(In foto Enrico Costa, parlamentare di Forza Italia, già ministro degli Affari regionali e della Famiglia e componente della II Commissione Giustizia, che da anni porta avanti la battaglia per l'approvazione di una legge che tuteli chi abbia subito errori giudiziari)

Il 2 luglio la Camera dei Deputati ha discusso la proposta di legge di modifica della disciplina della riparazione per l’ingiusta detenzione. Il Disegno di legge era stato votato all’unanimità in commissione ma in Aula l’iter si è complicato perché è stato approvato, a scrutinio segreto, un emendamento presentato dal deputato di Forza Italia Enrico Costa e dal deputato del Partito Democratico Carmelo Miceli con il voto contrario dei partiti della maggioranza. La sconfitta della Lega e del Movimento 5 stelle (dovuta probabilmente al voto di alcuni franchi tiratori ed alle numerose assenze tra le fila della maggioranza) ha fatto esultare le opposizioni ed ha fatto nascere voci di crisi ben presto rientrate. La seduta è stata sospesa, su proposta del Movimento 5 Stelle, ed alla ripresa dei lavori la maggioranza ha votato contro l’intero testo di legge che è stato così bocciato. Fin qui la cronaca parlamentare ma cosa prevedeva il disegno di legge?

La proposta avrebbemodificato gli articoli 314 e 315 del codice di procedura penale, ampliando i presupposti del diritto
alla riparazione per ingiusta detenzione e prevedendo la trasmissione al Ministro della Giustizia ed anche al Procuratore generale presso la Cassazione, nei soli casi di grave violazione di legge, delle ordinanze di accoglimento della domanda di riparazione per ingiusta detenzione. Nello specifico, con riferimento all’art. 314 c.p.p., sarebbero state aggiunte alcune ipotesi a quelle considerate presupposto della riparazione per ingiusta detenzione, codificando quanto già affermato dalla Corte Costituzionale: 1) il caso di colui che sia stato sottoposto ad arresto in flagranza o a fermo di indiziato di delitto e, successivamente, sia stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, se non ha concorso a darvi causa per dolo o colpa grave; 2) il caso di colui che sia stato sottoposto ad arresto o fermo poi non convalidati con decisione irrevocabile; 3) il caso di colui che abbia patito la detenzione a causa di un erroneo ordine di esecuzione.

Inoltre, era stato previsto l’inserimento del comma 3-bis nell’art. 315 c.p.p. per disporre che l’ordinanza di accoglimento della domanda di riparazione fosse trasmessa al Ministro della Giustizia e, in caso di grave violazione di legge o delle norme sulle misure cautelari personali, anche al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione. Nessuna rivoluzione della materia, quindi, ma un intervento mirato a razionalizzare la disciplina della riparazione per l’ingiusta detenzione. Gli accorgimenti proposti avrebbero da un lato cristallizzato delle ipotesi già previste dalla Corte Costituzionale e dall’altro avrebbero agevolato la conoscenza dei provvedimenti summenzionati da parte dei due soggetti titolari dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati (il Ministro della Giustizia ed il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione). Le polemiche sull’ultimo punto, riguardante l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati, sono apparse pertanto eccessive o pretestuose. La novella si limitava a modificare l’iter del procedimento disciplinare senza apportare novità di rilievo. Non si coglieva nella norma proposta alcun tentativo di condizionamento dell’operato dei magistrati.

Quanto all’emendamento votato alla Camera, questo escludeva che il fatto che l’indagato si fosse avvalso, durante l’interrogatorio, della facoltà di non rispondere fosse da qualificarsi come comportamento affetto da dolo o colpa grave e quindi potesse comportare il mancato riconoscimento dell’indennizzo per ingiusta detenzione. L’art. 314 c.p.p. prevede che si ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita qualora il soggetto non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave. Secondo un coriaceo orientamento della giurisprudenza di legittimità la condotta dell’indagato che in sede di interrogatorio si sia avvalso della facoltà di non rispondere, pur costituendo esercizio del diritto di difesa, può in alcuni casi essere valutata dal giudice come comportamento gravemente colposo dell’indagato il quale, in tal modo, concorre a dare causa all’ingiusta detenzione, facendo venir meno il suo diritto alla riparazione della stessa. La modifica proposta mirava a rimuovere tale annoso paradosso per cui l’esercizio di un diritto (la facoltà di non rispondere, corollario del diritto di difesa costituzionalmente garantito) può precludere il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione. E’ assurdo che la maggioranza di Governo si sia opposta a questa norma di civiltà giuridica, così come è assurdo che abbia bocciato l’intera proposta di legge che pure aveva votato in Commissione. Ancora una volta le riforme in materia di Giustizia vengono sacrificate e strumentalizzate per ragioni politiche. Si è persa l’ennesima occasione di approvare una norma a tutela dei diritti delle persone contro i malfunzionamenti della macchina giudiziaria.