescrizione, nonostante non si fosse in alcun modo inciso sulla durata dei processi, e ad un membro del Governo gridare da un palazzo istituzionale di aver abolito la povertà. Il fenomeno prima crescente e poi imperante, ci auguriamo sia sempre più declinante. I pregiudizi però rimangono, perché il taglio dei parlamentari è stato un attacco alla democrazia rappresentativa, travestito da risparmio di spesa di circa un caffè all’anno per ogni italiano. Tuttavia, è giunto il momento di ripartire. Sarà necessario un nuovo soggetto politico che sia la casa di tutti i liberali, inclusivo e non divisivo. Di fronte alle curve contrapposte, all’invenzione tutta italiana di centrodestra e centrosinistra, i liberali abbiano il coraggio di essere liberali e fondare una casa liberale. Sarà necessario il contributo di tutti, pena il dominio di sovranisti e populisti.
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