Intervista a Franco Mirabelli, senatore del Partito Democratico e componente della Commissione Giustizia del Senato. Le carceri e la pandemia, l’idea di giustizia del governo giallo-rosso, le prospettive di riforma del processo penale, sono solo alcuni degli argomenti trattati.
Per limitare i danni che la pandemia sta causando nelle carceri, nel D.l. Ristori sono state previste alcune misure, tra cui la possibilità d’esecuzione della pena nel domicilio per chi ha meno di 18 mesi da scontare e l’allungamento della durata delle licenze premio straordinarie e di quella straordinaria dei permessi premio. Si ritiene soddisfatto? Davvero non si poteva fare di più in un momento di emergenza come questo?
Credo che si sarebbe dovuto e si debba tutt’ora fare di più. Abbiamo ottenuto l’approvazione di due emendamenti che coinvolgono una platea di circa 1300 beneficiari. Queste misure permetteranno ai detenuti che devono scontare meno di 18 mesi di ottenere i domiciliari, e a coloro che godono di permessi premio o di lavoro di restare fino al 31 gennaio al di fuori delle mura carcerarie. Sono misure importanti, ma è ancora insufficiente. Data la situazione complessiva delle carceri, penso che aumentare fino a settantacinque giorni (rispetto ai quarantacinque che erano in passato, ndr) lo sconto di pena che il detenuto può ottenere ogni semestre per buona condotta possa già essere un gran passo avanti. Ciò anche in vista degli interventi volti alla sistemazione delle strutture carcerarie, previsti dal recovery fund.
Non sarebbe opportuno intervenire anche attraverso misure diverse dalla mera manutenzione o costruzione di strutture carcerarie?
Certo. Nelle bozze del Governo è previsto che parte dei fondi provenienti dal recovery fund saranno destinati non solo alla costruzione e manutenzione delle carceri, ma verranno impiegati per migliorare il trattamento rieducativo del condannato, adeguando e aumentando la qualità tanto delle strutture quanto delle attività trattamentali attuali.
A seguito dell’incontro con Rita Bernardini, reduce da ben 36 giorni di sciopero della fame, Giuseppe Conte ha fatto visita al carcere romano di Regina Coeli. Come giudica questo gesto? Seguiranno interventi più incisivi da parte del Governo?
Il mio gruppo, insieme al Governo, cercherà di portare avanti iniziative che mirino all’adozione di interventi più incisivi. Credo che il Presidente del Consiglio abbia fatto bene ad accogliere l’invito della Bernardini e penso che le Istituzioni debbano dare un chiaro segnale di vicinanza nei confronti di chi oggi è detenuto, in modo che nessuno si senta abbandonato. Deve passare il messaggio che queste si occupano di tutelare i diritti dei detenuti e di garantire il percorso rieducativo previsto dalla nostra Costituzione. Credo, inoltre, che per poter intervenire sia utile rendersi conto delle condizioni non solo di chi sta scontando la pena, ma degli stessi operatori e degli agenti che lavorano all’interno delle strutture. Siamo sulla strada giusta. È evidente come nell’ultimo anno e mezzo − soprattutto rispetto all’amministrazione precedente − l’atteggiamento nei confronti del carcere e della detenzione sia molto cambiato, nonostante il Ministro della giustizia sia lo stesso.
La Conferenza dei Garanti territoriali dei detenuti ha richiesto l’inclusione del personale di polizia penitenziaria e dei detenuti nel novero di categorie prioritarie del piano vaccinale contro il Covid. La richiesta non è stata accolta. Come valuta la decisione del Governo?
Appoggio e condivido la richiesta. Lavoreremo nei prossimi giorni e nelle prossime settimane affinché si intervenga in questo senso. Le strutture carcerarie, essendo spazi chiusi, favoriscono la circolazione del virus, per cui penso che sia utile procedere alla vaccinazione quanto prima.
