I valori di libertà, dello Stato di diritto, dei diritti degli individui sono, come ha ricordato Von der Leyen, valori universali e, in quanto tali, vi è la necessità di affermarne sempre la validità, soprattutto sullo scacchiere internazionale. Negandone l’universalità, con una presunta concezione “culturale” dei diritti umani, si mina la sostanza stessa del liberalismo.
“Cosa ci trattiene? Perché anche semplici dichiarazioni sui valori dell’Unione sono rimandate […], tenute ostaggio per altri motivi?”. Questa la critica nel suo primo discorso sullo Stato dell’Unione. Subito dopo, però, un appello agli Stati membri: siano coraggiosi, e abbandonino l’unanimità.


Nell’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea, viene sottolineato come essa si fondi sui valori di libertà e di rispetto dei diritti umani, sulla democrazia e sullo Stato di diritto. Questi valori dovrebbero, dunque, costituire il collante politico essenziale dell’Unione. Il cemento valoriale su cui si basa un’istituzione politica dovrebbe essere sempre arbitro e giudice nelle varie decisioni che vengono politicamente prese da tale istituzione. A questo proposito, tuttavia, bisogna notare come l’Unione europea sia stata sovente, nel corso della sua esistenza, criticata per avere adottato una politica estera troppo “mite”, poco assertiva, poiché non abbastanza efficace nella promozione dei valori liberali sullo scacchiere internazionale. La fatica nell’esternare, all’interno delle relazioni estere, ciò che dovrebbe essere la base politica dell’Unione mina lo stesso funzionamento, la reputazione e la fiducia nell’Unione Europea. In un circolo vizioso, tuttavia, l’irresolutezza in materia estera dell’Unione è causata dal funzionamento stesso delle sue istituzioni. Federico Chabod evidenziava nella sua prefazione della “Storia della politica estera italiana”, come considerare la politica estera di uno Stato separata dalla sua politica interna sarebbe una chimera, oltreché limitante ed inappropriato: politica interna ed estera sono fuse insieme. Quindi, seguendo questo tracciato, non dovrebbero essere i calcoli o i cerimoniali diplomatici a guidare le scelte in politica estera di uno Stato (o, in questo caso, parlando di Unione europea, di un’unione sovranazionale), bensì le forze ideali e morali, le aspirazioni, gli interessi che muovono la politica interna, fino ad un legame inscindibile.


Ursula Von der Leyen ha voluto, nel suo primo discorso sullo Stato dell’Unione, rilevare l’importanza dei “valori universali della democrazia e dei diritti dell’individuo”. Von der Leyen ha sottolineato come l’Unione debba sempre denunciare gli abusi di diritti umani, ovunque essi occorrano (sia ad Hong Kong, o con gli Uiguri, ha detto). Tuttavia, il Presidente della Commissione nell’ammettere la tanto criticata inerzia dell’Unione nelle relazioni estere – “Cosa ci trattiene? Perché anche semplici dichiarazioni sui valori dell’Unione sono rimandate […], tenute ostaggio per altri motivi?” – ha offerto anche una risposta. Infatti, a ragione, ha ribaltato l’accusa nei confronti degli Stati membri: è inutile che essi si lamentino della passività dell’Unione quando in gran parte il problema dipende da loro. Dunque, Von der Leyen ha fatto appello perché siano coraggiosi e abbandonino l’unanimità, per passare ad una maggioranza qualificata almeno per quanto riguarda i diritti umani e per l’implementazione delle sanzioni. Si può dire che le parole, se non profetiche, siano molto veritiere e incentrate su un problema estremamente presente. Nelle scorse settimane, infatti, nonostante quanto detto da Von der Leyen e da Borrell a proposito della Bielorussia, il Consiglio europeo è rimasto in un lungo stallo per la difficoltà di trovare tempestivamente un accordo utile ad implementare le sanzioni contro quest’ultima, a causa dell’unica opposizione – e veto – del ministro degli esteri di Cipro. Solo dopo alcune settimane, l’Unione è riuscita ad ottenere l’assenso di Nicosia, in cambio (quasi a mo’ di baratto) di una dichiarazione fortemente a favore di Cipro nel quadro del conflitto del Paese con la Turchia. Il fatto che un unico Stato possa bloccare o rallentare (addirittura in una modalità quasi ricattatoria, di “do ut des”) una tale decisione del Consiglio, rappresenta – ha evidenziato Borrel – un grave vulnus alla reputazione dell’Europa. I valori di libertà, dello Stato di diritto, dei diritti degli individui sono, come ha ricordato Von der Leyen, valori universali e, in quanto tali, vi è la necessità di affermarne sempre la validità, soprattutto sullo scacchiere internazionale. Negandone l’universalità, con una presunta concezione “culturale” dei diritti umani (come spesso è accaduto soprattutto per quanto riguarda la Cina), si mina la sostanza stessa del liberalismo. Che il liberalismo, la tutela dell’individuo, lo Stato di diritto siano valori universali, non culturali, lo hanno dimostrato i manifestanti di Hong Kong. Eppure, l’Unione europea sulla Cina è spesso stata più ambigua che sulla Russia: per esempio, anche se Von der Leyen ha voluto chiamare la Cina “un rivale sistemico” nel suo discorso, spesso prese di posizioni chiare sulle questioni di diritti umani in Cina sono più complicate – come ha dimostrato Borrell – anche per via dei rapporti cinesi con alcuni Paesi europei. Pochi giorni fa, in occasione dell’arresto, per la draconiana “anti mask law,” di uno dei leader delle proteste democratiche di Hong Kong, Joshua Wong – il cui processo si è tenuto il 30 settembre – vi è stata solamente una dichiarazione (non troppo forte) da parte della portavoce per gli affari esteri Nabila Massrali. Bisogna dire, tuttavia, che all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha ribadito che nella rivalità tra Usa e Cina, l’Unione europea si trova dalla parte degli Stati Uniti, e ha sottolineato come l’Unione europea non cesserà di promuovere il rispetto dei diritti umani in Cina, nei confronti degli uiguri e ad Hong Kong.

L’impegno e le parole che Von der Leyen ha dedicato alla promozione dei valori fondamentali dell’Unione di libertà e protezione dell’individuo, soprattutto nella proposta dell’abolizione dell’unanimità per materie riguardanti i diritti umani, sembra essere un segnale politico forte, un segnale di rottura rispetto ad una politica estera “mite” e un segnale di consapevolezza rispetto alla questione della rilevanza europea in materia geopolitica. Tuttavia, il sistema della deliberazione all’unanimità in materia di diritti umani – finché resiste – priva, potremmo dire, l’Unione di una “personalità politica” estera che riesca ad affermare in ambito internazionale i valori che la caratterizzano. Se è corretto ritenere che uno Stato viene riconosciuto tale principalmente quando ha una politica estera e militare unica, comune e comunemente coordinata, l’incompletezza politica dell’Unione è forse proprio causata dall’impossibilità – dovuta al rifiuto da parte degli stati membri di cedere sovranità in quell’ambito – di formare una sua politica estera sovrana e coerente. Si potrebbe considerare come proprio questo elemento renda spesso agli occhi dei cittadini europei e degli interlocutori nazionali l’Unione un’ “amorfa” politica. Von der Leyen comprende bene che i valori dell’Unione, in questo modo, risultano mozzi ed incompleti; l’appello della presidente agli Stati membri di rinunciare all’unanimità e dotare l’Unione di uno strumento che le consenta di affermare adeguatamente i propri valori è lungimirante e significativo.