Abbiamo intervistato Rita Bernardini, storica militante radicale e già deputata, è impegnata da quasi 25 anni n battaglie anti-proibizioniste e a favore della legalizzazione della marijuana e dei diritti dei detenuti. Da diverso tempo, ha reso pubblica, tramite interviste e foto sui social, la coltura di più di trenta piante di marijuana sul terrazzo di casa, coltivate per sollevare il tema dell’utilizzo di cannabis ad uso terapeutico, con uno dei tanti atti di disobbedienza civile della sua lunga militanza. Finora le autorità avevano fatto finta di non vedere queste piante, ma mercoledì 17 è successo qualcosa di diverso dal solito.

Cosa  le è accaduto mercoledì mattina?
Stavo sul treno che mi avrebbe portato a Parma per il laboratorio “spes contra spem” che ogni mese
con Nessuno Tocchi Caino teniamo dentro il carcere. Erano le 7:18 quando mi è arrivata la
telefonata dei carabinieri che mi ordinavano di rientrare a casa perché avevano “scoperto” la mia
coltivazione di marijuana destinata ai malati che non riescono ad avere accesso alle cure. C’ era ben
poco da “scoprire”, visto che le mie coltivazioni sono tutte pubbliche e che le fasi dalla semina alla
crescita al raccolto le documento sul mio profilo Facebook. In realtà, i carabinieri non erano venuti
per me, ma per un’altra coltivazione di 12 piante in corso in uno dei cento appartamenti dello stabile
e, solo affacciandosi dal balcone del malcapitato, hanno visto i miei 32 arbusti. Ho fatto appena in
tempo a scendere dal treno -che è partito in orario alle 7:20- e a precipitarmi a casa, dove ho potuto
verificare che c’era un carabiniere in borghese sul mio terrazzo che aveva spostato tutti i vasi
smadonnando in quanto allergico alla cannabis. Subito dopo c’è stata la perquisizione della mia
abitazione, lo sradicamento delle piante e il loro sequestro. Poi, a sirene spiegate (giuro!), mi hanno
condotto, insieme al profumatissimo carico, alla stazione della “benemerita” di via Cassia.

Lei ha mostrato palesemente il disappunto per il suo mancato arresto. Ci spiega il perché di
questa contrarietà?

La Procura di Roma è recidiva nei miei confronti. Già in passato il Procuratore Capo Pignatone
archiviò una coltivazione di 56 piante di marijuana illecitamente e pubblicamente da me coltivate
sul mio terrazzo. Chi fa una disobbedienza civile come nel mio caso e come è tradizione
dell’iniziativa radicale di Marco Pannella, chiede di essere trattato come tutti gli altri cittadini, non
di avere esimenti di tipo politico. Lo abbiamo sempre fatto per dimostrare – attraverso lo scandalo
dell’;arresto, del carcere e del processo – l’irragionevolezza delle leggi in vigore che intendiamo
cambiare. La legge italiana non sottopone a sanzione penale chi è semplice consumatore e si
rifornisce, acquistando le sostanze stupefacenti illegali dagli spacciatori; prevede, invece, i rigori
del penale (arresto, carcere e processo) nei confronti di chi, per esclusivo consumo personale, se la
autoproduce coltivandola. Insomma, per le leggi in vigore in Italia, è meglio finanziare le mafie che
prosperano e si espandono con gli ingenti guadagni provenienti dal narcotraffico. Per la cannabis
terapeutica, peraltro prevista dalla legge fin dal 2007, le difficoltà che incontrano i malati, spesso
gravissimi, ad accedere ai farmaci cannabinoidi sono inaccettabili perché spingono persone
bisognose a violare la legge o ad affidarsi agli spacciatori che non sai mai cosa ti vendono.
Tornando al giorno del sequestro delle mie piante, quel che è accaduto il 17 luglio nella Caserma
dei Carabinieri di via Cassia a Roma è inqualificabile e non per colpa di coloro che indossavano la
divisa della Benemerita, ma della Procura di Roma che ha ordinato loro di procedere nei miei
confronti semplicemente alla denuncia a piede libero anziché, come avviene sempre in casi simili,
mettermi ai domiciliari dove avrei dovuto attendere il processo per direttissima. Da quel che mi è stato riferito, è stato il Dott. Michele Prestipino (Procuratore facente funzioni alla Procura di Roma) a bloccare tutto.

