Intervista a Stefano Anastasìa, fondatore e già presidente dell’Associazione Antigone ed attualmente Garante dei detenuti della Regione Lazio. Con lui ci siamo soffermati sulle cause e i fattori che hanno portato le carceri italiane al livello di sovraffollamento attuale con 61.230 detenuti per 50.931 posti (vedi ultimi dati aggiornati) disponibili sulla carta. In secondo luogo, data l’emergenza determinata dal COVID-19, abbiamo affrontato il tema delle possibili soluzioni per ridurre la popolazione detenuta nel breve termine. 

Come siamo arrivati a questo  picco di sovraffollamento nelle nostre carceri?

Da ormai alcuni a questa parte è tornato in primo piano il tema della sicurezza pubblica  come discriminante fondamentale dell’agenda politica. Questo secondo i canoni di quello che abbiamo imparato a conoscere e definire come populismo penale. Il risultato è che le carceri sono piene ben oltre il necessario, piene di detenuti condannati a pene brevi o brevissime e per aver commesso fatti connotati da scarsa gravità e di pericolosità sociale irrilevante. Purtroppo, come dicevo, questo è il risultato di una domanda da parte dell’opinione pubblica e di una agitazione di vari esponenti politici indirizzate alla sempre maggiore richiesta dell’uso del carcere.

Quali sono le misure per arginare nel breve termine il sovraffollamento, data l’emergenza  determinata dal COVID-19?

Antigone ha presentato un documento insieme ad altre realtà e associazioni un documento che propone, innanzitutto, di potenziare e ampliare lo strumento della detenzione domiciliare molto oltre i termini attualmente previsti. Non solo, proponiamo anche di recuperare la misura della liberazione anticipata speciale, misura che fu utilizzata, portando a buoni risultati, nel periodo 2013-Dicembre 2015 in cui l’Italia era sotto osservazione del Consiglio d’Europa in seguito alla condanna della Corte Edu, per aver violato l’art.3 della Carta Europea dei Diritti dell’uomo (“nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”- Sentenza Torreggiani 2013). In sostanza, permetteva di avere 75 giorni di sconto di pena a semestre invece dei 45 giorni precedentemente e attualmente previsti, nel rispetto dei requisiti necessari per accedervi e in particolare della buona condotta con norme applicabili retroattivamente fino a tutto il 2018. Questa misura, se applicata nuovamente oggi, avrebbe un forte impatto positivo. Purtroppo nel decreto del Ministro, ormai in arrivo, questa misura non è prevista. Sono previste solo semplici  semplificazioni per poter sveltire la detenzione domiciliare

Quali, invece, le proposte per incidere in maniera significativa e strutturale sul sovraffollamento  carcerario?

R: Il primo problema è l’eccesso di criminalizzazione di una serie di condotte non lesive di beni fondamentali per le quali l’intervento del diritto penale non pare ragionevole.  Un esempio su tutti è quello dei reati per droga, in particolare quelli legati alle sostanze stupefacenti leggere. La strada della depenalizzazione di questa tipologia di reati e della sottrazione a forme di clandestinizzazione- anche dei consumatori-, e quindi di relativa punizione, al raggio d’azione del diritto penale inciderebbe in maniera considerevole sul sovraffollamento: i detenuti in carcere per reati di droga compongono un terzo della popolazione carceraria. Non ho problemi a dire che è necessario parlare di legalizzazione delle droghe leggere.

 Oltre alla depenalizzazione?

Bisognerebbe trasformare radicalmente il nostro sistema penale perché possa funzionare principalmente attraverso misure penali non detentive. Un cambiamento di approccio culturale e giuridico. Ad oggi il parametro, il termine di riferimento è ancora il carcere: la pena principale, pena per così dire “di base” consiste nella detenzione in carcere. Siamo ancora lontanissimi dall’idea di avere misure non carcerarie come pene di base; ora sono solo secondarie, si prevedono in seconda battuta. Mi riferisco a sanzioni di diversa natura rispetto a quella penale, sanzioni amministrative, ma anche interdittive o anche a forme di giustizia riparativa ancora del tutto o quasi assenti nel nostro ordinamento.  Il concetto è questo: bisogna finire in carcere soltanto per reati particolarmente gravi e violenti. Nella cultura anglosassone c’è questa distinzione tra reati violenti e non violenti, da noi si tiene meno in considerazione. Il carcere è in sé una struttura violenta, che incide fortemente su chi vi è recluso, se proprio vogliamo mantenere la struttura carcere, allora prevediamolo solo per condotte di particolari gravità.  Questo è l’approccio che bisogna adottare per non ritrovarsi ciclicamente a dover affrontare situazioni di sovraffollamento.

Lei è anche Garante dei detenuti della Regione Lazio. Lì come si sta agendo per porre rimedio alla situazione?

R: Abbiamo aperto un tavolo di confronto con il Provveditorato dell’amministrazione giudiziaria e il Tribunale di Sorveglianza, in cui stiamo tentando di individuare tutte le misure possibili per ridurre al massimo e nel più breve tempo possibile la popolazione detenuta. L’obiettivo è quello di individuare tutte le persone che possono accedere alle misure alternative al carcere, in particolare a quella della detenzione domiciliare. Per questo è molto importante verificare la concreta capacità di accoglienza sul territorio anche per tutti  i detenuti senza fissa dimora che avrebbero i requisiti per accedere alla misura ma che, appunto, non avrebbero una casa nel quale scontare la pena. In questo senso siamo in stretto contatto con il terzo settore e il mondo del volontariato che sta rispondendo molto bene. Speriamo di riuscire a compensare con queste misure una situazione molto complicata come quella attuale, devo dire che sono felice del buon coordinamento tra tutti gli attori sul campo. Tutti sono consapevoli della necessità di intervenire al meglio e il prima possibile.