È arrivata nel pomeriggio di ieri, 23 settembre 2021, la sentenza con cui la Corte d’assise d’appello di Palermo ha assolto, nel processo sulla cosiddetta “Trattativa Stato-Mafia”, gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, e l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri. Accusati di minaccia a un corpo politico dello Stato, in primo grado erano stati tutti condannati a pene molto severe, tra gli 8 e i 12 anni. Ora, invece, i tre ex ufficiali dei Carabinieri sono stati assolti perché «il fatto non costituisce reato», mentre Dell’Utri «per non aver commesso il fatto». Sembra dunque l’ennesima conferma nel senso che la Trattativa «non esiste, è una bufala, un falso storico» – come affermato nelle dichiarazioni a caldo dal legale di Mori.

Per la seconda volta – come già accaduto durante il processo all’ex ministro DC Calogero Mannino, promotore della Trattativa secondo l’accusa, e assolto definitivamente con rito abbreviato «per non aver commesso il fatto» – crolla il castello accusatorio dei pubblici ministeri di Palermo, secondo i quali gli ufficiali del Ros, tramite l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, avrebbero avviato con Cosa Nostra una interlocuzione al fine di interrompere la stagione delle stragi di mafia, in cambio di concessioni ai mafiosi detenuti al 41-bis e promettendo un allentamento delle azioni di polizia contro Cosa Nostra. Un dialogo tra i clan e le istituzioni che, sempre secondo la procura palermitana, dal 1994 avrebbe avuto Marcello Dell’Utri come mediatore verso i piani alti delle istituzioni, fino al Governo. La sentenza d’Appello del collegio presieduto da Angelo Pellino, a tre anni e mezzo di distanza dalla sentenza di primo grado, ha invece fatto cadere tale ricostruzione. Ulteriormente, sono state dichiarate prescritte le accuse al collaboratore di giustizia Giovanni Brusca; ridotta la pena al boss Leoluca Bagarella; confermata invece la condanna del capomafia Nino Cinà. Si attende il deposito delle motivazioni, ma già sicuramente questa decisione cancella anni di gogna mediatico-giudiziaria, servita soltanto a creare una densa nebbia che ha avvolto la verità su fatti su cui già la Cassazione si era pronunciata nel processo contro Mannino, affermando che l’ipotesi investigativa sulla trattativa è connotata da incongruenza, inconsistenza e illogicità. L’unico “Patto sporco” che ora rimane è il libro-intervista del giornalista Saverio Lodato al procuratore Antonino Di Matteo, da sempre sostenitore accanito della tesi sul presunto dialogo tra politica e mafia. Il libro, in quel modo titolato, è stato pubblicato nel 2018, pochi mesi dopo il pronunciamento di primo grado.

Nel caso in cui venisse recepita la direttiva europea 2016/363/UE sulla presunzione d’innocenza, sarebbe vietato ad un rappresentante dell’accusa affermare la colpevolezza degli imputati prima di una decisione irrevocabile: questo caso dimostra icasticamente la necessità che venga recepita al più presto questa normativa. Purtroppo, anni e anni di martellamento mediatico intorno a questa vicenda hanno creato un’aspettativa errata nell’opinione pubblica, tanto che numerose sono state le manifestazioni di sgomento e indignazione che hanno seguito la lettura del dispositivo della sentenza. Questo è l’effetto più evidente e pernicioso che l’anomalo rapporto, tutto italiano, tra magistratura e organi di informazione genera. È necessario, allora, tornare a sostenere con pervicacia la cultura delle garanzie individuali e collettive degne di uno Stato di diritto. Intanto, è doveroso esprimere solidarietà nei confronti degli uomini dello Stato ingiustamente esposti alla pubblica gogna. Pubblicate le motivazioni, vedremo se la pubblica accusa si appellerà alla Suprema Corte.