Quali le falle dell’attuale panorama legislativo sul tema e quali gli aspetti da modificare?          

Se ci riferiamo alla cannabis terapeutica, oggetto della mia disobbedienza civile, c’è un’evidente disparità di trattamento tra pazienti residenti in regioni differenti. Ci sono regioni che ancora non hanno ancora legiferato in materia. Altre che l’hanno fatto, non hanno emanato i necessari decreti attuativi. Solo in alcune regioni una piccola parte dei malati riceve gratuitamente erogazioni ospedaliere. Il Dott. Carlo Monaco, uno dei massimi esperti in materia, afferma che, in generale, la ricerca di un medico preparato è un miraggio ed è compito e onere del paziente, così come il reperimento in farmacia. Sa quante sono le farmacie galeniche che vendono la cannabis in tutta Italia? Su 19.300 farmacie non più di una cinquantina e quasi tutte concentrate nel centro-nord. E questo anche perché il margine di guadagno per il lavoro del farmacista è ridottissimo dovendolo aggiungere al già elevato costo di 9 euro al grammo. La legge va proprio cambiata radicalmente, riscritta da capo, sburocratizzata innanzi tutto. Se affrontiamo invece l’aspetto della cannabis che viene usata per uso ludico, l’unica strada per il Partito Radicale è la legalizzazione, visto che i consumatori sono 5 milioni, cioè un consumo di massa che non può essere criminalizzato. La regolamentazione è la strada che hanno scelto molti Paesi per evitare la vera “liberalizzazione”, oggi ad esclusivo appannaggio della criminalità
organizzata.

Il suo atto è chiaramente un momento di disobbedienza civile. Qual è l’utilità della
disobbedienza e quale la sua ragione essenziale oggi?                                                                                                                             

Il mio amico e compagno di lotta Andrea Trisciuoglio, affetto da sclerosi multipla e protagonista
con me, Marco Pannella e Laura Arconti di tante disobbedienze civili, afferma che i malati sono costretti a disobbedire e richiama costantemente l’art. 54 del codice penale secondo il quale non è punibile chi ha commesso il fatto-reato per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona… La disobbedienza civile poi diviene
necessaria di fronte all’ottusità delle istituzioni che, per quel che riguarda le “droghe” illegali, non riescono proprio a governare il fenomeno. Per la Cannabis, voglio ancora una volta ribadirlo, è la Direzione Nazionale Antimafia a dirci che le azioni di contrasto svolte, nonostante i miglioripropositi e gli sforzi più intensi, non hanno determinato, non solo, una scomparsa del fenomeno
(che per quanto auspicabile appare obbiettivamente irrealizzabile), non solo un suo ridimensionamento, ma neppure un suo contenimento. Tutto ciò determina costi elevatissimi per la società: forze dell’ordine impegnate in decine di migliaia di azioni repressive, ingolfamento dei tribunali, carceri piene, mafie che si arricchiscono a dismisura. Pertanto, la disobbedienza civile, corrisponde anche al “dover essere” del cittadino che vuole che su temi scottanti e indigesti al potere possa aprirsi almeno un dibattito laico, scevro da pregiudizi. Mi ha molto confortato sapere che negli Stati Uniti dal 2000 ad oggi si è capovolta la percentuale degli americani favorevoli alla legalizzazione della cannabis: erano il 37% allora, sono il 62% oggi. Se non molliamo, abbiamo buone possibilità di farcela anche in Italia.