A chi sostiene, tanto in buona fede (probabilmente per ingenuità), quanto in malafede (cavalcando strumentalmente il diritto ad astenersi), che il “Referendum sulla Giustizia” proponga quesiti che non riguardano i più o che ai più sono incomprensibili, basterebbe rispondere con Sciascia che “nessuno, anche se sprovvisto di ogni supporto tecnico, si può considerare estraneo e profano rispetto all’amministrazione della giustizia”. Tra tutte le argomentazioni per contrastare questo referendum, infatti, quella della presunta inaccessibilità dei quesiti per i cittadini è certamente la più pretestuosa e, in quanto tale, anche quella che più disvela le reali motivazioni su cui si fonda una parte considerevole dei “NO”. 

L’idea che il popolo non sia in grado di esprimersi sulla giustizia tradisce una concezione domestica della stessa da parte della magistratura associata e di quelle fazioni politiche che, da Mani Pulite in avanti, altro non hanno fatto che pavidamente assecondarla, anche nelle sue peggiori derive. L’amministrazione della giustizia è per le toghe un affare interno, che non riguarda la comunità democratica in senso ampio; è oggetto a disposizione del solo potere giudiziario, un family affair da cui la politica, e a maggior ragione la comunità, devono tenersi a debita distanza. Se il Parlamento interviene (timidamente) con la riforma Cartabia allora l’ANM sciopera, gridando, come avviene per ogni riforma, alla minaccia nei confronti della “autonomia e dell’indipendenza” del loro ordine, senza fornire ulteriori e convincenti motivazioni. Se si indice un Referendum ecco l’invito a boicottarlo, propalando fake news, come quella diffusa dal Procuratore capo di Trieste, o convincendo i cittadini che non sono in grado di affrontare la complessità dei quesiti.  

Gli stessi cittadini, tuttavia, vengono chiamati in causa (quasi chiamati in raduno) ogni qualvolta sia necessario giustificare le peggiori pulsioni punitiviste: è in nome dei cittadini e della “collettività” che si giustificano le pene più aspre, che si alimenta il sovraffollamento carcerario, che si difende l’ergastolo ostativo, che si fomenta la gogna mediatica, che si rafforza il diritto penale totale. Emerge, così, in questa apparente contraddizione, tutta la differenza tra essere popolari e democratici, e quindi credere che la sovranità appartenga al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, ed essere populisti e oclocratici, cioè cavalcare a proprio uso e consumo le istanze e le paure della gente. Si distingue, ancora, in questa occasione, la posizione di chi crede realmente nelle istituzioni e negli strumenti che esse offrono, con tutti i loro limiti e i loro difetti, e chi, invece, in un misto tra statalismo, burocratismo e para-elitarismo di facciata, mal sopporta lo strumento referendario, indicandolo come inadatto a trattare il tema della giustizia penale.

Appare chiaro, poi, il confine che separa chi vuole realmente ridare valore e centralità al Parlamento, segnalare al legislatore, tramite il pungolo dello strumento referendario, la necessità di recuperare quel coraggio che ha perduto dopo Tangentopoli, da chi, al contrario, pur ergendosi strumentalmente a suo estremo difensore, vuole mantenerlo nell’impasse giustizialista, incapace di difendersi da un potere giudiziario sempre più aggressivo e illegittimamente supplementare. Si rende plastica, infine, la distanza, fra chi crede nella società libera, in cui tutti devono essere messi nelle condizioni di poter “conoscere per deliberare” e chi, invece, trae beneficio dalla preoccupante assenza del sistema mediatico, incapace di adempiere alle sue funzioni e in larga parte complice di un silenzio ingiustificabile (per rendersene conto è sufficiente leggere i dati AGCOM).

Naturalmente non solo, ma anche per questo, domenica 12 giugno è bene votare cinque sì*. Cinque sì, (anche) per riaffermare che la giustizia penale e l’ordinamento giudiziario sono qualcosa che riguarda tutti, anche e finalmente attraverso strumenti legali, democratici e costituzionali; nessuno escluso. E che, in coscienza e per coscienza, informandosi (sempre che i professionisti dell’informazione facciano la loro parte), tutti possono votare.

*Sui nostri canali social, sia Facebook che Instagram, così come qui, sul nostro sito web, trovate diverse analisi (anche punto per punto, di ogni quesito) sul referendum di domenica. Non mancano, per completezza, analisi critiche. Se siete ancora indecisi, dateci un’occhiata.