La richiesta, però, non è stata accolta…
Per ora no, ma è vero che la campagna vaccinale è iniziata in anticipo e stiamo ottenendo ottimi risultati. È previsto che vengano vaccinati per primi gli operatori sanitari, poi, solo verso la fine gennaio, si procederà con le vaccinazioni all’interno delle RSA e fra gli agenti delle forze dell’ordine. Vedremo se, in questo contesto, si riuscirà ad affermare il principio che il carcere deve essere un luogo più sicuro e tutelato, anche a costo di doversi scontrare con insopportabili polemiche.
Amnistia ed indulto sono dei taboo nel dibattito pubblico. Lei cosa ne pensa?
Penso che siano utilizzabili altri provvedimenti per ridurre la pressione all’interno delle carceri. Quello che bisogna evitare è di contrapporre i diritti dei detenuti a quelli che vengono percepiti come diritti delle vittime. La certezza della pena dev’essere garantita, bisogna però lavorare per depenalizzare una serie di reati minori, incentivare pene alternative e risarcitorie così da ridurre gli ingressi in carcere. Proposte come amnistia ed indulto conducono ad un dibattito sterile. Vi si opporrebbe chi, ad esempio, pensa che una persona condannata debba in ogni caso e a qualsiasi costo espiare la pena. Personalmente, ritengo che la pena debba essere espiata nelle migliori condizioni possibili e nel rispetto del dettato costituzionale, ma non possiamo mettere in discussione il principio della certezza della pena. Francamente, oggi trovo inopportuno un discorso su amnistia e indulto, perché solleverebbe un dibattito che, in questo Paese, rischia di penalizzare − anziché aiutare − l’affermazione di un’idea di carcere diversa.
In questo senso, mi pare che lei stia quasi declinando la “certezza della pena” come “certezza del carcere”.
No. Come le ho appena detto, penso che, anziché ricorrere a misure come amnistia o indulto, si debba insistere per ottenere la depenalizzazione dei reati più lievi e utilizzare pene alternative, risarcitorie o simili. Poi è chiaro che, quando la legge prevede il carcere, questo deve esserci. Vari meccanismi consentono al magistrato di sorveglianza di valutare trattamenti diversi come permessi premio, permessi lavoro, arresti domiciliari. Queste possibilità già ci sono, ma noi abbiamo il compito di ampliare le ipotesi in cui per i reati minori si possa ricorrere a misure alternative al carcere.
All’interno della legge di bilancio − a seguito di una votazione unanime in Commissione − è stato inserito l’emendamento Costa, il quale prevede il rimborso delle spese legali per gli assolti in via definitiva nel processo penale. Forse è il primo atto davvero garantista della legislatura. Cosa pensa di questa misura?
Innanzitutto, nella legge di bilancio non c’è solo questo. Ad esempio, è stata finalmente finanziata la legge che consente alle madri con bambini di espiare la pena al di fuori del carcere, una conquista che mi pare molto importante. Per quanto riguarda, invece, la proposta di Costa, bisogna dire che un risarcimento per gli errori giudiziari c’era già. Dopodiché, nulla osta! Così come è giusto che lo Stato si assuma la responsabilità di eventuali errori giudiziari, è doveroso che si assuma anche quella di aver danneggiato una persona perseguendola per reati che non ha commesso.
Almeno sul tema carcere il Pd, durante il Ministero di Andrea Orlando, aveva tentato un cambio di passo con l’esperienza purtroppo naufragata degli Stati Generali dell’Esecuzione penale. È ancora un tema che interessa al partito o ormai vi siete appiattiti alla linea punitivista pentastellata?
Assolutamente no, semmai è il M5S che si è adeguato alle nostre idee sul carcere. Ciò è dimostrato dal fatto che, nelle ultime due leggi di bilancio, sono stati previsti fondi per l’assunzione di personale per il trattamento penale esterno, ossia per l’esecuzione di misure alternative alla detenzione. Inoltre, nella proposta governativa di riforma del processo penale si perseguono gli obiettivi di depenalizzazione di alcuni reati e l’utilizzo di pene risarcitorie e contravvenzioni. Ancora, abbiamo proposto – e il Governo ha accettato – che i fondi del Recovery Fund venissero utilizzati anche per l’ampliamento degli spazi dedicati al trattamento rieducativo nelle carceri esistenti, anziché per la costruzione di nuovi edifici: questo è indice della nostra volontà di affrontare il problema del sovraffollamento negli istituti di pena. Oltre al lavoro su questi temi, il Pd avversa la proposta – proveniente da parte del M5s – di far confluire negli organici della Polizia penitenziaria gli operatori trattamentali, poiché questo snaturerebbe il lavoro di coloro che svolgono tale fondamentale funzione. Tutto ciò, dimostra che il M5s non ha contagiato il PD.
