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La Corte penale internazionale (International Criminal Court, ICC), con sede all’Aja (Paesi Bassi), è l’organo penale che si occupa dei crimini di rilevanza internazionale posti in essere da persone fisiche (individuals). Venne istituita il 1° luglio 2002, a seguito dell’entrata in vigore dello Statuto di Roma, adottato dalla Conferenza diplomatica di Roma il 17 luglio 1998. Tale trattato internazionale costituisce lo statuto della Corte e ne definisce la competenza e il funzionamento. In base all’art. 11 dello Statuto, la Corte è competente ratione temporis per tutti i crimini di cui all’art. 5, posti in essere a partire dal 1° luglio 2002. In base a quest’ultimo articolo, la Corte è competente ratione materiae relativamente «ai crimini più gravi, motivo di allarme per l’intera comunità internazionale»; tra questi sono ricompresi il crimine di genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra e il crimine di aggressione.

  • Per genocidio s’intende un atto qualsiasi tra quelli elencati all’art. 6, commesso nell’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come ad esempio, tra gli altri, l’uccidere membri del gruppo (lett. a) oppure il cagionare gravi lesioni all’integrità fisica o psichica di persone appartenenti al gruppo (lett. b).
  • Anche i crimini contro l’umanità vengono definiti attraverso l’elencazione di una serie di condotte, le quali, se commesse nell’ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili e con la consapevolezza dell’attacco, valgono ad integrare la fattispecie ex art. 7, come ad esempio la riduzione in schiavitù (lett. c) o la tortura (lett. f).
  • Per crimini di guerra, in base all’art. 8, s’intende: una o più gravi violazioni della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 [1]; altre gravi violazioni delle leggi e degli usi applicabili, all’interno del quadro consolidato del diritto internazionale, nei conflitti armati internazionali, come ad esempio dirigere intenzionalmente attacchi contro popolazioni civili in quanto tali o contro civili che non partecipino direttamente alle ostilità, oppure dirigere intenzionalmente attacchi contro beni di carattere civile, e cioè beni che non siano obiettivi militari, oppure ancora dirigere intenzionalmente attacchi contro personale, installazioni, materiale, unità e/o veicoli utilizzati nell’ambito di una missione di soccorso umanitario; in ipotesi di conflitto armato non di carattere internazionale, una o più gravi violazioni dell’articolo 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, come per esempio la violazione della dignità personale, con particolare riferimento ai trattamenti umilianti e degradanti; sempre nell’ambito di conflitti armati non internazionali, altre gravi violazioni delle leggi e degli usi applicabili all’interno del quadro consolidato del diritto internazionale, come per esempio il dirigere intenzionalmente attacchi contro popolazioni civili in quanto tali o contro civili che non partecipino direttamente alle ostilità.
  • Infine, il quarto crimine su cui la CPI può esercitare la propria competenza è il crimine di aggressione. Con tale fattispecie penale s’intende la pianificazione, la preparazione, l’inizio o l’esecuzione, da parte di una persona in grado di esercitare effettivamente il controllo o di dirigere l’azione politica o militare di uno Stato, di un atto di aggressione che per carattere, gravità e portata costituisce una manifesta violazione della Carta delle Nazioni Unite del 26 giugno 1945. Nel dettaglio, per atto di aggressione s’intende l’uso della forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato, o in qualunque altro modo contrario alla Carta delle Nazioni Unite; sempre all’art. 8 bis, sono poi elencate le concrete e diverse ipotesi che integrano gli estremi di atto di aggressione, indipendentemente dall’esistenza di una previa dichiarazione di guerra (peraltro in conformità alla risoluzione 3314 (XXIX) dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 14 dicembre 1974).

Al di là della definizione delle fattispecie delittuose, e forse ancora prima delle stesse, va sottolineato come lo Statuto di Roma sia pur sempre un trattato internazionale e, in quanto tale, porta con sé determinate problematiche legate a questa categoria di fonti normative pattizie. Sinteticamente, né la Russia né l’Ucraina sono Stati parte dello Statuto di Roma [2] e pertanto non sono sottoposte alla competenza della Corte [3]. Esiste, tuttavia, una possibilità tramite la quale uno Stato non membro può attivare la competenza della CPI, consentendole di condurre indagini sul proprio territorio. Si tratta del meccanismo contenuto all’art. 12 co. 3 dello Statuto e all’art. 44 delle Rules of Procedure and Evidence, secondo cui uno Stato non membro può, con dichiarazione depositata presso la Cancelleria della Corte, accettare la competenza della stessa. Ebbene, l’Ucraina ha depositato tale dichiarazione nel lontano 9 aprile 2014, quando si trovò costretta a subire l’invasione russa nella penisola della Crimea, consentendo in tal modo all’allora procuratore (prosecutor) Fatou Bensouda di aprire l’indagine. Ad oggi, pertanto, l’Ucraina è sottoposta alla competenza della CPI per quanto riguarda il crimine di genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra posti in essere da suoi cittadini o sul suo territorio nazionale. Per quanto riguarda, invece, il quarto crimine di cui all’art. 5, quello di aggressione, i limiti normativi appaiono invero insormontabili e meritano di essere approfonditi per avere un taglio pratico ed edotto di quanto il diritto internazionale penale attualmente in vigore si dimostri inappropriato alla realtà che stiamo vivendo. Relativamente al crimine di aggressione, infatti, il fondamento normativo alla base della competenza della CPI è da rinvenirsi in un diverso articolo, ovverosia l’art. 15 bislex specialis nei confronti del citato art. 12. Tale norma prevede che la Corte possa esercitare, in conformità all’art. 12, il proprio potere giurisdizionale in relazione a un crimine di aggressione risultante da un atto di aggressione commesso da uno Stato parte, salvo il caso in cui tale Stato abbia in precedenza dichiarato di non accettare un simile potere giurisdizionale depositando un’apposita dichiarazione presso il Cancelliere (comma 4). Ed è subito chiaro quali siano i problemi applicativi, come peraltro ammesso dal successivo comma 5: la Russia non è parte dello Statuto di Roma e, anche se lo fosse, per espressa previsione normativa avrebbe potuto presentare, prima di agire, una dichiarazione di non accettazione di un tal potere giurisdizionale nei suoi confronti. Paradossalmente, dunque, affinché uno Stato terzo rispetto allo Statuto possa essere giudicato per il crimine di aggressione, in quanto asseritamente reo di uno o più atti di aggressione, l’art. 15 bis richiede il consenso di questo stesso Stato.

