Il fatto risale a circa due settimane fa: alcuni avvocati difensori del distretto della Corte d’Appello di Venezia hanno ricevuto, prima ancora che si celebrasse il processo d’appello, copia della decisione (di condanna) corredata di motivazione, termine per il deposito e financo delle spese liquidate alla parte civile; un semplice copia-incolla della decisione del Giudice di prime cure.
La denuncia della Camera Penale Veneziana – cui si è aggiunta, di poi, quella dell’Unione delle Camere Penali Italiane – non è tardata ad arrivare[1]. Evidente come, operando in tal senso, il secondo grado di giudizio sarebbe relegato a mera formalità; una pratica arcaica e scomoda di cui liberarsi con minimo sforzo e massima resa. Appunto, con un copia-incolla. Immediata, altresì, la reazione della Presidente della Corte d’Appello di Venezia, Dr.ssa Ines Marini, che ha parlato di semplici bozze di ipotesi di decisione. Nettamente più convinta, invece, la replica del Presidente della I Sezione, Dr. Carlo Citterio, il quale ha in sostanza rivendicato la paternità di una simile prassi, che non si sottrarrebbe alla collegialità, in quanto, sebbene le decisioni siano sempre rivedibili, se condivise, consentirebbe di implementare l’efficienza produttiva della Corte.[2]
Per vero, le pratiche volte a “sedare” il giudizio d’appello in nome della speditezza ed economia processuale sono plurime e tristemente note: la relazione introduttiva sostituita da alcuni fogli battuti a macchina, la richiesta al difensore di riportarsi ai motivi di impugnazione con buona pace delle “prolisse discussioni”. A queste si aggiunge – qualora la circostanza dovesse essere confermata – la decisione dell’impugnazione preconfezionata. Si è osservato, con fine sarcasmo, come l’avvocatura sia “incapace di cogliere i tanti e indubitabili benefici che [ne trarrebbe] da questa serenissima prassi”. In tal modo, infatti, si eviterebbero “le spasmodiche attese del dispositivo, generatrici d’ansia e foriere di nefaste ipertensioni”; vi sarebbe, inoltre, un ingente risparmio di tempo per l’eventuale ricorso in cassazione, che potrà essere redatto senza attendere il formale deposito della motivazione, aggirando i “ritardi endemici con cui le cancellerie assottigliano il termine per impugnare”, e via discorrendo.[3]
Susciterebbe ilarità, se non fosse tragico. Manifesta, infatti, la violazione dell’art. 111 Cost., che non può essere ridotto a mera enunciazione formale, posto che la garanzia di partecipare fattivamente alla formazione del provvedimento giurisdizionale, adducendo ogni argomento difensivo nel contraddittorio delle parti, rappresenta una garanzia minima in uno Stato di Diritto che possa definirsi tale. Senza contare, poi, la mortificazione dell’oralità che è strettamente connessa al principio del contraddittorio, nonché la mortificazione della funzione collegiale. In relazione a quest’ultimo aspetto, appare evidente come la discussione delle argomentazioni apportate tanto dalla Pubblica Accusa quanto dalla Difesa che avviene – o almeno dovrebbe – all’interno della camera di consiglio, costituisca anch’essa presidio irrinunciabile delle garanzie processuali, che non può essere obliterata in nome dell’efficienza e della produttività, quasi si gestissero i diritti dei consociati con un approccio aziendalistico. L’invito formulato dall’Unione delle Camere Penali Italiane a fare luce sulla questione è stato prontamente accolto dal Guardasigilli, Alfonso Bonafede, che ha invitato l’Ispettorato del Ministero della Giustizia a svolgere accertamenti preliminari in merito. Pertanto, attenderemo gli sviluppi che seguiranno all’ispezione ministeriale.
Tuttavia, un dato appare incontrovertibile già “allo stato degli atti”. La Magistratura italiana sta attraversando un periodo di profonda crisi nella coscienza sociale; questa fase potrebbe rappresentare l’occasione adatta per riconquistare “una nuova autorevolezza della giurisdizione, a partire da riflessioni su modelli, diritti, senso delle decisioni, attraverso interventi sul piano ordinamentale e per l’effettività delle garanzie difensive”.[4] Da ultimo, una breve notazione di chiusura che, più che sul piano della riflessione, si pone su un piano interrogativo. È evidente come il giudizio d’appello – se quanto detto dovesse essere confermato – sia oggetto di una vera e propria opera di denaturalizzazione, in quanto relegato a giudizio meramente cartolare. È altresì innegabile, dall’altro lato, che la goffa macchina della giustizia soffra di gravi problemi connessi alla gestione dell’enorme mole di lavoro. Tuttavia, questi ventilati principi di efficienza, speditezza ed economia processuale, quanto ci costano in termini di garanzie difensive? Non pare questa la sede adatta per interrogarsi sulle possibili soluzioni che possano far fronte all’esigenza improcrastinabile di velocizzare i tempi processuali, ma un dato è certo, l’efficienza non può – e non deve – essere realizzata rinunciando alle garanzie ed obliterando i diritti dei cittadini.
[1] Nota della Camera Penale Veneziana, 13 luglio 2020
[2] Cfr. Sentenze pre-compilate, bufera in Corte d’Appello, Il Gazzettino, 16 luglio 2020, di Gianluca Amadori.
[3] L. Zilleti, J’adore Venise, in Diritto di Difesa, 22 luglio 2020.
[4] Nota della Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane, 15 luglio 2020.
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