È corretto dire che il tema della giustizia è quello che più vi differenzia dai vostri partner di Governo?
All’inizio sicuramente era così, ora mi pare che stiamo riuscendo ad ottenere risultati soddisfacenti: l’idea di buttare via la chiave non appartiene più a nessuna componente di questo Governo. Faccio notare che, quando gli esponenti vanno a visitare un carcere, lo fanno allo scopo di verificare le condizioni dei detenuti e della detenzione. Salvini, invece, ci va per portare il panettone agli agenti di custodia in quanto, a suo dire, sono martiri che devono confrontarsi con l’80% di immigrati… su questo, mi sembra che la differenza con la destra, anche da parte del M5s, sia netta.
Per il prossimo anno, in tema di Giustizia, quali sono gli obiettivi che vi proponete?
Per quanto riguarda la giustizia in generale, è necessario riformare al più presto sia il processo civile, in quanto è impossibile fare investimenti necessari al Paese se le cause civili durano un’infinità, sia il processo penale, rivedendo la norma sulla prescrizione e proseguendo con la proposta governativa che garantisce maggiore celerità e maggiore utilizzo dei riti alternativi. Sull’edilizia carceraria mi sono già espresso, ma voglio sottolineare che bisogna impegnarsi a migliorare le strutture esistenti e a implementare esperienze trattamentali virtuose, perché è dimostrato che riducono significativamente il tasso di recidiva e aiutano il reinserimento. È questa la più intelligente politica sul carcere e sulle pene, in quanto garantisce nel miglior modo possibile la sicurezza dei cittadini. Invece, chi utilizza lo slogan “buttare via la chiave” non fa un buon servizio alla sicurezza collettiva. Anzi, fa propaganda alimentando il senso di insicurezza e si pone al di fuori del dettato costituzionale. Se il carcere diventa esso stesso un generatore di violenza, non sta svolgendo il suo compito neanche in quanto a sicurezza dei cittadini.
Sulla prescrizione il PD vuole lavorare, sebbene la riforma Bonafede sia già in vigore…
Vi sono già alcune proposte di modifica, tra cui l’ipotesi che l’interruzione della prescrizione scatti, dopo il primo grado, soltanto in caso di verdetto di condanna e non anche di assoluzione. Dobbiamo ancora verificare gli effetti della riforma Bonafede, tuttavia credo che una buona riforma del processo penale che comporti una significativa diminuzione dei tempi del processo renda questo tema meno importante e meno drammatico.
Ora la situazione è drammatica, lo riconosce anche Lei?
Io penso che il fatto che i processi penali possano durare all’infinito e che le persone possano essere sottoposte sine die a un procedimento giudiziario, sia un problema molto serio.
Possiamo dire che è il pegno che avete dovuto pagare per far nascere questo Governo?
No, assolutamente no. Quella legge noi l’abbiamo trovata, non l’abbiamo votata, Anzi, a suo tempo abbiamo votato contro quella riforma proposta dal Governo giallo-verde. Nel momento del cambio di governo, abbiamo messo sul tavolo questa questione e stiamo andando avanti per far sì che venga modificata. Il fatto che i suoi effetti si verificheranno tra 3-4 anni ci garantisce un tempo adeguato per agire. Non abbiamo mai fatto mistero che quella legge non ci piace e che vogliamo cambiarla. Questa visione è condivisa anche da altre componenti della maggioranza (IV e LeU), per cui è necessario trovare un compromesso.
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