Con la fondamentale sentenza 23 ottobre 2019, n. 253 la Corte Costituzionale ha aperto una piccola, ma decisiva, crepa nel muro impenetrabile dell’ostatività, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 bis, comma 1°, dell’ordinamento penitenziario, “nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416-bis del codice penale e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo ordin. penit., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti[1]. La Corte si è pronunciata sul nocciolo duro dell’art. 4 bis ord. penit. con una sentenza di accoglimento a valenza additiva[2] , che ha fatto traballare il regime, prima inscalfibile, dell’ostatività penitenziaria, aprendo la porta a future questioni di costituzionalità finalizzate al suo completo e definitivo adattamento costituzionale [3] . In questa direzione, è di pochi giorni fa la notizia che con ordinanza [4] del 3 Giugno 2020 la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 bis e 58 ter della legge 354/1975 e dell’art. 2 d. l. n. 152 del 1991, convertito, con modificazioni, nella l. 203/1991 in riferimento agli artt. 3, 27 e 117 della Costituzione, nella parte in cui escludono che il condannato all’ergastolo per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia, possa essere ammesso alla liberazione condizionale[5]. La Cassazione, dunque, ha deciso di percorrere quella strada che in molti avevano auspicato quale modalità di progressivo abbattimento del muro ostativo attraverso la via dell’incidente di costituzionalità. La questione riveste un’importanza ancora più significativa a seguito della decisione della Corte EDU nel caso Viola c. Italia, che ha condannato il nostro Paese per violazione dell’art. 3 della Convezione [6]  in relazione all’esistenza nel nostro ordinamento di un’ipotesi di ergastolo ineluttabilmente usque ad mortem, perlomeno in assenza di collaborazione con la giustizia [7]

A questo punto un chiarimento appare doveroso: cos’è esattamente l’ergastolo ostativo? Si tratta di una pena destinata a coincidere nella durata con l’intera vita del condannato e nelle modalità con una detenzione inevitabilmente ed integralmente inframuraria. Una punizione ineluttabilmente perpetua ed immutabile, la cui atrocità può essere vinta solo a condizione di collaborare con la giustizia ex art. 58 ter ord. penit., ovverosia – nel gergo penitenziario – barattare la propria libertà con quella di altri, “mettendoli in galera al posto proprio” [8]. Dal punto di vista propriamente giuridico, l’istituto in parola viene in rilievo nel caso della condanna all’ergastolo per uno dei reati contemplati nel “novero ostativo” di cui all’art. 4 bis ord. penit. Un contenitore di fattispecie fra loro fortemente eterogenee e distoniche, in seguito ad un progressivo allargamento alluvionale dovuto a successivi interventi bulimici del legislatore. Tale regime preclude l’accesso al lavoro all’esterno del carcere, alle misure alternative alla detenzione – esclusa la liberazione anticipata[9]  -, alla liberazione condizionale e, prima della sentenza della Consulta n. 253/2019, anche ai permessi premio, in assenza di collaborazione con la giustizia.  Come si sa, per il condannato a “fine pena mai” l’istituto di cui all’art. 176 cod. pen. permettere di mantenere vivo quel residuo di speranza di uscire un giorno dalla dimensione asfittica, segregante e angusta delle grigie mura del penitenziario, attraverso un’attiva e proficua partecipazione all’opera di rieducazione che la pena dovrebbe svolgere. L’art. 176 del cod. pen., infatti, stabilisce che il condannato alla pena sine die che abbia scontato almeno ventisei anni di pena e che abbia tenuto, durante il tempo di esecuzione, un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento, può essere ammesso al beneficio in discorso.  Per l’ergastolano ostativo questa possibilità è preclusa sic et simpliciter in forza di quell’automatismo legislativo che collega alla mancata collaborazione con la giustizia una duplice presunzione di persistenza dei collegamenti con il sodalizio criminale e di perdurante pericolosità sociale. Tale meccanismo mostra una totale indifferenza non solo al percorso rieducativo del condannato, frustrando di fatto quella vocazione alla riabilitazione che la pena dovrebbe avere, ma anche alle ragioni sottostanti che giustificano la riluttanza rispetto all’opzione collaborativa. Si pensi, a titolo di esempio, al timore di ripercussioni cruente nei propri confronti o nei confronti dei propri familiari, essendo la logica della rappresaglia violenta consustanziale alle logiche d’azione proprie della criminalità organizzata.  Una completa ed ostentata adiaforia al percorso di risocializzazione del reo che finisce per vanificare quel teleologismo rieducativo che dovrebbe caratterizzare la pena nel suo contenuto ontologico, accompagnandola da quando nasce nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue[10]. La prospettiva di una condanna ad una pena inscalfibile, ad una detenzione senza via di scampo, alla monotonia di un tempo sempre uguale a sé stesso e alla costrizione in uno spazio scientemente finalizzato alla limitazione esistenziale è tale da spalancare – anche per gli spiriti più frigidi – le porte dell’abisso e i varchi dell’orrore. L’ergastolo ostativo ci parla di una cruda realtà, di una putrefazione dell’esistenza e di una marcescenza della vita più che sufficienti alla realizzazione di una completa e definitiva inibizione esistenziale. 

