L’8 novembre, ad Otto e Mezzo, nota trasmissione condotta da Lilli Gruber, è intervenuto come ospite il neo Procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri. Di ciò che è successo, possiamo davvero dirci stupiti?


*crediti della foto in calce all’articolo

La linea editoriale del programma di Lilli Gruber in materia di giustizia è, purtroppo, nota: la pubblica accusa è protagonista, a scapito del contraddittorio costruttivo con un interlocutore di pensiero opposto e di diversa sensibilità culturale. Più in generale, nei talk show lo spazio riservato agli avvocati è pressoché nullo, nel solco di una prevenuta scarsa considerazione rispetto alla classe forense (con particolare attenzione alla categoria dei penalisti); diversamente, alla magistratura requirente si riconosce aprioristicamente un peso intellettuale. A conferma di ciò, basti vedere le tante presenze in televisione di magistrati in attività o in pensione (sempre privi di un contraddittore). Si potrebbe pensare, a titolo di esempio, all’esperienza di Piercamillo Davigo (opinionista fisso a “di Martedì” su “La7”), oppure ai numerosi interventi di Nicola Gratteri (anche sulla tv di Stato) e alle interviste del Procuratore Nino Di Matteo. Inoltre, in presenza di questa tipologia di ospite, spesso risalta l’accondiscendenza dell’intervistatore e degli altri interlocutori, che difficilmente osano contestare il pensiero del “supermagistrato” di turno. Al contrario, tutto nasce spesso dall’occasione di pubblicizzare un libro fresco di stampa dell’intervistato, proprio come è accaduto quando Lilli Gruber ha mostrato al pubblico il nuovo libro scritto da Gratteri.

Questo è ciò che, di norma, ci viene offerto, eccetto un caso isolato in cui il past president dell’Unione Camere Penali Italiane, Giandomenico Caiazza, ha avuto la possibilità di dibattere con Davigo. Un format, quello del confronto dialettico, consapevolmente non più riproposto, inevitabilmente a danno del modo in cui la collettività percepisce – tra le altre cose – la figura dell’avvocato penalista: un “azzecagarbugli”, e non invece colui che, come dovere professionale e deontologico, è tenuto a difendere con lealtà, onore e diligenza i diritti del proprio assistito. Gratteri, nell’intervista di cui qui si parla, non ha perso l’occasione per arricchire questa battaglia ideologica, facendo intendere che l’avvocato altro non è che un fastidioso orpello ad ostacolo del nobile lavoro dei pubblici ministeri, impegnati invece a sbattere in carcere i disonesti. Inoltre, il Procuratore non si è limitato a svilire l’avvocatura, ma si è spinto oltre. Infatti, a specifica domanda della conduttrice – che gli chiedeva cosa pensasse dell’accoglienza riservatagli dall’avvocatura partenopea –, ha qualificato come “messaggio intimidatorio” il comunicato della Camera Penale Napoli. Nel lungo comunicato citato, al contrario, la nomina di Gratteri al vertice della Procura partenopea era stata commentata con un tono diretto e schietto, ma leale; soprattutto, era stata sottolineata la disponibilità al confronto. Un margine, invece, chiuso dallo stesso Gratteri, che ha aggiunto: «Ho avuto a che fare con mafiosi e narcotrafficanti, figuriamoci se mi preoccupo degli avvocati». Un comportamento gravemente offensivo verso l’avvocatura, oltreché per niente rappresentativo di quei magistrati che, diversamente, credono nel confronto costruttivo tra le diverse professioni giuridiche, evitando impropri protagonismi televisivi. Gratteri ha perso un’altra occasione per fare bella figura, a maggior ragione in rapporto al suo peso mediatico e al ruolo delicatissimo che ricoprirà in una delle procure più complesse e importanti d’Italia e d’Europa.

Il Pubblico Ministero, poi, ha toccato con estrema superficialità tanti temi di attualità che riguardano la giustizia penale. Sulle intercettazioni si è mosso tra esempi confusi (intercettazioni disposte in procedimenti per mafia utilizzabili per accertare un furto di latte al supermercato) ed errori grossolani nella spiegazione dell’attuale disciplina vigente, criticabile perché – dal suo punto di vista – specchio di una non meglio precisata giustizia di classe. Gratteri ha anche banalizzato brutalmente il meccanismo (per vero mai correttamente menzionato) contemplato dall’art. 270 c.p.p. rispetto alla possibilità di far circolare comunicazioni intercettate tra procedimenti diversi. Rispetto alla proposta di abrogazione dell’abuso d’ufficio (contenuta nel disegno di legge presentato lo scorso settembre e non ancora approvato), poi, come è solito fare dinanzi alle politiche criminali di depenalizzazione, ha ridotto la questione allo slogan “liberi tutti”: una nuova occasione – a suo parere – per favorire «i furbetti, i parenti e gli amici degli amici» nel contesto della pubblica amministrazione. La cosiddetta “paura della firma”, a suo giudizio, è un falso problema, perché «i sindaci non firmano». Eppure, avrebbe meritato attenzione un dato: secondo le stime più aggiornate (risalenti al 2021), su 5.418 processi per abuso d’ufficio le condanne all’esito del dibattimento sono state solo 18. Sarebbe stato interessante un confronto su questi numeri, secondo il piano tecnico-giuridico. Ma nulla di ciò è avvenuto. È stato poi affrontato il tema dell’improcedibilità in appello, noto baluardo della Riforma Cartabia, ormai destinato alla via del tramonto prima ancora di concludere il periodo di “svezzamento”. Le critiche sono state ancora una volta imprecise, con la scelta, più o meno consapevole, di non addentrarsi minimamente nei pregi e nei difetti di un istituto meritevole di maggiore approfondimento. Certo, in un salotto televisivo non ci si aspettava sicuramente un’elucubrazione “corderiana”, ma neppure una tale leggerezza di analisi. Per finire, la conclusione a cui addiviene Gratteri rispetto al rapporto tra tempo e processo è la seguente: «noi dobbiamo creare un sistema penale, processuale e – sottolinea con veemenza – detentivo». Come sempre, a prescindere dall’argomento trattato, la linea deve essere quella della punizione incondizionata. Se è vero che Gruber era convinta che l’improcedibilità fosse una proposta di riforma del Governo Meloni, si può forse spezzare una lancia a suo favore: il magistrato calabrese, con le proprie riflessioni, avrebbe confuso persino Socrate.


*foto ricavata dall’articolo: “A Napoli procura vacante da oltre un anno, il Csm rinvia Gratteri a settembre” su il Riformista