Un giovedì dell’estate del 1983, alle 4 del mattino, Enzo Tortora viene svegliato nella sua camera dell’hotel Plaza con la scusa di un incidente automobilistico. Perquisita la stanza, è accompagnato nella sede del nucleo operativo di via Selci, Roma. La macchina è parcheggiata di proposito a circa 25 metri dall’entrata, dall’altro lato della strada. Pochi passi che consentono ai giornalisti di immortalare la walk of shame del presentatore ammanettato e di preparare la prima pagina dei quotidiani sull’operazione Portobello: “Blitz anti camorra: c’è anche Tortora.”
All’inizio dei roaring 90s, il Parlamento aveva deciso, a codice riformato, di rendere l’uso delle manette eccezionale, mentre la regola generale avrebbe imposto la traduzione del ristretto senza. Lettera quasi morta, nello stesso periodo viene arrestato Enzo Carra, in piena stagione Mani Pulite, e anche questa volta le foto con gli schiavettoni ai polsi fanno il giro. Forlani, nel commentare l’accaduto, disse che ad ottenere risultati in questo modo era la Gestapo.
Ricordandosi dei due casi, nel 1999, quel Parlamento aveva modificato nuovamente il codice, a dieci anni dall’entrata in vigore. L’art. 114, comma 6-bis, formulato allora ed ancora oggi in vigore recita: “È vietata la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica salvo che la persona vi consenta.”
La ratio della norma era quella di impedire la diffusione di foto in cui lo Stato mostra la “preda” fresca di cattura, perché lo Stato non è un pescatore, chi subisce misure restrittive non è un pesce lupo di 10 kg e la giustizia non è una gara di pesca.
Da allora, come l’acqua passa sotto i ponti, sono passate manette davanti alle telecamere, e in pochi hanno fatto grinze. Alla faccia del divieto, su youtube è possibile godersi tutto l’arresto di Massimo Carminati. Il video si intitola “SPETTACOLARI IMMAGINI ROS ARRESTO CARMINATI” ed ha più di mezzo milione di visualizzazioni.
Abbandoniamo l’ambizione di costruire una filmografia della violazione dell’articolo 114 e limitiamoci agli spettacoli che la giustizia ci ha regalato nel palinsesto di quest’anno. Per i dotati di connessione wi-fi, è stato possibile assistere alla cattura di Cesare Battisti in un video-spot in cui alle immagini del criminale seguivano le parole solenni del Ministro della giustizia. Tutto messo a disposizione del guardasigilli sulla sua pagina Facebook. Nel rispondere ai soliti polemisti da bar che pretendevano addirittura di inchiodare il ministro al rispetto della legge, Bonafede aveva detto che lo scopo del post era quello di “dare un tributo alla polizia”. Cesare Battisti era diventato un prestigioso trofeo di caccia o di pesca.
Poche settimane fa, la foto segnaletica di Carola Rackete ha fatto il giro dei social network collezionando una quantità sorprendente (o forse no) di insulti, dopo aver subito la consueta gogna dei vari lanciatori di monetine, branditori di cappi, agitatori di manette “in real life”, come si dice su internet. Qualcuno, dalla platea, insoddisfatto gridava “vogliamo vedere le manette”.
Oggi, dalla sede del nucleo operativo di via Selci (la stessa di Tortora), ridotta ancora una volta a studio televisivo, arrivano le foto dell’americano sentito per l’omicidio del vice brigadiere Mario Cerciello Rega.
Bendato e ammanettato, l’immagine sarebbe circolata tra i gruppi dei carabinieri (guarda che carpa che abbiamo preso!). Si tratterebbe del momento immediatamente precedente all’interrogatorio. L’arma ha aperto un’indagine interna, ma nessuno ancora sa perché sarebbe stato bendato. Si tratta di una patente violazione dei diritti individuali, censurabile ai sensi del codice di procedura penale (art. 64, art. 114 e art. 191) ed in sede internazionale (art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo), oltre che contraria all’articolo 13 della Costituzione, che, tutelando la libertà personale, enuncia: “È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”.
La civiltà occidentale e le democrazie mature si basano sul rispetto dello Stato di diritto. Del rispetto, cioè, dello Stato nei confronti delle sue leggi. Riconoscere dignità per Caino significa tracciare una distinzione tra la civiltà e la barbarie.
Il Ministro dell’interno però, definendo “bastardi” i due fermati, si auspicava una condanna ai “lavori forzati”, che il nostro ordinamento tra l’altro non conosce. E così, soffiando sul fuoco dell’indignazione, ora afferma in un post che l’unica vittima è il vice brigadiere ucciso, infangando la divisa che ciclicamente strumentalmente mostra. Perché dire di stare sempre dalla parte delle forze dell’ordine crea un cortocircuito insuperabile. Dalla parte della vittima, di chi viola la legge o dalla parte di chi, rispettandola e pur indossando la divisa, definisce l’episodio intollerabile? Perché la stessa legge che dice di non uccidere, dice di trattare l’assassino (anche presunto) con il dovuto rispetto e le dovute garanzie. È, ancora, quello che distingue la civiltà dalla barbarie. Il copione è già scritto. Susciterà indignazione l’inutilizzabilità dell’interrogatorio? Dove siamo finiti signora mia se non possiamo più bendare i criminali?
E l’arma diventa così due volte vittima.
Dal paese di Cesare Beccaria per ora è tutto.
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