Oltre l’appena esplicata aporia normativa, è ormai di dominio pubblico che in Ucraina sono state perpetrate (e probabilmente si stanno perpetrando tuttora) azioni sussumibili nelle fattispecie di cui agli artt. 6, 7 e 8 dello Statuto. Già all’inizio dell’invasione, l’attuale procuratore capo della CPI Kharim Khan, dopo aver esternato la propria preoccupazione circa gli avvenimenti recenti (una preoccupazione dovuta anche all’impossibilità di procedere per il reato di aggressione), in data 28 febbraio 2022 aveva deciso di continuare l’iter della preliminary examination avviato anni prima dalla collega Fatou Bensouda. Questa fase, del tutto differente dal nostro concetto di indagini preliminari, può essere avviata sulla base di informazioni inviate da individui o gruppi di persone, Stati, organizzazioni intergovernative o non governative, di un rinvio da parte di uno Stato parte o del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (cd. referral), oppure tramite una dichiarazione presentata da uno Stato che accetta l’esercizio della giurisdizione della Corte ai sensi dell’art. 12 dello Statuto. Queste ipotesi, nel loro complesso, corrispondono mutatis mutandis a quella che l’ordinamento italiano chiama “notizia di reato”. Intervenuta una di queste circostanze ed esaminato il materiale a sua disposizione, anche tenendo in debito conto l’interest of justice ex art. 53, il procuratore decide se aprire la successiva fase della investigation. In tale fase, che richiama i principi del modello accusatorio di common law, il procuratore adotta tutte le misure necessarie per garantire uno svolgimento efficace dei procedimenti, anche ricercando le prove sia a carico che a favore dell’indagato (evidence), con lo scopo di poter arrivare a chiedere ai giudici della CPI di emettere, alternativamente, un mandato d’arresto (la CPI si affida ai paesi per effettuare gli arresti e trasferire i sospetti) o un mandato di comparizione, per cui gli indagati compaiono volontariamente (in caso contrario, può essere emesso un mandato d’arresto). Successivamente si apre il processo vero e proprio, composto da un Pre-Trialstage e da un Trial stage, che avrà la sua naturale conclusione nella pronuncia; qualora di condanna, questa verrà scontata nei paesi che hanno accettato di eseguire le sentenze della CPI. In conclusione, non è dato sapere come si muoverà il giurista britannico Khan e se Vladimir Putin sia realisticamente imputabile – nonostante sia evidente il metodo di combattimento russo, che colpisce indifferentemente civili e militari, bombardando ospedali e scuole. Quel che è certo, però, è che, allo stato attuale, la Corte si trova imbrigliata in una clausola tecnico-giuridica che dovrà esser superata in un modo o nell’altro, prima o poi, pena la perdita di credibilità internazionale della Corte. Non servirà certo a poter condannare Putin per il crimine di aggressione dell’Ucraina, in quanto vigente il principio di irretroattività della legge penale internazionale ex art. 24 dello Statuto; ma servirà a dotare la Corte di un ruolo più forte nello scacchiere internazionale in un’ottica di lungo periodo.


[1] Non si tratta, invero, di una sola fonte normativa, bensì di un corpus di atti giuridici: si devono infatti considerare le quattro Convenzioni di Ginevra adottate nel 1949 insieme ai due Protocolli aggiuntivi del 1977 e a quello del 2005, che nel loro complesso costituiscono la base del diritto internazionale umanitario.
[2] L’Ucraina ha firmato nel 2000 il trattato istitutivo della CPI, ma non lo ha mai ratificato.
[3] Tecnicamente, come si evince dal par. 1 dell’art. 12 dello Statuto, per competenza della Corte nei confronti di una nazione s’intende competenza a giudicare crimini commessi da chiunque sul territorio di quella nazione o da suoi cittadini all’estero.

* foto tratta da “The ICC Forum: A Worldwide Discussion on the International Criminal Court” su: https://www.promisehumanrights.blog/blog/2019/11/icc-forum