Alla luce della lettura della sentenza 260/2020 della Corte Costituzionale, viene naturale trovarsi disorientati dalla spiazzante declaratoria di infondatezza di tutte le censure di incostituzionalità dell’art. 438 co. 1 bis c.p.p. Tuttavia, come spesso accade, analizzando a mente fredda gli eventi (rectius: le motivazioni), emergono alcuni aspetti non rinvenibili dal solo dispositivo: si potrebbe parlare di un vero e proprio inganno di prospettiva, probabilmente smascherabile. Quello della Consulta è, in realtà, un monito che ricorda a tutti noi che se da un lato il legislatore possiede un ampio spazio di manovra in materia di politica criminale (ai limiti della [in]sindacabilità), l’attuale assetto sociale e politico sta cavalcando onde che sempre più spesso tendono ad infrangersi contro gli irrinunciabili principi a tutela del diritto di difesa, dell’imputato e del Giusto processo.