E allora, in conclusione, l’auspicio è quello di un intervento del Giudice delle Leggi che riporti il sistema punitivo in un clima di compatibilità costituzionale e convenzionale, poiché nessuno è condannato a rimanere inesorabilmente uguale a sé stesso. Gli esseri umani, come tutte le entità del reale, sono esseri in fieri, sono oggetto di continuo cambiamento, sono figure che versano in un ontologico stato di divenire. Probabilmente ciò che ci rende davvero uomini è la capacità progettuale: vivere vuol dire progettare, immaginare e costruire un futuro diverso da una condizione esistenziale presente alienante o annichilente (come indubbiamente è lo stato di detenzione carceraria). Privare il condannato di questo diritto alla progettualità vuol dire defraudarlo del suo contenuto intimo ed essenziale di essere umano: in una parola, della sua dignità. 

[1] Corte Costituzionale 4 Dicembre 2019, n. 253 con nota di M. Ruotolo, Reati ostativi e permessi premio. Le conseguenze della sent. n. 253 del 2019 della Corte Costituzionale, in Sistema Penale, 12 Dicembre 2019 (https://sistemapenale.it/it/documenti/reati-ostativi-e-permessi-premio-conseguenze-sentenza-253-del-2019-corte-costituzionale). Inoltre, la Corte ha esteso in via consequenziale la dichiarazione di incostituzionalità, nei limiti e modi sopra indicati, a tutti gli altri reati comunque contemplati nell’art. 4-bis, comma 1°, ord. penit., per evitare che dalla sentenza discenda “la creazione di una paradossale disparità, a tutto danno dei detenuti per reati rispetto ai quali possono essere privi di giustificazione sia il requisito (ai fini dell’accesso ai benefici penitenziari) di una collaborazione con la giustizia, sia la dimostrazione dell’assenza di legami con un, inesistente, sodalizio criminale di originaria appartenenza” e che venga compromessa la “stessa coerenza intrinseca dell’intera disciplina di risulta” .

[2] A. Pugiotto, La sent. n. 253/2019 della Corte costituzionale: una breccia nel muro dell’ostatività penitenziaria, in Studium Iuris, 4, 2020. 

[3] A. Pugiotto, ibidem.

[4] R.G.N. 50166/2019.

[5] https://www.giurisprudenzapenale.com/2020/06/19/ergastolo-ostativo-mancata-collaborazione-con-la-giustizia-e-accesso-alla-liberazione-condizionale-sollevata-questione-di-legittimita-costituzionale/


[6] Il quale sancisce un divieto assoluto della tortura e di ogni trattamento inumano e degradante.

[7] Si veda D. Galliani – A. Pugiotto, L’ergastolo ostativo non supera l’esame a Strasburgo (a proposito della sentenza Viola v. Italia n.2), in AIC, 4, 2019.

 [8] C. Musumeci – A. Pugiotto, Gli ergastolani senza scampo. Fenomenologia e criticità costituzionali dell’ergastolo ostativo, Napoli, 2016.

[9] Del tutto priva di efficacia in caso di condanna all’ergastolo ostativo.

[10] In questi termine Corte Costituzionale sentenza 2 Luglio 1990, n. 313.