Il mantra di questi giorni, diffuso tramite tutti i mezzi di comunicazione social e non, è: “restiamo a casa”. E chi una casa non ce l’ha? Secondo l’ultima indagine Istat svolta in collaborazione con fio.PSD nel 2015, in Italia i senza fissa dimora sono oltre 50.000, e le ultime statistiche raccontano di un numero in aumento, che attualmente potrebbe sfiorare le 55.000 persone.
In questo momento di emergenza sanitaria per il nostro Paese, è necessario focalizzare l’attenzione sulle questioni normative relative a quella fetta di popolazione che versa in tale condizione. L’elemento da cui è necessario cominciare quando si parla di senza fissa dimora ai tempi del Codiv-19, è ovviamente quello della residenza. Bisogna partire, infatti, da un presupposto fondamentale: la maggior parte di queste persone non ha, in senso tecnico, una residenza (clicca qui per leggere i requisiti necessari per accedere alla residenza), e questo perché non tutti i comuni sono inclini, nemmeno in via fittizia, ad iscrivere anagraficamente, questi soggetti. Per via fittizia si intende una via in cui, nella prassi, vengono iscritti anagraficamente tutti coloro che, per ragioni disparate, non possiedono o perdono la residenza, al fine di evitare che essi risultino del tutto invisibili e irrintracciabili. Questa premessa si rende necessaria perché proprio alla residenza sono collegati alcuni importanti diritti, sia civili, come il diritto di voto, e sia di natura sociale, come ad esempio il diritto ad ottenere il medico base. Chi non possiede la residenza, infatti, non può accedere alle prestazioni del Sistema Sanitario Nazionale, salvo quelle di Pronto Soccorso. Nella situazione di emergenza sanitaria nella quale versa il nostro Paese, è lecito domandarsi come si possa conciliare l’eventuale – rectius, reale – impossibilità delle 50.000 persone senza fissa dimora di accedere a prestazioni sanitarie, con il rispetto e la piena applicazione dell’art.32 della nostra Costituzione, che riconosce e tutela il diritto alla come un diritto fondamentale sia nei confronti dell’individuo che della collettività.
La situazione di questi soggetti, però, si complica ulteriormente se si pensa al fatto che molti di loro hanno subito una ammenda ex art.650 c.p. per violazione delle disposizioni contenute nei noti Dpcm* o una sanzione amministrativa ai sensi del successivo Dl “Cura Italia”, a nulla valendo la loro giustificazione: “vivo in strada”. Attualmente, l’Associazione Avvocato di Strada Onlus, che da vent’anni si occupa di offrire tutela legale gratuita ai senza fissa dimora, ha lanciato un appello rivolto al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Presidenti di Regione ed ai Sindaci, affinché si prendano carico della situazione che, come accennato in precedenza, costituisce una minaccia tanto alla salute dei singoli soggetti senza fissa dimora, quanto alla collettività.
L’appello partito dall’associazione si articola in tre punti fondamentali:
1. Cessare immediatamente l’irrogazione di sanzioni ai senza dimora, che non hanno la possibilità di rimanere a casa, nè di provare uno dei motivi considerati legittimi per l’allontanamento dal domicilio tramite autocertificazione. Certi provvedimenti sanzionatori denotano una volontà di applicazione automatizzata e del tutto illogica della legge, che finisce col danneggiare le fasce più deboli e più bisognose di tutela.
2. Stanziare fondi per garantire un tetto a chi un tetto non ce l’ha, utilizzando immobili dismessi, palestre, capannoni. Tramite questo investimento, i senza fissa dimora potranno ottemperare al dictum dei DPCM, in condizioni igienico sanitarie che garantiscano loro di poter rimanere all’interno di strutture attrezzate.
3. Garantire a tutti il diritto alla salute assegnando un medico di base, anche in assenza del requisito della residenza, o, ancora meglio, istituendo almeno un presidio sanitario in ogni comune dedicato ai soggetti senza fissa dimora.
In particolare, agli amministratori dei singoli Comuni si chiede di:
1. Velocizzare il procedimento di iscrizione anagrafica dei senza fissa dimora e, di conseguenza, garantire alle stesse un adeguato controllo medico-sanitario.
2. Prolungare i cosiddetti “piani freddo”, che garantiscono un aumento di posti nei dormitori cittadini permettendo a più persone di dormire al caldo nei mesi invernali. Certo, una misura come questa non garantisce la completa tutela di questi soggetti o della collettività, dal momento che i dormitori, nonostante riescano a garantire orari di apertura più estesi per via dell’emergenza sanitaria, necessiterebbero di essere liberati per almeno cinque ore durante la giornata al fine di procedere alla sanificazione.
Per queste motivazioni, è opportuno che le misure proposte dall’Associazione Avvocato di Strada, siano accolte celermente e nella loro interezza, per la tutela di ognuno. Nessuno deve essere lasciato indietro.
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