La spazza-corrotti vacilla: la Cassazione solleva la questione di legittimità e la spedisce alla Consulta.                                         

Con l’ordinanza 1992/2019 del 18 giugno, la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha sollevato d’ufficio questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto alcune disposizioni della cosidetta “Spazzacorrotti”. La riforma, fortemente voluta dal movimento 5 stelle, potrebbe rivelarsi incostituzionale nella parte in cui equipara i reati contro la pubblica amministrazione (persino il peculato) ai delitti di natura mafiosa nel trattamento sanzionatorio, in particolare nell’effetto automaticamente preclusivo alle misure alternative. Nella specie, gli ermellini hanno affermato nell’ordinanza che il peculato, per la natura propria della fattispecie, “non appare contenere alcuno dei connotati idonei a sostenere una accentuata e generalizzata considerazione di elevata pericolosità del suo autore, trattandosi di condotta di approfittamento, a fini di arricchimento personale, di una particolare condizione di fatto (il possesso di beni altrui per ragioni correlate al servizio) preesistente, realizzata ontologicamente senza uso di violenza o minaccia verso terzi e difficilmente inquadrabile – sul piano della frequenza statistica delle forme di manifestazione – in contesti di criminalità organizzata o evocativi di condizionamenti omertosi”. La previsione, quindi, che conferirebbe al reato il carattere dell’“ostatività”, un concetto ricorrente nell’ambito dei delitti di natura mafiosa, potrebbe rivelarsi non conforme agli articoli 3 e 27 della Carta, presi a parametro dal giudice a quo.  

I giudici dubitano “del fondamento logico e criminologico nel caso del peculato, in rapporto alla avvertita necessità che le presunzioni assolute, lì dove limitano un diritto fondamentale della persona, finiscono per violare il principio di uguaglianza di cui all’articolo 3,  se non rispondono a dati di esperienza generalizzati”. Particolarmente severo poi il giudizio del collegio sulla scarsa discrezionalità nella valutazione degli elementi soggettivi e sull’automatismo del meccanismo dell’ostatività, che da un lato sottolinea nell’ordinanza la già manifestata diffidenza della Corte Costituzionale nei confronti delle presunzioni legali di pericolosità, e dall’altro censura la portata eminentemente generalpreventiva della norma, rendendo inevitabile, a parere dell’autorità rimettente, il riferimento al parametro del finalismo rieducativo sancito dall’artiolo 27. Nonostante la giovane età della riforma, non è la prima volta che diventa oggetto di sindacato costituzionale: aveva destato la preoccupazione di più di un giudice la mancanza di un regime intertemporale e la possibile violazione del principio di irretroattività penale, uno dei cardini del nostro sistema che ha come scopo principale quello di garantire la certezza del diritto: sembrerebbe il medesimo che si prefiggeva il governo nella redazione del testo della legge.