Se è vero che, per avere accesso ai fondi, occorrerà rispettare una serie di condizionalità (a differenza di quanto era sembrato inizialmente), nessuna di queste riguarda il rispetto di determinati standard di civiltà giuridica per i Paesi destinatari.

“Abbiamo un accordo. E’ un buon accordo! Con un bilancio 2021-2027 di 1.074 miliardi e un piano di risanamento di 750 miliardi. L’Unione europea non ha mai deciso di investire in modo così ambizioso nel futuro”. Così ha scritto su Twitter la premier belga, Sophie Wilmès, al termine del lungo e tortuoso negoziato sul recovery fund, che ha segnato una svolta epocale in ambito europeo. I benefici dal punto di vista economico sembrerebbero essere consistenti, anche se il difficile viene ora: come verranno spesi questi soldi?

Al di là di ogni legittimo dubbio a riguardo e di qualsiasi tipo di valutazione strettamente economica, al momento la vera vittima sacrificale dell’accordo è senza alcun dubbio lo Stato di diritto. Se è vero, infatti, che per avere accesso ai fondi occorrerà rispettare una serie di condizionalità, a differenza di quanto era sembrato inizialmente, nessuna di queste riguarda il rispetto di determinati standard di civiltà giuridica per i paesi destinatari. Si era parlato, infatti, di una clausola da attivare nel caso di violazioni dello stato di diritto, al fine di congelare i fondi. Tale proposta, a seguito di un lungo tira e molla, è stata ritirata dopo che Viktor Orban aveva minacciato di bloccare l’intero pacchetto. In questo modo, pur in un evidente momento di straordinaria (e speriamo irripetibile) emergenza, si è per l’ennesima volta relegato in secondo piano lo stato di diritto che Paesi come Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia hanno sistematicamente violato. Nonostante negli ultimi anni siano state aperte diverse inchieste e si siano svolte diverse audizioni in merito alle predette violazioni, è stato perso il braccio di ferro per la rivendicazione di una espressione comune di civiltà giuridica.

Una dura presa di posizione è pervenuta anche nelle proposte di risoluzione del Parlamento europeo sulle conclusioni della riunione straordinaria del Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020, che al punto 9 deplora fortemente che il Consiglio europeo abbia significativamente indebolito gli sforzi della Commissione e del Parlamento volti a difendere lo Stato di diritto, i diritti fondamentali e la democrazia nel quadro del QFP e dello strumento Next Generation EU, nel passaggio in cui “ribadisce la sua richiesta di completare il lavoro dei colegislatori sul meccanismo proposto dalla Commissione per proteggere il bilancio dell’UE laddove esista una minaccia sistemica nei confronti dei valori sanciti dall’articolo 2 del TUE e laddove siano in gioco gli interessi dell’Unione; sottolinea che, per essere efficace, tale meccanismo dovrebbe essere attivato a maggioranza qualificata inversa; sottolinea, ancora, che tale meccanismo non deve pregiudicare l’obbligo degli enti pubblici o degli Stati membri di effettuare pagamenti a favore dei beneficiari o dei destinatari finali; sottolinea che il regolamento relativo allo Stato di diritto sarà adottato nel quadro della codecisione”

Ad oggi, a parte l’episodio in questione del Recovery Fund, qualche passo in avanti è stato fatto: nel caso in cui si appurino violazioni allo stato di diritto, l’attuale meccanismo subordina il congelamento dei fondi, sulla base di verifiche da parte della Commissione, alla decisione presa dagli Stati membri in Consiglio europeo. A fronte dell’inadeguatezza della procedura, lo spiraglio di luce è rappresentato dall’eliminazione della regola dell’unanimità a favore della maggioranza qualificata, così come stabilito dall’art. 23 dell’intesa raggiunta dai leader.

L’eurodeputato Sandro Gozi nelle file di Renew Europe, in linea col pensiero dell’intera area liberale, preme addirittura per la previsione di una maggioranza qualificata inversa, che consentirebbe, nel caso di verifica della violazione da parte della Commissione, di poter congelare i fondi. Il Consiglio potrà poi bloccare questa decisione solo con una maggioranza qualificata contraria alla richiesta della Commissione. Nonostante non si possa parlare di piena vittoria di Orban, in quanto in ogni caso -come appena segnalato- la Commissione può bloccare i fondi (seppur con meccanismi non ancora congeniali rispetto a quanto si intende tutelare), è chiaro che si debba fare chiarezza su quali siano concretamente le priorità dell’Unione europea.

Certo, nel caso del Recovery Fund si è persa l’occasione di mandare un messaggio forte, come la decisa rivendicazione di ciò che dovrebbe essere la normalità. Perciò, restiamo in attesa degli sviluppi, sperando che l’Europa unita divenga sempre di più anche un’Europa unita nella civiltà giuridica.